Chetoacidosi diabetica: cannabis aumenta il rischio


Il rischio di chetoacidosi diabetica (DKA) tra consumatori moderati di cannabis è risultato più che raddoppiato rispetto ai non utilizzatori secondo un nuovo studio

Il rischio di chetoacidosi diabetica (DKA) tra consumatori moderati di cannabis è risultato più che raddoppiato rispetto ai non utilizzatori secondo un nuovo studio

Nelle persone che soffrono di diabete di tipo 1, l’uso moderato di cannabis sembra associato a un maggior rischio di chetoacidosi diabetica, secondo quanto emerso una nuova ricerca statunitense pubblicata di recente sulla rivista Diabetes Care.

Nello studio, il rischio di chetoacidosi diabetica (DKA) tra 61 consumatori moderati di cannabis è risultato più che raddoppiato rispetto ai non utilizzatori, un risultato simile a quello ottenuto in un precedente studio, con un 30% degli adulti con diabete di tipo 1 intervistati che ha ammesso di usare la cannabis e ha mostrato un raddoppio del rischio di DKA.

«La cannabis è una sostanza che crea dipendenza e questo aspetto potenzialmente problematico dovrebbe essere valutato nei pazienti con diabete di tipo 1. I medici dovrebbero discutere con i pazienti utilizzatori di cannabis sulla possibilità che abbiano un controllo glicemico alterato, CHS (cannabis hyperemesis syndrome) e DKA» hanno scritto l’autore principale Gregory Kinney dello University of Colorado Anschutz Medical Campus ad Aurora, in Colorado, e colleghi.

La cannabis è ora legale per uso medico o ricreativo in oltre metà degli Stati Uniti, e sebbene il suo consumo tra le persone con diabete di tipo 1 non sia ben descritto in letteratura, l’evidenza negli adolescenti suggerisce che non differisca da quello nella popolazione generale, hanno fatto presente gli autori.

Cannabis e rischio di chetoacidosi diabetica
Per cercare di classificare meglio l’uso di cannabis nel diabete di tipo 1, i ricercatori hanno condotto uno studio trasversale su 932 partecipanti al T1D Exchange clinic registry (T1DX) invitati a compilare il questionario dell’Alcohol, Smoking and Substance Involvement Screening Test in cui auto-riportavano le loro abitudini al consumo di cannabis. Si tratta di uno strumento che genera un punteggio totale per l’utilizzo di una sostanza (TSC, total substance score) su una scala da 0 a 33 punti.

I punteggi sono stati utilizzati per classificare i partecipanti in base all’intervento raccomandato: da 0 a 3 per basso rischio/nessun intervento, da 4 a 26 per rischio moderato/intervento breve e oltre 26 punti per alto rischio/intervento intenso. Gli autori hanno confrontato il gruppo “nessun intervento” con i gruppi con punteggi di esposizione più elevati.

Non ci sono stati partecipanti che rientravano nella categoria ad uso più elevato di cannabis, ma in 61 sono risultati consumatori moderati (TSC > 4). Questo gruppo comprendeva pazienti più giovani (31 anni per gli utilizzatori vs 38 anni per i non utilizzatori), più spesso di sesso maschile (54% vs 38%), con un livello inferiore di istruzione, un’età più giovane alla diagnosi del diabete (13 vs 16 anni, p=0,007), livelli più alti di emoglobina glicata (8,4% vs 7,7%, p=0,005), meno probabilità di utilizzare un sistema di monitoraggio continuo del glucosio (21% vs 34%) ed eseguiva meno costantemente l’automonitoraggio della glicemia.

La razza, l’uso di una pompa insulinica, la frequenza di ipoglicemia grave che necessitava di un ricovero ospedaliero e il consumo di alcol non differivano tra i gruppi.

Dopo aggiustamento per sesso, età alla visita nello studio e livelli di emoglobina glicata (HbA1c), la DKA risultava associata in misura significativa a un TSC maggiore di 4, con un rapporto di probabilità di 2,5 nei soggetti con uso moderato rispetto ai non utilizzatori. Un ulteriore adeguamento dello status giuridico della cannabis nello stato di residenza del partecipante non ha modificato l’associazione.

Da capire il legame tra cannabis e DKA
Secondo i ricercatori la cannabis ritarda lo svuotamento gastrico, e hanno ipotizzato che questo effetto possa avere un ruolo in un controllo glicemico non ottimale.

«Le alterazioni indotte dalla cannabis della motilità intestinale, dell’assorbimento del cibo e dei tempi glicemici postprandiali possono essere inattese e incoerenti per il tipico utilizzatore di cannabis con diabete di tipo 1», hanno scritto gli autori. Hanno inoltre aggiunto che l’aumento dell’appetito indotto dalla cannabis può contribuire a innalzare i livelli di glucosio durante la notte, mentre gli effetti della sostanza sulla sfera cognitiva possono alterare la percezione dell’ipoglicemia.

Gli studi hanno anche suggerito un legame tra l’uso a lungo termine di cannabis e la CHS, che è caratterizzata da episodi ciclici di nausea e vomito e che può comportare un aumento del rischio di DKA. Anche se la CHS, che si osserva principalmente nei consumatori pesanti di cannabis, non è stato osservato nei partecipanti al T1DX, «limitando la nostra capacità di valutare CHS e DKA. Sono pertanto necessarie ulteriori ricerche per comprendere il legame meccanicistico tra il consumo di cannabis e la DKA» hanno concluso.