HIV, dal Bambino Gesù arriva un test istantaneo


HIV, dal Bambino Gesù un test istantaneo per controllare la carica virale nei bambini: rapido ed economico, l’esame aiuterà soprattutto i Paesi più poveri

HIV, dal Bambino Gesù un test istantaneo per controllare la carica virale nei bambini: rapido ed economico, l’esame aiuterà soprattutto i Paesi più poveri

Un nuovo test per valutare la carica virale residua nei bambini affetti da HIV è stato messo a punto dagli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Più semplice, rapido ed economico rispetto a quelli già esistenti, potrà aiutare soprattutto i Paesi più poveri in cui la malattia è ancora fortemente presente. Lo studio sulla sua efficacia è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet.

Negli ultimi anni sono stati sviluppati numerosi test per misurare e caratterizzare la carica virale residua, cioè la quota di HIV-1 che rimane dentro le cellule dei pazienti sottoposti a terapia antivirale. Misurare il residuo virale è fondamentale per valutare l’efficacia del trattamento ricevuto e la possibilità di inserire questi bambini in nuove sperimentazioni finalizzate all’eliminazione totale del virus. Finché non ci si riuscirà, con l’aiuto di nuove terapie, nessun paziente potrà considerarsi guarito.

L’uso di questi test nei Paesi in via di sviluppo, dove si concentra la maggior parte di casi pediatrici (un milione e mezzo su un totale di quasi due milioni), è stato finora minimo. Il limite principale al loro utilizzo è rappresentato dai costi, dalla quantità di sangue che queste analisi richiedono e dalla loro difficile applicabilità nelle zone meno attrezzate da un punto di vista clinico e ospedaliero. Basti pensare che la maggior parte di questi sono di virologia molecolare. Vuol dire che, dopo il prelievo di sangue, servono dei passaggi di laboratorio per isolare le componenti ematiche, lavorarle e analizzare i risultati con complessi software bio-informatici. Per avere la risposta passano almeno diversi giorni.

Il nuovo test ideato dall’equipe di Immunoinfettivologia del Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero del Bambino Gesù è praticamente istantaneo: facile da usare ed economico, può essere effettuato ovunque. Consiste in una piccola striscia (o stick) di plastica rigida, su cui sono apposte determinate sostanze di reazione, come quelle comunemente usate per il monitoraggio domestico, ad esempio della glicemia. La striscia è numerata da 0 a 10, dove zero rappresenta la minima carica virale residua e 10 quella massima. Basta una goccia di sangue del paziente e in pochi minuti si coloreranno le tacche corrispondenti alla carica virale rilevata. Un test così semplice e sicuro da poter essere effettuato anche in condizioni improponibili per i classici test, come un ospedale da campo o un camper medico. Costa inoltre poche decine di euro contro le centinaia degli altri test.

Lo studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet è il risultato di un progetto di ricerca no-profit promosso da EPIICAL, il più grande consorzio internazionale di scienziati coinvolti nella gestione e trattamento dell’HIV pediatrico. È basato sui dati prodotti in precedenti lavori eseguiti su coorti italiane e americane in questo campo. L’affidabilità del nuovo test supera il 95% ed è pressoché sovrapponibile ai quella dei test più costosi e più complessi. La ricerca ha coinvolto più di 330 pazienti con infezione verticale da HIV (che riguarda cioè bambini nati infetti per via materna) e che hanno iniziato la terapia antiretrovirale fin da piccoli. Il test è valido anche negli adulti.

“Questa nuova strategia di screening rappresenta un’importante innovazione per definire quali bambini arruolare in protocolli per la cura dell’HIV-1, come, per esempio, il vaccino terapeutico pediatrico messo a punto dal Bambino Gesù in collaborazione col Karolinska Instituet di Stoccolma”, spiega il dottor Paolo Palma, responsabile dell’unità di ricerca in infezioni congenite e perinatali dell’Ospedale. “I risultati permettono infatti di ricostruire la storia clinica dei singoli pazienti che spesso, nei Paesi in via di sviluppo o molto poveri, non posseggono una vera e propria cartella clinica”.