Fibrillazione atriale: nuovo anticoagulanti orali efficaci


Fibrillazione atriale: meno stroke ischemici dopo l’arrivo dei nuovi anticoagulanti orali. Lo rivela uno studio condotto in Italia su un campione della Fondazione Ricerca e Salute (ReS)

Fibrillazione atriale: meno stroke ischemici dopo l'arrivo dei nuovi anticoagulanti orali. Lo rivela uno studio condotto in Italia su un campione della Fondazione Ricerca e Salute (ReS)

Una diminuzione dell’incidenza di stroke ischemico e dei costi sanitari è quanto risulta da uno studio osservazionale condotto in Italia su una popolazione con fibrillazione atriale in un campione di quasi 13 milioni di persone facenti parte del database della Fondazione Ricerca e Salute (ReS).

Nei pazienti con fibrillazione atriale e ad alto rischio di eventi tromboembolici, le linee guida raccomandano fortemente l’uso di anticoagulanti orali (AO) mentre non sono raccomandati gli antiaggreganti. La pratica clinica riportava invece una percentuale di prescrizioni di AO relativamente bassa e una percentuale relativamente elevata di prescrizione di antiaggreganti piastrinici frutto, probabilmente, del pregresso timore di usare il warfarin al quale veniva non di rado preferita l’aspirina, anche se molto meno efficace allo scopo di prevenire eventi ischemici cerebrali e periferici.

“Abbiamo voluto osservare, da quando i nuovi farmaci anticoagulanti orali (NAO) sono entrati in commercio nel 2012 fino al 2015, cosa è cambiato in termini di prescrizioni di AO riguardo sia agli antagonisti della vitamina K sia ai NAO, come sono modificate le prescrizioni e come è stata l’incidenza di ricoveri per stroke ischemico e per emorragie maggiori, lato negativo dell’uso di questi farmaci.” ha dichiarato Aldo Maggioni, direttore del Centro Studi dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, che ha presentato i risultati al Congresso ESC di Parigi.

Lo studio

“Abbiamo lavorato sul database della Fondazione ReS, che raggruppa dati amministrativi per circa 13 milioni di italiani, ben rappresentativi dell’Italia; per esempio, se si confrontano per taglio di età i soggetti di questo database con quelli dei dati ISTAT vi è una assoluta sovrapponibilità; la base di dati rappresenta circa un quinto degli italiani.” ha dichiarato Maggioni in un’intervista. Sono stati selezionati 194.030 pazienti ricoverati con una diagnosi di fibrillazione atriale tra gennaio 2012 e dicembre 2015 che sono stati seguiti per un anno dalla dimissione per valutare ulteriori accessi in ospedale e le terapie effettuate.

I risultati

I ricoveri per FA sono rimasti praticamente costanti nel corso degli anni (da 3,98 a 4,35/1000 persone/anno), così come sono rimaste abbastanza costanti le caratteristiche dei pazienti al basale per quanto riguarda l’età media (77-78 anni) e il sesso (percentuali circa uguali tra uomini e donne); piccole variazioni sono emerse per quanto riguarda l’incidenza di patologie concomitanti (ipertensione, diabete mellito, BPCO, depressione e neoplasie).

“Dal 2012 al 2015 l’uso degli anticoagulanti complessivamente è aumentato dal 56 al 64%, aumento sicuramente significativo e dovuto all’entrata nella pratica clinica dei NAO che da praticamente zero nel 2012 sono stati utilizzati in oltre un quarto dei pazienti nel 2015. Il warfarin si è ridotto come percentuale di prescrizione, però complessivamente gli AO sono aumentati. Le prescrizioni degli antiaggreganti sono diminuite in maniera molto rilevante, dal 42 al 28% circa; dal 2012 al 2015 c’è quindi una situazione di maggior aderenza alle linee guida internazionali” ha dichiarato Maggioni.

Tra le cause di nuovo accesso ospedaliero, occorre notare il forte calo dello stroke ischemico (dal 21,3 al 14,7%) e dello stroke emorragico (dal 6,5 al 4,1%), con una sostanziale uguaglianza di sanguinamenti maggiori. “Data la natura del nostro studio, puramente osservazionale, la diminuzione dello stroke ischemico non può essere attribuita direttamente al maggior uso degli AO. Si può parlare solo di associazione e non concludere per una causalità” ha chiarito Maggioni.

Dal punto di visto economico, il costo della terapia anticoagulante è aumentato nel periodo oggetto di studio, in quanto i NAO hanno un costo superiore a quello del warfarin o degli antiaggreganti; se si analizza però il costo totale della gestione del paziente con fibrillazione atriale per un anno, questo si è ridotto da 5.927 € nel 2012 a 5.239 € nel 2015; ciò è dovuto sia a una riduzione delle ospedalizzazioni, dovute a cause cardiovascolari o non cardiovascolari, sia a una riduzione sostanziale dei costi di altri farmaci usati in associazione, farmaci che nel tempo sono diventati generici.

“Si osserva un aumento del costo della terapia anticoagulante, ma rispetto al costo complessivo è una frazione veramente poco rappresentativa” ha chiosato Maggioni.
Anche il costo sociale è diminuito, soprattutto se si considera che, a fronte dell’aumento del costo della terapia con NAO, si è verificata sicuramente una riduzione del costo dei controlli che il warfarin richiede; questi costi non sono solo relativi ai costi effettivi degli esami eseguiti in quanto tali, in sé abbastanza bassi, ma ai costi diretti e indiretti che il paziente deve sostenere per sottoporsi ai controlli.

Le conclusioni

“Quando vengono introdotti nella pratica clinica nuovi farmaci che si sono dimostrati utili in trial clinici ben condotti e convincenti, le occasioni per discutere l’area clinica per la quale i farmaci sono stati sviluppati aumentano attraverso molti convegni e congressi; di conseguenza aumenta la consapevolezza su come gestire appropriatamente la situazione clinica, bersaglio dei nuovi farmaci. Nel caso specifico della fibrillazione atriale, con la introduzione dei NAO è sicuramente migliorata l’aderenza alle linee guida per quanto riguarda l’uso corretto degli anticoagulanti. Essendo inoltre i NAO più semplici da usare, con efficacia simile al warfarin, ma meno rischiosi in termini di emorragie cerebrali, l’aumento del loro utilizzo non è da considerarsi inatteso” ha commentato Maggioni.

Thorsten Lewalter, del Peter Osypka Heart Center, Monaco, Germania, chairman della sessione del congresso ESC dove sono stati presentati i risultati, concorda che una miglior copertura anticoagulante può essere la causa della diminuzione dell’incidenza di ictus. “Penso che ci fossero più pazienti non trattati o sottotrattati con FA nel 2012 rispetto al 2015. Il leggero aumento dei ricoveri per emorragie maggiori nel tempo è coerente con un uso più diffuso di una terapia antitrombotica efficace”.