Sì ai migranti da 8 italiani su 10 se lavorano gratis


Indagine Ue.Coop/Ixe’: l’80% è favorevole all’accoglienza temporanea dei migranti ma chiede lo svolgimento di attività di pubblica utilità e l’obbligo di apprendere l’Italiano

Indagine Ue.Coop/Ixe': l'80% è favorevole all'accoglienza temporanea dei migranti ma chiede lo svolgimento di attività di pubblica utilità e l'obbligo di apprendere l'Italiano

Otto italiani su 10 (79%) chiedono di far lavorare gratuitamente in attività di pubblica utilità i migranti in cambio dell’accoglienza, anche se per un periodo limitato. È quanto emerge dall’indagine Ue.Coop/Ixe’ presentata all’assemblea elettiva nazionale dell’Unione Europea delle Cooperative “Un’altra cooperazione” per la tavola rotonda sul tema “Immigrazione e lavoro”.

Il fattore determinate nello scatenare l’ostilità degli italiani nei confronti dei migranti è proprio il fatto di essere assistiti senza lavorare che – sottolinea Ue.Coop – infastidisce ben il 30% dei cittadini prima della paura per la delinquenza (29%), mentre non si riscontrano discriminazioni razziali con solo il 4% che dice di essere preoccupato perché sono diversi e ben il 26% che non si ritiene per nulla disturbato dalla loro presenza”.

Il lavoro è la leva principale dell’integrazione con molteplici attività di pubblica utilità ritenute necessarie per compensare l’aiuto ricevuto con il vitto e alloggio nell’accoglienza. Nell’ordine, a giudizio degli italiani, potrebbe essere utile impiegare il lavoro degli immigrati accolti nella cura del verde pubblico (57%), la pulizia delle strade (54%), l’agricoltura (36%), la tutela del patrimonio pubblico (30%), la cura degli anziani (23%), secondo l’indagine Ue.Coop/Ixe’.

Analogamente, due terzi dei cittadini vedono con favore l’ipotesi di tirocini gratuiti, predefiniti nel tempo, in aziende private nell’ottica di ‘imparare un mestiere’.

Più di 1 italiano su 2 sarebbe inoltre favorevole a coinvolgere i migranti nel recupero dei piccoli borghi abbandonati e per combattere lo spopolamento dei territori.

“L’83% dei cittadini – precisa Ue.Coop – ritiene peraltro che gli immigrati, durante la loro permanenza in Italia, dovrebbero frequentare obbligatoriamente un corso di lingua italiana durante la fase di accoglienza. E, in occasione del Consiglio Europeo, il 71% degli intervistati ritiene che l’Italia sia in credito con l’Europa sulla questione migranti, mentre sull’atteggiamento da adottare nei confronti degli sbarchi gli italiani si dividono con il 46% che ritiene che i barconi dovrebbero essere respinti impedendo loro di raggiungere le coste italiane mentre gli altri non sono d’accordo”.

Diffuso è invece il disappunto rispetto all’attuale forma di gestione dell’immigrazione con appena il 33% degli italiani che giudica positivamente l’operato delle cooperative di accoglienza e ben il 60% che ritieni opportuno distribuire i nuovi arrivati sul territorio nazionale in strutture di piccole o medie dimensioni, con un sistema di ospitalità diffuso piuttosto che in grandi strutture concentrate (come vorrebbe il 32%) per l’identificazione, per le procedure di protezione internazionale, richiesta asilo o l’eventuale espulsione.

“Sono probabilmente queste inefficienze ad amplificare la dimensione del problema immigrazione in Italia e a determinare l’atteggiamento rispetto alla strategia da adottare che vede 2 italiani su 10 favorevoli all’accoglienza tout court, un altro 20% incline a rifiutare decisamente ulteriori presenze e una quota prevalente (il 56%) che – conclude Ue.Coop – opta per un indirizzo misto: accettazione di una quota prefissata e respingimento o redistribuzione in Europa degli altri, in sostanziale sintonia con le parole di Papa Francesco che chiede di “accogliere tanti rifugiati quanti si può e quanti si può integrare, educare, dare lavoro facendolo con “la virtu’ del governo, che è la prudenza”.

Oltre 1 milione di migranti in fila alle mense dei poveri

Dall’analisi di Ue.Coop emerge inoltre che in Italia sono oltre un milione i migranti, gli stranieri e le comunità rom che hanno ricevuto aiuti alimentari sotto forma di pacchi dono o accesso alle mense dei poveri durante l’anno. Si tratta di oltre 1/3 del totale dei 2,7 milioni che hanno beneficiato in Italia di questo tipo di assistenza nel 2017, sulla base dei dati sugli aiuti alimentari distribuiti con i fondi Fead attraverso l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea).

“Ad avere bisogno di aiuto per mangiare – sottolinea la Ue.Coop – sono dunque oltre il 20% dei 5,1 milioni di stranieri presenti in Italia, secondo il bilancio demografico dell’Istat per il 2017 e appare dunque molto lontano l’obiettivo indicato da Papa Francesco di “accogliere tanti rifugiati quanti si può e quanti si può integrare, educare, dare lavoro” con “la virtu’ del governo, che è la prudenza”.

Secondo un’analisi Ue.Coop su dati Istat, le famiglie composte da soli stranieri faticano molto più di quelle italiane ad arrivare a fine mese, con la spesa media degli italiani che è superiore del 56% rispetto a quella degli stranieri che possono spendere in media mille euro in meno (1.679 euro contro 2.624 euro). La scarsa disponibilità di denaro obbliga i nuclei familiari composti da migranti a concentrare le risorse su beni e servizi essenziali: il 22% è destinato alla spesa alimentare e il 36,8% all’abitazione, mentre sono nettamente più contenute per ricreazione, spettacoli e cultura e per servizi ricettivi e di ristorazione. Solo la spesa per le comunicazioni è più elevata, per la necessità di contattare parenti e amici nei propri paesi di origine.

Una situazione di difficoltà che diventa ancora più evidente nel caso di diversi indicatori, a partire da quello sulla povertà. Secondo un’analisi Ue.Coop su dati Istat, quasi una famiglia straniera su tre (29,2%) si trova in situazione di povertà assoluta, contro il 5,1% delle famiglie composte da soli italiani, con punte di oltre il 40% nel Mezzogiorno. “La situazione non migliora – afferma Ue.Coop – se si prendono in esame i dati sulla povertà relativa, dove le famiglie italiane in difficoltà sono il 10,5% del totale, contro il 34,5% di quelle straniere”.

“Anche il grado di istruzione degli stranieri – evidenzia Ue.Coop – è ancora inferiore a quello degli italiani: tra gli stranieri di 15-64 anni, oltre la metà ha conseguito al massimo la licenza media, il 35,1% ha un diploma di scuola superiore e il 10,7% una laurea (mentre sono laureati il 17,2% degli italiani di 15-64 anni)”.

Secondo l’analisi Ue.Coop su dati Istat, complessivamente gli stranieri rappresentano l’8,5% dell’intera popolazione italiana, con un incremento nel 2017 di 97.412 unità, trainato soprattutto dall’arrivo di uomini (+67.593 unità, pari a +2,8%) mentre è più contenuto l’incremento delle donne (+29.819, pari a +1,1%).

Cooperative e migranti: ci sono anche esempi virtuosi

C’è la cooperativa che con i migranti fa rinascere un piccolo comune della Calabria semi spopolato e quella che invece in un borgo medioevale della Toscana insegna la convivenza ai ragazzi che arrivano da zone di guerra, ma c’è anche chi anticipa il Governo e si inventa il centro per l’impiego del futuro e chi organizza task force per salvare piazze, parchi e spazi pubblici insieme agli stranieri.

All’indomani del blitz della Polizia a Latina arrivano anche alcuni esempi di quella cooperazione buona che fa bene all’Italia presenti a Roma a Palazzo Rospigliosi da Ue.Coop.

Con 4mila realtà iscritte e oltre 600mila soci l’attività di Ue.Coop si estende a tutto il territorio nazionale con un’azione che affronta i principali problemi del Paese: dallo spopolamento dei piccoli borghi alla riqualificazione degli spazi urbani, dall’impatto dei migranti nella società italiana all’inserimento dei disabili, dal lavoro alle attività anti spreco.

“Fare bene – spiega Ue.Coop – significa sviluppare l’economia senza perdere il valore sociale della vera cooperazione, come a Camini, minuscolo comune in provincia di Reggio Calabria, con poco più di 250 abitanti, quasi tutti anziani dove la cooperativa Eurocoop fa rivivere il paese, insegnando ai migranti mestieri come muratore, falegname, fabbro e inserendoli nella comunità locale”.

In Toscana, nel borgo medioevale di Rondine, in provincia di Arezzo, la cooperativa La Rondine ospita studenti che arrivano da zone di guerra come Balcani, Caucaso, Medio Oriente e Africa, studiano insieme, sperimentano la convivenza e la pace e poi tornano nei loro Paesi di origine per costruire un futuro per le loro comunità nazionali. Ma fra le cooperative c’è anche chi, come la Patchanka di Torino, ha anticipato i progetti nazionali di riforma dei centri per l’impiego passando dalla semplice ricerca di occupazione con l’incrocio di domande e offerta, alla creazione di occasioni di lavoro anche per disabili e soggetti disagiati con attività che vanno dalla sartoria di qualità al ristorante a km zero con una mensa sociale per chi è in difficoltà.

Ma la cooperazione che fa bene all’Italia riguarda anche il recupero degli sprechi come la coop sociale “Felici da matti” attiva in Calabria nei territori della Locride, nel Crotonese e nella Piana di Gioia Tauro, dove raccoglie indumenti usati da trasformare in salviette di cotone per la pulizia di macchinari industriali in cantieri navali, industrie grafiche, tipografie, autofficine o fabbriche di marmi, ma, coinvolgendo i migranti, si occupa anche della raccolta di olio esausto vegetale che unito al Bergamotto grazie a un’antica ricetta crea un sapone naturale, il “Bergolio”.

In Piemonte la coop “Chicco Cotto” creata all’interno dell’Istituto Cottolengo di Torino coinvolge ragazzi disabili psicofisici nella gestione dei distributori automatici di caffè, snack e bevande insegnando loro non solo a rifornire le macchine, ma anche a tenere la contabilità dei prodotti inseriti e gli intervalli di intervento sui distributori.

E sempre in Piemonte la “Magazzini di Oz” si occupa di ristorazione impegnando e valorizzando giovani under 30 allo scopo di sostenere l’associazione Casa di Oz che si occupa di dare sollievo e assistenza con ospitalità di lungo termine e assistenza psicologica alle famiglie con bambini gravemente malati e ricoverati all’ospedale Regina Margherita di Torino.