Hiv e aumento di peso problema sempre più importante


Hiv e aumento di peso problema sempre più importante: inattività fisica, dieta, peso preesistente, stato immunologico e terapie tra le possibili cause

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L’aumento di peso nelle persone che vivono con l’HIV è stato argomento di diversi studi presentati a recenti congressi, tra cui il 12° Congresso Nazionale ICAR “Italian Conference on AIDS and Antiviral Research”.

Inattività fisica, dieta, peso preesistente, stato immunologico e terapie, come quella con i cosiddetti INSTI (inibitori delle integrasi dell’HIV), potrebbero essere all’origine dell’aumento ponderale che si nota nelle persone con HIV.

“Da anni stiamo parlando di ridistribuzione del tessuto adiposo nei pazienti con HIV” spiega il prof. Giovanni Guaraldi, Unità Malattie Infettive, Università di Modena e Reggio Emilia, Modena, Italia. “Ricordo che questa infezione, se non trattata, si manifesta con un quadro di cachessia. Con l’accesso alle terapie antiretrovirali è poi divenuto importante il problema della redistribuzione del tessuto adiposo in particolare la lipodistrofia, che si caratterizzava da un lato da una perdita del tessuto adiposo periferico e dall’altro da un accumulo di un tessuto adiposo centrale (viscerale).

Inaspettatamente le alterazioni di questa distribuzione continuano anche oggi e dal 2017 in poi si sta osservando che i pazienti stanno prendendo peso, un fenomeno che inizialmente era stato descritto come un ritorno allo stato di salute mentre in realtà è un problema progressivo che colpisce anche persone che partono da un BMI normale”.

L’aumento di peso nelle persone che convivono con l’HIV (PLWH) è un fenomeno multifattoriale in cui va ancora indagato il contributo relativo dei fattori di rischio modificabili tradizionali e specifici dell’HIV. È materia di studio anche sapere se porterà a un’obesità con o senza complicanze metaboliche e quali possano essere le cause di questo aumento ponderale.

Aumento ponderale e INSTI
Recenti studi hanno mostrato che la terapia con INSTI, in particolare quando associata a quella con TAF, rappresenta un fattore di rischio secondario per l’aumento del peso (quello primario rimane l’inattività fisica). Interessante però capire come questo si verifica.

La clinica metabolica da oltre 20 anni studia i fenomeni lipodistrofici e le loro correlazioni cardiometaboliche. “Inserendoci in questo ambito” spiega lo specialista “abbiamo studiato un gruppo di 207 pazienti che non avevano mai avuto accesso alla terapia con INSTI e 211 pazienti di cui avevamo una valutazione al baseline e che poi sono passati a una terapia con INSTI. Tra questi siamo andati a vedere chi ha aumentato il proprio peso di almeno il 5%. Abbiamo visto che non c’era differenza tra i due gruppi: complessivamente circa la metà dei pazienti di ciascun gruppo ha presentato un aumento ponderale. L’elemento di novità di questo studio è stato quello di valutare dove questo è avvenuto e quindi quale componente è cambiata”.

I risultati indicano che l’incremento ponderale avverrebbe a causa di un aumento, in termini quantitativi, del tessuto adiposo. In entrambi i gruppi (INSTI naïve e INSTI switch) si è verificato un incremento di una eguale quantità di tessuto adiposo centrale. Invece, la crescita del tessuto adiposo sottocutaneo è stata maggiore nei pazienti che sono passati effettivamente alla terapia con INSTI.

Questi risultati sono dunque consistenti con un ruolo degli INSTI nell’aumento ponderale, ma legato prevalentemente all’incremento della componente sottocutanea.

“Abbiamo quindi voluto valutare, in questi due gruppi di pazienti, come erano le caratteristiche qualitative del grasso: in particolare siamo andati a misurare la densità del tessuto adiposo sia sottocutaneo che viscerale” continua Guaraldi.

È emerso che i pazienti che avevano avuto un aumento del tessuto adiposo viscerale in realtà hanno avuto un incremento del tessuto in termini quantitativi ma qualitativamente avevano perso densità. “Ci siamo trovati di fronte a un accumulo di tessuto adiposo viscerale rappresentato da adipociti ipertrofici ripieni di trigliceridi, ma evidentemente si tratta di un tessuto meno infiltrato della componente infiammatoria che è quella che ci spaventa delle malattie cardiometaboliche.

Questa è una delle prime ricerche che discute il problema del guadagno ponderale, ma non solo in termini di aumento di peso assoluto, e permette di distinguere la componente sottocutanea da quella viscerale”.

I risultati di questa ricerca, dunque, dimostrano che il passaggio a INSTI può fare prendere peso prevalentemente per un incremento della componente sottocutanea, tuttavia la qualità del tessuto adiposo, soprattutto quello viscerale, è migliorata nei pazienti che sono passati a INSTI.

“I nostri risultati rassicurano, in un mondo che va sempre più verso una terapia basata su questi farmaci” conclude Guaraldi. “Questi dati, nella pratica clinica, ci dicono che, se il paziente prende peso, la probabilità che questo incremento di peso si traduca in un aumentato rischio cardiometabolico è bassa”.

I fattori di rischio modificabili: l’importanza dell’attività fisica
L’aumento del peso corporeo nei pazienti con HIV in terapia pare per lo più influenzato dal peso preesistente, dalla scarsa attività fisica e dallo stato immunologico. Un poster presentato al Congresso ICAR ha descritto i risultati di uno studio che ha analizzato la proporzione di una specifica condizione di salute che potrebbe essere evitata se non fossero presenti particolari fattori di rischio.

Si sono valutate le frazioni attribuibili alla popolazione (PAF) degli stili di vita modificabili e dei regimi INSTI nei pazienti trattati con ART che hanno avuto un aumento di peso di almeno il 5% in 4 anni di follow-up.

Sono stati presi in considerazione 281 pazienti (74% maschi), con età media 54,3 (7,8 SD) anni, durata mediana dalla diagnosi di HIV 22,3 anni (IQR 15,5-27,5), conta delle cellule CD4 714 cellule/microL (IQR 561,5-892); il 98,9% aveva HIV-1 RNA non rilevabile.

I risultati dello studio hanno suggerito che l’aumento ponderale viene per lo più influenzato dal peso preesistente, dalla scarsa attività fisica e dallo stato immunologico.
In particolare, il fattore di rischio più rilevante è stato l’IMC di base >25. Dunque, per prevenire l’aumento ponderale nel follow up, si dovrebbe evitare non solo l’obesità, ma anche il sovrappeso al basale.

Il secondo fattore di rischio più rilevante è stato il MET (metabolic equivalent of task)<600 al basale (il MET è stato misurato con il Questionario internazionale dell’attività fisica – IPAQ). A livello clinico, questi dati suggeriscono che dovrebbe essere offerta una consulenza dedicata in tutti i pazienti sieropositivi sottoposti ad ART che hanno subito un incremento di peso, che raccomandi attività fisica da moderata a intensa (MET>600).

I ricercatori suggeriscono a questo proposito le indicazioni utili da dare al paziente:
3 o più giorni di intensa attività fisica e/o camminata vigorosa di almeno 30 minuti al giorno, oppure
5 o più giorni di attività di intensità moderata e/o camminata di almeno 30 minuti al giorno, oppure
5 o più giorni di qualsiasi combinazione di attività di camminata, di intensità moderata o di intensità vigorosa
Infine, l’alto rapporto CD4/CD8 suggerisce potenziali meccanismi immunologici legati all’aumento di peso. Si è osservato, in particolare, nei pazienti che sono aumentati di peso, un cambiamento nel tempo della già alta percentuale di comorbidità al basale.

In conclusione, è sempre consigliato personalizzare la terapia dell’HIV e far sì che, quando si consiglia gli INSTI, il paziente sia partecipe e gli si possa chiedere di migliorare i propri stili di vita.