Malattia di Fabry: terapia enzimatica funziona


Malattia di Fabry: gli effetti benefici della terapia enzimatica su cuore e reni. I pazienti sono rimasti stabili durante 10 anni di trattamento

Malattia di Fabry: gli effetti benefici della terapia enzimatica su cuore e reni. I pazienti sono rimasti stabili durante 10 anni di trattamento

L’avvento della terapia enzimatica sostitutiva (ERT) nel 2001 ha offerto la possibilità di migliorare la prognosi dei pazienti con malattia di Fabry, nonché i loro punteggi nelle scale relative al dolore e alla qualità di vita. Nello stesso anno l’azienda farmaceutica Shire (ora parte di Takeda) ha avviato il programma Fabry Outcome Survey (FOS), con l’obiettivo di raccogliere dati a lungo termine sulla storia naturale di questa rara malattia metabolica e sulla sicurezza ed efficacia della terapia enzimatica sostitutiva con agalsidasi alfa.

Al progetto hanno partecipato pazienti di 24 Paesi, e nel 2015 sono stati pubblicati i primi risultati, relativi a coloro che avevano già ricevuto cinque anni di ERT: i dati mostravano che la terapia era associata a una ridotta mortalità e morbilità. Il passaggio successivo è stato eseguire un’ulteriore analisi retrospettiva dei dati estratti da FOS dall’aprile 2001 all’agosto 2018: lo studio, pubblicato pochi mesi fa sulla rivista Drug Design, Development and Therapy da un team internazionale di ricercatori, il FOS Study Group, ha valutato gli esiti cardiaci e renali nei pazienti che hanno ricevuto l’ERT per un periodo di 10 anni.

I parametri presi in considerazione dal gruppo per monitorare le condizioni degli organi sono stati rispettivamente la velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR), un indicatore dello stato di salute dei reni, e l’indice di massa ventricolare sinistra (LVMI), un noto predittore di eventi cardiovascolari come coronaropatia, scompenso cardiaco e ictus. Tutte le misure sono state registrate nei partecipanti con almeno tre rilevazioni, incluse quella al basale (cioè all’inizio del trattamento) e quella effettuata dopo dieci anni.

I pazienti, di conseguenza, sono stati divisi in due coorti: quella renale, con 90 maschi e 62 femmine, e quella cardiaca, con 35 maschi e 34 femmine. L’età media della coorte renale all’inizio del trattamento era di 48,8 anni per le femmine e di 34,4 per i maschi, mentre quella della coorte cardiaca era di 46,7 anni per le femmine e di 28,2 per i maschi. Il tasso medio di variazione dell’eGFR nell’arco di 10 anni è risultato relativamente stabile nelle femmine e in leggero calo nei maschi, sia in caso di funzionalità renale integra al basale, sia con funzionalità compromessa. Con ipertrofia ventricolare sinistra al basale, la LVMI media era leggermente aumentata nel corso di 10 anni, sia nelle femmine che nei maschi; in assenza di questa anomalia, invece, la LVMI è rimasta stabile.

“L’analisi di questa coorte ha fornito nuove prove a sostegno dei benefici dell’ERT con agalsidasi alfa”, hanno sottolineato gli autori dello studio. “I pazienti che al basale avevano una funzionalità renale integra o un indice di massa ventricolare sinistra normale, sono rimasti sostanzialmente stabili durante i 10 anni di terapia enzimatica sostitutiva, mentre quelli con ridotta funzionalità renale o ipertrofia ventricolare sinistra hanno manifestato un modesto declino della funzionalità renale o un aumento dell’indice di massa ventricolare sinistra che si è rivelato comunque inferiore al previsto, in base ai dati di storia naturale”. Un ulteriore incentivo a iniziare il trattamento precocemente, prima che si sia verificato un danno irreversibile in organi bersaglio come il cuore o i reni.