Sindrome dell’X fragile: che cos’è e come si cura


Sindrome dell’X fragile causata dall’alterazione di un gene sul cromosoma X: le cure prevedono interventi abilitativi età dipendenti

Sindrome dell'X fragile causata dall'alterazione di un gene sul cromosoma X: le cure prevedono interventi abilitativi età dipendenti

La Sindrome dell’X fragile è dovuta all’alterazione di un gene localizzato sul braccio lungo del cromosoma X (Xq27.3), FMR1. La prevalenza della malattia è di 1 ogni 4.000 maschi e 8.000 femmine.

Il termine X-Fragile prende il nome dal fatto che questo tipo di alterazione crea una “fragilità” tale per cui in alcuni casi si può avere una rottura sul cromosoma X già visibile facendo un esame standard dei cromosomi (Cariotipo).

Secondo gli esperti dell’Ospedale Niguarda la caratteristica principale nei soggetti con sindrome dell’X fragile è rappresentata dalla disabilità intellettiva. Tutti i pazienti mostrano ritardo nell’acquisizione delle principali tappe dello sviluppo psicomotorio; nella maggior parte il ritardo è di grado moderato/severo.

I disturbi dell’apprendimento sono correlati anche a specifici problemi nell’ambito del ragionamento matematico e astratto, a deficit di memoria a breve termine, a deficit delle funzioni esecutive, a difficoltà di pianificazione motoria fine.
Tra le problematiche neuroevolutive va sottolineato il rischio di epilessia, la cui prevalenza varia, nelle diverse casistiche dal 14% al 50% con una media intorno al 22%, inferiore nei soggetti di sesso femminile.

Non è da sottovalutare anche la presenza di disturbi dello spettro autistico, osservati nel 25-30% dei casi, che portano ad uno scarso contatto oculare e fisico, stereotipie, autolesionismo e disturbo della comunicazione. La diagnosi avviene con un semplice prelievo del sangue.

La presa in carico clinica di questi pazienti richiede un complesso percorso terapeutico – assistenziale e di monitoraggio delle possibili complicanze di tipo multidisciplinare.

Gli aspetti di rarità e specificità della patologia, infatti, richiedono il supporto di centri di riferimenti dedicati, ma parallelamente molti dei problemi clinici neuroevolutivi trovano la giusta assistenza presso i servizi territoriali di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Gli interventi devono essere personalizzati in base alle caratteristiche dell’utente, della famiglia, dell’ambiente sociale, dell’età, degli appuntamenti evolutivi in un’ottica di “guida anticipatoria.

Le cure prevedono interventi abilitativi età dipendenti : fisioterapia, neuropsicomotricità, logopedia, assistenza psicopedagogica e specifiche terapie nell’ambito della comunicazione (Comunicazione Aumentativa Alternativa).
Ancora: riabilitazione neuropsicocognitiva, terapia occupazionale, terapia comportamentale, tecniche di rilassamento e interventi psicoeducativi.
Alcuni aspetti clinici (epilessia, disturbi del comportamento e delle emozioni, disturbi dello spettro autistico, deficit di attenzione ed iperattività, disturbi della regolazione), possono richiedere un trattamento farmacologico, che dovrà essere sempre intrapreso e monitorato su specifici sintomi target.

La diagnosi

La diagnosi può essere sospettata in età pediatrica in bambini che presentino ritardo psicomotorio aspecifico e/o associato a:

– ritardo nello sviluppo del linguaggio

– autismo

– disturbi comportamentali (soprattutto ritiro-difficoltà relazionale)

– familiarità per disabilità intellettiva

– funzionamento cognitivo ai limiti inferiori della norma associato a tratti di isolamento.

La diagnosi prenatale è possibile sia sui villi coriali dalla 10a alla
14a settimana di gestazione, che sul liquido amniotico dalla 15a alla 18a settimana di gestazione.

Caratteristiche fisiche

Le caratteristiche fisiche comprendono anomalie del volto (macrocefalia, viso stretto e allungato, fronte alta e prominente, mandibola prominente, orecchie ampie e sporgenti, palato ogivale). Queste diventano più evidenti con l’età e sono sufficienti a suggerire la diagnosi nei maschi con ritardo mentale. Spesso si associano a strabismo, ipotonia, iperlassità articolare, macrorchidismo (testicoli più grossi del normale) e disprassia (difficoltà a compiere gesti coordinati e diretti ad un determinato fine).

La storia

La sindrome dell’X fragile è stata descritta per la prima volta nel 1943 da Martin e Bell, ma solo negli anni Settanta divenne chiaro che la presenza di questa caratteristica era causa di difficoltà nell’apprendimento nei maschi e che poteva essere ereditata. Le basi molecolari della sindrome furono scoperte solo nel 1991 quando un ricercatore di nome Verkerk e i suoi collaboratori riuscirono a isolare il gene che viene colpito dalla mutazione, il gene FMR1.