Common: una rete per salvare il Mediterraneo dai rifiuti


Arriva Common, la rete che salva il Mediterraneo dai rifiuti: il nuovo progetto europeo è finanziato dall’Unione Europea con 2,2 milioni

Arriva Common, la rete che salva il Mediterraneo dai rifiuti: il nuovo progetto europeo è finanziato dall’Unione Europea con 2,2 milioni

“Il Mediterraneo è la sesta area di accumulo al mondo per la quantità di rifiuti in mare”. Un tema “di rilevanza economica, perché dalla salute del mare dipende tutta l’economia di tutti i Paesi che si affacciano sul bacino, a partire da pesca e turismo”. Rifiuti, plastica in testa, “che arrivano dalla terraferma a causa di una gestione inadeguata”. Serena Carpentieri, vicedirettrice di Legambiente, lo dice presentando COMMON (COastal Management and MOnitoring Network for tackling marine litter in Mediterranean sea), nuovo progetto europeo finanziato dall’Unione Europea con 2,2 milioni nell’ambito del programma ENI CBC MED (European neighbourhood instrument – Cross border cooperation – Mediterranean) per affrontare il problema dei rifiuti in mare attraverso un approccio integrato.

Quanto è grave la situazione? Nel Mediterraneo la concentrazioni di rifiuti in plastica è allo stesso livello dei vortici oceanici, le tristemente note ‘isole di plastica’, spiegano gli esperti. Scopo del progetto è costruire una rete di collaborazione fra Italia, Tunisia e Libano per favorire la riduzione dei rifiuti marini. Il progetto Common, spiega l’Agenzia Dire (www.dire.it) vede coinvolti Legambiente, l’Università di Siena, l’Istituto nazionale di Scienze e tecnologie del mare di Tunisi, l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari, l’ONG libanese Amwaj of the Environment, l’Università tunisina di Sousse e la riserva naturale di Tyre, in Libano.

L’obiettivo comune è la riduzione del marine litter utilizzando i principi della Gestione integrata delle zone costiere (ICZM) in 5 aree pilota, pianificando l’uso e il monitoraggio delle risorse e utilizzando un approccio partecipativo efficace che coinvolga le parti interessate e le comunità locali, con l’ambizione di testare un modello potenzialmente trasferibile a tutto il bacino mediterraneo.

La maggior parte delle ricerche scientifiche condotte finora documenta l’impatto del fenomeno nel Mediterraneo occidentale e centrale, meno battute, le coste del Mediterraneo sud e orientale. Inoltre, emerge sempre più chiaramente l’esigenza di una risposta collettiva per affrontare il problema dei rifiuti in mare attraverso un approccio integrato, in cui i diversi attori politici e della società civile possano lavorare insieme e in modo coordinato. Com’è la situazione? “L’inquinamento del mare è un tema fra i più seri, e l’80% del marine litter è costituito da plastica”, spiega Maria Cristina Fossi, docente di Ecologia e Ecotossicologia all’Università di Siena, partner del progetto COMMON, “e il Mediterraneo è uno dei protagonisti più tragici” di questa crisi ambientale.

Il livello di inquinamento è tale che “nel Mediterraneo vi sono concentrazioni di rifiuti in plastica allo stesso livello dei vortici oceanici – quelli che qualcuno chiama ‘isole di plastica’ ma che isole non sono – di Pacifico e Atlantico”, sottolinea Fossi. E’ quindi “importante stabilire gli impatti sulla biodiversità” per “indirizzare le adeguate azioni di mitigazione e orientare specifiche azioni di governance”, spiega la docente, quindi si dovrà “risolvere il problema su scala di bacino, mettendo insieme la sponda Nord e la sponda Sud”, e farlo “armonizzando i metodi di rilevazione e definendo gli effetti tossicologici”. Per questi ultimi si partirà da due specie, la tartaruga Caretta caretta, “specie simbolo della biodiversità del Mediterraneo” e “le specie ittiche e i molluschi edibili”, dice Fossi, in quest’ultimo caso per verificare “l’eventuale trasferimento di inquinanti e plastiche all’uomo”.

Data la natura degli ambienti marini, non isolati dal contesto circostante, i problemi legati al mare possono essere affrontati solo a livello comunitario e con un approccio multi-istituzionale. Una tra le principali ambizioni del progetto COMMON è appunto la gestione di un Network permanente che punti al coordinamento dei centri di recupero di tartarughe marine per approfondire il problema dei rifiuti in mare, che vede Italia, Tunisia e Libano coinvolti in prima linea. Inoltre, sulla scorta della direttiva europea per la riduzione della plastica monouso, e con la precedente normativa sul limite di utilizzo delle buste di plastica, il progetto vuole incoraggiare e promuovere il bando dei sacchetti in plastica in tutto il bacino mediterraneo. COMMON svilupperà protocolli di monitoraggio per valutare l’impatto del marine litter nelle cinque aree pilota coinvolte nel progetto: due in Italia (Maremma e Puglia), due in Tunisia (Isole Kuriate e Monastir) una in Libano (riserva naturale di Tyre). Darà il via ad attività a livello costiero per il campionamento di specie ittiche in collaborazione con i pescatori locali, ed eseguirà indagini eco tossicologiche nelle specie commestibili (ingestioni di plastica, contaminanti, biomarcatori). Le attività di monitoraggio faciliteranno l’identificazione delle fonti di marine litter al fine di progettare azioni di mitigazione efficaci nelle aree coinvolte, valutarne l’impatto sulla biodiversità e sviluppare strategie efficaci per preservarla.

Libano e Tunisia si ritrovano, inoltre, ad affrontare grandi difficoltà nel sistema di raccolta e gestione dei rifiuti, una tra le principali cause del fenomeno del marine litter. Sebbene non sia una grande produttrice di plastica, il suo consumo è altissimo: oltre 25 mila tonnellate di plastica prodotte nel 2016, con un riciclaggio stimato al solo 4% del totale (dati ANPE). Il Mediterraneo conta circa 10 mila tonnellate di plastica provenienti dalla Tunisia (e circa 40 mila tonnellate provenienti dall’Italia).

In Libano, la produzione di rifiuti totali è stimata a 481 kg pro capite l’anno, dei quali il 55% viene scaricato in cassonetti indifferenziati e solo il 18% dei rifiuti solidi urbani viene trattato mediante riciclaggio e compostaggio. Per di più, il 90% dei rifiuti industriali e il 30% dei rifiuti ospedalieri vengono smaltiti insieme ai rifiuti domestici, di cui il 4% è classificato come pericoloso. L’85% dei rifiuti solidi prodotti in Libano, tra cui rifiuti marittimi, viene smaltito in discarica senza alcun trattamento o cernita. Studi recenti hanno dimostrato che l’80% dei rifiuti marini in Libano è composto da plastica, con 124 mila kg al giorno smaltiti inadeguatamente.