Psoriasi in età fertile: dermatologi a confronto


Psoriasi in età fertile: ecco le indicazioni della Task Force SIDeMaST per la gestione e il trattamento delle donne affette da questa patologia

Psoriasi in età fertile: ecco le indicazioni della Task Force SIDeMaST per la gestione e il trattamento delle donne affette da questa patologia

Affrontare le problematiche relative alla gestione della psoriasi in età fertile nelle donne, prendersi cura di queste pazienti e supportarle nella pianificazione di un’eventuale gravidanza. È l’obiettivo principale della Task Force promossa da SIDeMaST e discusso al World Congress of Dermatology (WCD) 2019, che si è tenuto a Milano.

Le donne in età fertile rappresentano una quota significativa dei pazienti con psoriasi. L’esordio della malattia tende a sovrapporsi al picco della vita riproduttiva (18-45 anni) e a questo si aggiunge il fatto che stanno progressivamente aumentando le donne che scelgono di avere una gravidanza più avanti nella vita e che circa la metà delle gravidanze non è pianificato.

Molte donne non ricevono un trattamento ottimale durante la gravidanza o stanno già assumendo farmaci che potrebbero non essere compatibili con la gestazione al momento del concepimento, ha spiegato nella sua relazione al congresso la dr.ssa Francesca Prignano che, insieme a un gruppo di colleghe dermatologhe, compone la Task Force SIDeMaST.

L’attività della malattia può variare in funzione dei cambiamenti ormonali nel corso della vita della donna o durante ogni fase della vita riproduttiva. Il 65% delle donne con psoriasi sperimenta un peggioramento dell’attività della malattia dopo il parto, potenzialmente come conseguenza di un’aumentata produzione di citochine T helper 1 (Th1) nelle prime fasi successive al parto. Il 30-40% delle donne correla l’esordio dell’artrite psoriasica al periodo postpartum.

Nelle gravidanze successive si verifica generalmente un miglioramento o un peggioramento della malattia a seconda rispettivamente che le pazienti siano migliorate o peggiorate durante le gravidanze precedenti.

Comorbidità
Le donne affette da artrite reumatoide hanno più difficoltà a concepire e richiedono più tempo perché si instauri una gravidanza. Anche le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD) possono influenzare la fertilità femminile. L’infiammazione sistemica impatta sull’asse riproduttivo ipotalamo-ipofisi-gonadi, sull’equilibrio degli ormoni sessuali e sulla riduzione delle riserve ovariche. Una ridotta fertilità può essere una conseguenza di comportamenti poco salutari e/o comorbidità, come fumo, obesità, diabete e sindrome dell’ovaio policistico.

Effetto della psoriasi su gravidanza e nascituro
Sono disponibili pochi studi ampi basati sulla popolazione relativi alla gravidanza e agli esiti sul nascituro nelle donne con psoriasi. La malattia può essere associata a obesità, ipertensione, diabete, depressione e altre malattie infiammatorie croniche come le IBD, condizioni associate a esiti negativi sulla gravidanza e parto. Inoltre le pazienti psoriasiche sono più propense a stili di vita poco salutari come fumo e alcol, a loro volta associati ad outcome avversi su gravidanza e parto.

Un eccesso di cellule T helper 17 (Th17) in rapporto alle cellule T regolatorie (Treg) comporta outcome di gravidanza peggiori nelle pazienti affette da malattie autoimmuni con complicanze in gravidanza. L’aumento dell’attività immunitaria sistemica che coinvolge le Th17 e le cellule Th1 nella psoriasi potrebbe essere causa di esiti sfavorevoli.

I dati sugli esiti della gravidanza nelle pazienti con psoriasi sono conflittuali. Sebbene sia stato riportato un aumento del rischio di aborti spontanei in caso di psoriasi severa, alcuni studi hanno rilevato anche esiti avversi come parto prematuro e ridotto peso alla nascita, aumento del rischio di diabete gestazionale, ipertensione gestazionale, preeclampsia, parto cesareo.

Altre malattie infiammatorie e autoimmuni come artrite reumatoide e IBD sono state associate a un minor peso alla nascita, parto prematuro e aborto spontaneo.
Altri fattori di rischio sono l’età avanzata al concepimento, un indice di massa corporea elevato prima della gestazione, fumo, consumo di alcol, diabete e ipertensione.

Trattamento
Il dermatologo rappresenta un interlocutore di riferimento per le pazienti affette da psoriasi in età fertile e la visita dermatologica costituisce un’opportunità per condurre un accurato dialogo sulla pianificazione familiare e su tutte le possibili implicazioni della malattia e del suo trattamento sul concepimento, sulla gravidanza e sul periodo immediatamente successivo.

La gestione terapeutica delle pazienti psoriasiche deve tener conto ovviamente del loro desiderio di maternità e della necessità di un’adeguata contraccezione in caso siano prescritti farmaci.

In una donna affetta da una malattia infiammatoria cronica in età fertile è necessario impostare un trattamento capace di controllare la sua condizione e che al contempo risulti sicuro rispetto ai potenziali rischi in caso di gravidanza. Ogni paziente va adeguatamente informata rispetto alle eventuali precauzioni da adottare.

Come riportato nel riepilogo SIDeMaST sul trattamento, facendo riferimento alle classi di teratogenicità proposte dalla Food and Drug Administration nessuno dei farmaci sistemici utilizzati per la psoriasi e per l’artrite psoriasica è considerato sicuro in gravidanza (Classe A) per mancanza di dati specifici in letteratura.

Acitretina e methotrexate (MTX) sono riconosciuti come teratogeni (classe X).
Ciclosporina, apremilast e dimetilfumarato sono collocati in classe C, ossia il cui uso è da riservarsi nei casi in cui il beneficio giustifica il rischio potenziale.

Terapia biologica
Riguardo ai farmaci biologici più recenti, i dati attualmente a disposizione sull’effetto teratogeno o su eventuali complicanze della gravidanza sono rassicuranti, tanto da poterne considerare l’impiego durante la gestazione quando la gravità della malattia lo richieda.

I farmaci biologici attualmente in uso in Italia (infliximab, adalimumab, etanercept, certolizumab, golimumab, ustekinumab, secukinumab, ixekizumab e guselkumab) vengono tutti classificati in classe B (non hanno dimostrato effetti teratogeni né tossicità negli animali, ma non esistono studi controllati nell’uomo). In particolare studi clinici di farmacocinetica condotti su donne in gravidanza hanno documentato che certolizumab, per via della sua struttura molecolare priva del frammento Fc, presenta un trasporto placentare nullo o minimo, per cui può essere utilizzato durante tutta la gravidanza, se clinicamente necessario.

Ciononostante le schede tecniche di tutti i farmaci biologici consigliano la contraccezione durante la terapia, un accorgimento che inoltre consente di pianificare la gravidanza in un momento in cui l’infiammazione è sotto controllo.

Le linee guida del 2017 della British Association of Dermatologists relative alla terapia biologica per la psoriasi puntualizzano l’importanza del controllo della malattia severa o instabile per mantenere la salute della madre ed evidenziano il fatto che la maggior parte delle gravidanze in donne che assumevano terapie biologiche al concepimento o in gravidanza hanno avuto esito positivo.

Certolizumab
Essendo privo del frammento Fc, certolizumab non dovrebbe essere trasportato attivamente attraverso la placenta dal recettore Fc neonatale, lasciando solo la diffusione passiva come possibile meccanismo che spiega l’eventuale rilevazione di concentrazioni del farmaco nei bambini esposti al farmaco.

Secondo lo studio prospettico CRIB1 di farmacocinetica, i livelli di certolizumab al parto in 14 bambini variavano da non-rilevabile a livelli minimi di farmaco pari a 0,042 μg/ml in un solo bambino, rispetto a livelli plasmatici medi materni di 24,4 μg/ml, con un rapporto di concentrazione plasmatiche bambino/mamma di 0,0009.

Nelle linee guida congiunte del 2016 della British Society of Rheumatology (BSR) e della British Health Professionals in Rheumatology (BHPR) sulla prescrizione dei farmaci durante la gravidanza e l’allattamento, in riferimento alle terapie con inibitori del TNF certolizumab è l’unico farmaco della classe il cui impiego viene definito compatibile con tutti e tre i trimestri di gravidanza in virtù del basso trasferimento placentare rispetto agli altri inibitori.

«Oggi abbiamo a disposizione anche dei farmaci che consentono di controllare la malattia, come i biologici, e tra questi l’anti TNF-alfa certolizumab che non attraversa la placenta o lo fa in minima parte e che ci consente di avere una notevole tranquillità nell’utilizzo sia in gravidanza che durante l’allattamento, in quanto è sostenuto da studi clinici che confermano un passaggio minimo del farmaco al feto o al neonato che viene allattato al seno», ha spiegato Clara De Simone, Professore aggregato di Dermatologia e Venereologia e Dirigente di I livello UOC del Policlinico Gemelli di Roma e coordinatrice della Task Force SIDeMaST.

Farmaci biologici e trasferimento transplacentare
Gli anticorpi trasmessi dalla madre sono fondamentali per fornire immunità al neonato e proteggerlo dalle infezioni durante i primi mesi di vita, prima che possa maturare il proprio sistema immunitario. Le immunoglobuline G (IgG) materne o terapeutiche, come nel caso dei biologici, sono in grado di superare la placenta dopo la 22esima settimana di gravidanza e in modo sempre più efficiente con il progredire della gestazione, così che prima del parto i loro livelli sierici nel feto sono superiori a quelli della madre.

Gli anticorpi materni attraversano la placenta tramite trasporto attivo attraverso il Neonatal Fc receptor (FcRn) sulle cellule trofoblastiche ed entrano nella circolazione fetale. Trattare la madre nel secondo trimestre potrebbe già portare a una concentrazione di farmaco più alta nel feto, superando a volte quella materna nel terzo trimestre.

Per via del trasporto transplacentare accelerato nel secondo e terzo trimestre di gestazione, il trattamento con inibitori del TNF durante la gravidanza si pensa che possa determinare immunosoppressione neonatale con un aumento del rischio di contrarre infezioni nel neonato. I figli di madri sottoposte a terapie biologiche per la psoriasi oltre la 16a settimana di gestazione non dovrebbero ricevere nessuna vaccinazione prima del raggiungimento dei 6 mesi di età.

Farmaci biologici e allattamento
Il passaggio delle IgG nel latte umano è minimo dopo i primi 4 giorni successivi al parto, dato che hanno grandi dimensioni e che il trasferimento delle molecole biologiche nel latte materno dipende dalla loro dimensione e dalla loro lipofilia.

Anche l’assorbimento è minimo perché gli enzimi e gli acidi digestivi del neonato rompono la struttura proteica dei farmaci. Le restanti IgG nell’intestino vengono assorbite attraverso transcitosi attiva mediata dal Neonatal Fc receptor (FcRn).

Nel complesso l’uso di farmaci biologici durante l’allattamento non ha evidenziato effetti collaterali, con uno sviluppo normale dei neonati.

Nello studio prospettico CRADLE di farmacocinetica certolizumab ha evidenziato un trasferimento minimo nel latte materno con concentrazioni che, quando misurabili, erano <1% di quelle plasmatiche.

Conclusioni
⦁ La gravidanza può essere non pianificata, specialmente nella psoriasi.
⦁ Le donne con psoriasi severa sono spesso sottotrattate
⦁ Le opzioni di trattamento per le donne in età fertile sono limitate
⦁ Quando si tratta una donna con psoriasi nel corso dell’età riproduttiva è importante tenere conto del problema di un’eventuale gravidanza
⦁ Va incoraggiato il consulto medico prima del concepimento, specialmente con dermatologi e medici di famiglia, in modo da migliorare gli esiti per la madre, per la gravidanza e per il neonato
⦁ Riguardo le scelte terapeutiche è essenziale la condivisione delle decisioni e un confronto multidisciplinare.