Mieloma multiplo: belantamab mafodotin promettente


Mieloma multiplo fortemente pretrattato, belantamab mafodotin promettente per i pazienti ricaduti o refrattari secondo lo studio di fase 2 DREAMM-2

Mieloma multiplo pretrattato: l'aggiunta di isatuximab alla doppietta standard riduce quasi del 50% il rischio di progressione o decesso secondo un nuovo studio

Il trattamento con belantamab mafodotin, un nuovo coniugato anticorpo-farmaco (ADC) anti-BMCA, si associa a buoni tassi di risposta, con risposte durature e un profilo di sicurezza gestibile, nei pazienti con mieloma multiplo recidivante o refrattario, pesantemente pretrattati, una popolazione per la quale vi è tuttora un forte bisogno terapeutico insoddisfatto.

Lo dimostrano i risultati aggiornati dello studio di fase 2 DREAMM-2, presentati di recente al congresso (virtuale) della European Hematology Association (EHA), e qualche settimana prima al congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), dall’autore principale dello studio, Sagar Lonial, del Winship Cancer Institute della Emory University di Atlanta.

Il tasso di risposta obiettiva (ORR), che era l’endpoint primario del trial, è risultato del 32-35%, mentre la durata della risposta è stata di quasi un anno.

«Nel contesto di una popolazione crescente di pazienti per i quali vi è un forte unmet clinical need, già esposti agli inibitori del proteasoma, agli immunomodulanti e agli anticorpi monoclonali anti-CD38, che sono già arrivati nella terapia di prima linea, avere una risorsa terapeutica per coloro che sono refrattari a queste tre classi di farmaci permette di colmare un gap esistente fino a questo momento» ha dichiarato ai nostri microfoni Michele Cavo, Professore Ordinario di Ematologia e Direttore dell’Istituto di Ematologia ‘L. e A. Seragnoli’ dell’Università degli Studi di Bologna; Policlinico Ospedaliero Universitario ‘S. Orsola Malpighi’ di Bologna.

«Considerando la popolazione nella quale sono stati ottenuti e, soprattutto, tenuto conto che belantamab mafodotin è stato utilizzato come agente singolo, i risultati dello studio DREAMM-2 sono da considerare molto favorevolmente» ha aggiunto l’esperto.

Proprio sulla base risultati di questo studio, nel gennaio 2020 la Food and Drug Administration ha concesso la ‘priority review’, cioè un esame accelerato del dossier registrativo, a belantamab mafodotin come trattamento per i pazienti con mieloma multiplo recidivante/refrattario già trattati con un farmaco immunomodulante, un inibitore del proteasoma e un agente anti-CD38. Attualmente, belantamab mafodotin è al vaglio anche dell’autorità regolatoria europea.

I punti chiave dello studio DREAMM-2
PatologiaMieloma multiplo (MM)
Tipo di studio:Studio multicentrico internazionale di fase 2, a due bracci, in aperto
Popolazione analizzataPazienti ricaduti/refrattari, già trattati con tre o più linee di terapia, refrattari agli immunomodulatori e agli inibitori del proteasoma e refrattari e/o intolleranti a un anti-CD38
N. di pazienti trattati196
Trattamento valutatobelantamab mafodotin 2,5 mg/kg o 3,4 mg/kg ogni 3 settimane, il giorno 1 di ogni ciclo, fino a progressione della malattia o tossicità non tollerabile
Risultati principaliORR: 32% con 2,5 mg/kg e 35% con 3,4 mg/kg
DOR mediana: 11 mesi e 6,2 mesi
OS mediana stimata: 14,9 mesi e 14 mesi
cheratopiatia di grado ≥ 3: 44% e 42%
Messagio chiaveBelantamab mafodotin in monoterapia dà risposte clinicamente significative e durature, con un profilo di tossicità gestibile, nel setting analizzato

BMCA, un nuovo bersaglio terapeutico per il mieloma multiplo
Gli approcci più nuovi in studio per la cura del mieloma multiplo hanno una caratteristica in comune: hanno tutti come bersaglio l’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA), un antigene altamente espresso sulle plasmacellule mielomatose. Tra questi, oltre agli ADC come belantamab mafodotin, ci sono gli anticorpi bispecifici e le cellule CAR-T.

Rispetto agli altri due tipi di terapia anti-BCMA, gli ADC presentano alcuni vantaggi. Innanzitutto, a differenza delle CAR T, sono prodotti ‘off the shelf’, già pronti e disponibili al momento del bisogno; in secondo luogo, non richiedono in genere l’ospedalizzazione che può rendersi necessaria nel caso degli anticorpi bispecifici e delle CAR-T per la gestione di possibili complicanze gravi, come la sindrome da rilascio di citochine (CRS).

Belantamab mafodotin
Belantamab mafodotin è un ADC diretto contro il BCMA, la cui espressione aumenta passando dalle fasi più precoci della malattia a quelle più avanzate.
Il farmaco è formato da un anticorpo monoclonale in grado di riconoscere e legare il BCMA, coniugato con la monometilauristatina E (MMAE), un agente anti-microtubulare che viene rilasciato nel citoplasma a seguito del legame dell’anticorpo con l’antigene bersaglio.
«Il meccanismo d’azione è multimodale e comprende l’apoptosi indotta dalla MMAE, la citotossicità anticorpo-dipendente cellulo-mediata e la fagocitosi cellulare anticorpo-dipendente» ha spiegato Cavo.

I presupposti dello studio DREAMM-2
I primi dati pubblicati su belantamab mafodotin sono stati quelli dello studio DREAMM-1, un trial di fase 1 volto a definire sicurezza, farmacocinetica, farmacodinamica, attività clinica e dose da utilizzare negli studi successivi in pazienti con mieloma recidivante/refrattario e altri tumori ematologici maligni in stadio avanzato esprimenti BCMA.

In questo trial, l’ORR era risultato del 60%, con tre risposte complete e due risposte complete stringenti. La sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana era risultata compresa fra gli 11 e i 12 mesi, mentre la durata mediana della risposta era stata di 14,3 mesi. Nella popolazione di pazienti penta-refrattari, tuttavia, i risultati sono stati molto inferiori rispetto alla popolazione complessiva, con un ORR del 35-40% e una PFS mediana di circa 4 mesi.

Questo studio ha posto le basi per lo studio DREAMM-2 (NCT03525678), pubblicato all’inizio dell’anno su The Lancet Oncology, con un follow-up mediano di 6,3 mesi. Ora, ai congressi dell’ASCO e dell’EHA sono stati presentati dati con un follow-up che è arrivato a 13 mesi, praticamente raddoppiato.

Lo studio DREAMM-2
DREAMM-2 (NCT03525678) è un trial multicentrico internazionale, in aperto, a due bracci, tuttora in corso, nel quale si sono testate efficacia e sicurezza di due dosi diverse di belantamab mafodotin in 196 pazienti con mieloma multiplo recidivante/refrattario, la cui malattia aveva progredito dopo tre o più linee di terapia e che erano refrattari agli immunomodulatori e agli inibitori del proteasoma e refrattari o intolleranti (o entrambe le cose) a un anticorpo anti-CD38. «Si tratta di una popolazione di pazienti in aumento e per la quale vi è una forte necessità medica insoddisfatta, dal momento che l’aspettativa di vita non supera i 9 mesi» ha osservato Cavo.

In entrambi i bracci, i partecipanti avevano già fatto una mediana di cinque linee di terapia e costituivano, quindi, una popolazione altamente pretrattata.
Complessivamente, 97 pazienti sono stati trattati con 2,5 mg/kg e 99 con 3,4 mg/kg di belantamab mafodotin, somministrato mediante infusione endovenosa ogni 3 settimane, il giorno 1 di ogni ciclo, fino alla progressione della malattia o alla comparsa di una tossicità non tollerabile dal paziente.
Oltre all’ORR, gli sperimentatori hanno valutato, come endpoint secondari chiave, anche la durata della risposta (DoR), il tasso di beneficio clinico (CBR), il tempo di risposta (TTR), la PFS e la sopravvivenza globale (OS).

Tasso di risposta superiore al 30%
L’ORR è risultato abbastanza simile nelle due coorti: 32% con la dose più bassa dell’ADC, quella raccomandata dopo lo studio di fase 1, e 35% con quella più alta; numeri comparabili con quelli riportati sulla pubblicazione su The Lancet Oncology.

«Nel contesto dello studio, nel quale il farmaco è stato testato in monoterapia e una popolazione di pazienti che erano pressoché tutti triplo-refrattari, cioè refrattari alle tre classi di farmaci attualmente in uso nel mieloma multiplo, questo è un risultato sicuramente buono» ha commentato Cavo.
Dei pazienti che hanno risposto, più della metà– il 58% nel gruppo trattato con 2,5 mg/kg e il 66% in quello trattato con 3,4 mg/kg – ha raggiunto una risposta parziale molto buona (VGPR) o migliore. «Sono pazienti che hanno ottenuto una risposta parziale di ottima qualità, cioè con una riduzione della taglia neoplastica di almeno il 90% o superiore» ha aggiunto il professore.
Inoltre, nel complesso, il 36% e 40% dei pazienti, rispettivamente, ha ottenuto un beneficio clinico.

Un parametro nel quale i due dosaggi testati hanno mostrato una differenza marcata è la DOR mediana, che è risultata di 11 mesi con la dose pari a 2,5 mg/kg e 6,2 mesi con la dose più alta.

La PFS mediana è risultata di 2,8 mesi nella coorte trattata con 2,5 mg/kg e 3,9 mesi in quella trattata con 3,4 mg/kg, mentre l’OS mediana stimata pari rispettivamente a 14,9 mesi e 14 mesi.

«Quindi, ottima efficacia in un terzo circa della popolazione studiata, risposte durature, di poco inferiori a un anno, e una sopravvivenza mediana che è di almeno 5-6 mesi superiore rispetto a quella attesa laddove questa terapia non sia disponibile» ha sottolineato Cavo.

Efficacia confermata anche nei pazienti con citogenetica ad alto rischio
Al congresso dell’EHA è stata presentata anche un’analisi post-hoc dello studio DREAMM-2 che si è focalizzata sulla valutazione degli outcome nei pazienti con un profilo citogenetico ad alto rischio, un gruppo che ha una prognosi particolarmente sfavorevole e per il quale c’è estremo bisogno di terapie efficaci.
In particolare, in quest’analisi, gli autori hanno considerato come caratteristiche citogenetiche associate a un alto rischio anomalie cromosomiche quali le traslocazioni t(4;14) e t(14;16), la delezione 17p13 e l’amplificazione 1q21.

Ebbene, anche questo sottogruppo ha ottenuto risposte profonde e durature con belantamab mafodotin, comparabili con quelle riscontrate nella popolazione complessiva dello studio, senza differenze significative nel profilo di sicurezza.

Eventi avversi oculari da monitorare, ma gestibili
Sul fronte della sicurezza, non sono emerse novità sostanziali rispetto a quanto già riportato. «Il farmaco è risultato maneggevole e l’aggiornamento ha dato informazioni utili per la gestione della tossicità oculare, che è il principale evento avverso di belantamab mafodotin, legataoverosimilmente a un uptake non specifico di questo agente da parte delle cellule corneali in mitosi» ha detto l’esperto.
Gli eventi avversi di interesse sono risultati appartenenti sostanzialmente a due categorie: la tossicità oculare, appunto, e quella ematologica.
Il 75% dei pazienti trattati con 2,5 mg/kg e il 77% di quelli trattati con 3,4 mg/kg ha sviluppato una cheratopatia di qualsiasi grado (un evento atteso, in quanto è un noto effetto off-target della MMAF), con un tempo mediano di esordio pari rispettivamente a 37 e 22,5 giorni. L’incidenza della cheratopiatia di grado ≥ 3 è stata rispettivamente del 44% e 42%.

«Questi pazienti tipicamente mostrano come sintomatologia una diminuzione dell’acuità visiva, che può arrivare a un annebbiamento del visus, o riferiscono una sensazione di secchezza oculare» ha spiegato Cavo. «La terapia topica steroidea è inefficace, ma una riduzione della dose e un prolungamento dell’intervallo tra una dose e l’altra consentono una risoluzione della tossicità corneale, che in questo studio in nessun paziente si è tradotta in un danno irreversibile».

Gli aggiustamenti e i dilazionamenti della dose di belantamab mafodotin hanno permesso ai pazienti di continuare il trattamento, senza peraltro influire sulla risposta al trattamento stesso e sulla sua efficacia, e pochi pazienti (solo tre in ognuna delle due coorti) hanno dovuto interromperlo a causa della tossicità corneale.

Durante la sua presentazione, Lonial ha sottolineato con forza la necessità, nella gestione dei pazienti trattati con l’ADC, di collaborare con un oculista per un pronto riconoscimento e la gestione dei sintomi oculari.

Tossicità ematologica attesa
Anche la tossicità ematologica non era inattesa, dato che belantamab mafodotin è un ADC, ed è facilmente gestibile dalla maggior parte degli ematologi.
Fra gli eventi avversi ematologici di grado ≥ 3, l’anemia ha avuto un’incidenza del 20% con 2,5 mg/kg e 27% con 3,4 mg/kg, la trombocitopenia un’incidenza rispettivamente del 21% e 32%, la riduzione della conta linfocitaria un’incidenza rispettivamente del 12% e 13% e la neutropenia un’incidenza rispettivamente del 10% e 17%.
Le altre tossicità sono state per lo più quelle correlate all’infusione.

Prospettive future
Guardando al futuro, ha spiegato Cavo, i prossimi passi da compiere con belantamab mafodotin riguarderanno la ricerca di altri agenti da combinare con questo ADC e ci sono già studi in corso, in cui si stanno valutando varie associazioni.

In particolare, nei prossimi trial si valuterà la combinazione con farmaci standard, come bortezomib, lenalidomide, pomalidomide e carfilzomib, ma anche con gli inibitori del checkpoint immunitari, per vedere se è possibile sfruttare la morte cellulare immunogenica per stimolare una risposta immunitaria più duratura.

Inoltre, «sono già in corso studi nel quale il trattamento viene testato in linee sempre più precoci di terapia, sino ad arrivare al trattamento del paziente con mieloma multiplo di nuova diagnosi» ha riferito il professore. «Nello studio di fase 3 DREAMM-9, per esempio, pazienti con malattia di nuova diagnosi non eleggibili al trapianto, saranno assegnati al trattamento con bortezomib, lenalidomide e desametasone o con la medesima tripletta con l’aggiunta di belantamab mafodotin».

«I risultati già buoni ottenuti con il farmaco come agente singolo, in una popolazione così sfavorevole come quella dello studio DREAMM-2, saranno inevitabilmente ancora migliori laddove questo immunoconiugato sarà posizionato in una fase più precoce della malattia e sarà somministrato in combinazione con altri regimi standard» ha concluso Cavo.