Stop CETA: la protesta arriva davanti a Montecitorio


Coldiretti in piazza: “Con l’accordo Europa-Canada via libera al falso Made in Italy”

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Coldiretti parla di un precedente disastroso a livello internazionale

ROMA – Stop al CETA, il trattato di libero scambio con il Canada. È quanto chiedono migliaia di allevatori, agricoltori, consumatori, sindacalisti, ambientalisti, rappresentanti della società civile e cittadini che si sono dati appuntamento in piazza Montecitorio.

La protesta, organizzata dalla Coldiretti, ha l’obiettivo di fermare l’accordo che per la prima volta nella storia dell’Unione europea accorda a livello internazionale il via libera alle imitazioni dei nostri prodotti più tipici e spalanca le porte all’invasione di grano duro e a ingenti quantitativi di carne a dazio zero.

A fianco della Confederazione sono scese in piazza numerose altre organizzazioni (Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch) che chiedono di procedere senza fretta ad una discussione approfondita in Parlamento prima di assumere una decisione di ratifica che porterebbe ad un’indiscriminata liberalizzazione e deregolamentazione degli scambi con una vera e propria svendita del made in Italy. È stato esposto per la prima volta su un banco della Coldiretti il “maxipacco” con le imitazioni delle specialità nazionali più prestigiose: dai formaggi ai salumi, realizzate in Canada che il Paese nordamericano sarà legittimato a produrre e vendere ai consumatori di tutto il mondo. Ai rappresentanti delle istituzioni, della politica e della società civile gli agricoltori della Coldiretti stanno distribuendo sacchetti di grano canadese con scritto “Così si uccide il Meridione” ma sono anche mostrati coupon di Facebook di una nota catena distributiva per acquistare pomodori San Marzano Made in Canada.

Nei cartelli si legge “No alla Fontina Made in Canada”, “Non svendiamo i nostri marchi storici”, “Il Parmesan canadese umilia l’Italia”, “Il prosciutto di Parma si fa solo in Italia”, “#stopCETA per salvare il Made in Italy”. In piazza anche moltissimi gonfaloni dei Comuni che hanno aderito alla mobilitazione.

Cosa cambia con il CETA

Per la prima volta nella storia l’Unione Europea legittima in un trattato internazionale la pirateria alimentare a danno dei prodotti italiani. Coldiretti parla di un precedente disastroso a livello internazionale proprio mentre il CETA è approdato in Parlamento dove è in corso la discussione per la ratifica del Trattato di libero scambio con il Canada.

“La svendita dei marchi storici del made in Italy agroalimentare non è solo un danno sul mercato canadese ma – sottolinea la Coldiretti – è soprattutto un pericoloso precedente nei negoziati con altri Paesi anche emergenti che sono autorizzati cosi a chiedere le stesse concessioni”.

Oltre a formaggi e salumi, nessun limite è previsto nel CETA neppure per i wine kit che promettono di produrre in poche settimane le etichette più prestigiose dei vini italiani, dal Chianti al Valpolicella, dal Barolo al Verdicchio che il Canada produce ed esporta in grandi quantità in tutto il mondo

Casi eclatanti di sfruttamento delle denominazioni per prodotti che nulla hanno a che fare con quelli originali, di cui rappresentano di fatto delle caricature come il Romano che scimmiotta il pecorino romano ma è fatto con latte di mucca invece che con quello di pecora. Secondo il Dossier della Coldiretti, ben 250 denominazioni di origine (Dop/Igp) italiane riconosciute dall’Unione Europea non godranno di alcuna tutela sul territorio canadese.

Peraltro il CETA dà il via libera all’uso di libere traduzioni dei nomi dei prodotti tricolori (un esempio è il parmesan) mentre per alcuni prodotti (asiago, fontina e gorgonzola) è consentito in Canada l’uso degli stessi termini accompagnato con “genere”, “tipo”, “stile”, e da una indicazione visibile e leggibile dell’origine del prodotto. Ma se sono stati immessi sul mercato prima del 18/10/2013 possono essere addirittura commercializzati senza alcuna indicazione.

“La tutela delle indicazioni geografiche riconosciute – rileva Coldiretti – non impedisce l’uso in Canada di indicazioni analoghe per coloro che abbiano già registrato o usato commercialmente tale indicazione (sono compresi nell’eccezione formaggi, carni fresche e congelate e carni stagionate)”. In sostanza si potrà continuare a produrre e vendere “prosciutto di Parma” canadesi in coesistenza con quello Dop ma anche “Daniele Prosciutto” locale. È anche riconosciuta la possibilità di utilizzare parti di una denominazione di una varietà vegetale o di una razza animale (come ad esempio la chianina).

“La presunzione canadese di chiamare con lo stesso nome alimenti del tutto diversi è inaccettabile perché si tratta di una concorrenza sleale che danneggia i produttori e inganna i consumatori” ha affermato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo.

“Si rischia di avere un effetto valanga sui mercati internazionali dove invece l’Italia e l’Unione Europea hanno il dovere di difendere i prodotti che sono l’espressione di una identità territoriale non riproducibile altrove, realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione e sotto un rigido sistema di controllo” ha aggiunto.

L’invasione di grano canadese

Come spiega ancora la Confederazione, con la prospettiva dell’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada sono aumentati del 15% gli sbarchi di grano duro del Paese nordamericano in Italia nei primi due mesi del 2017.

Le manovre speculative con il taglio dei prezzi pagati ai produttori agricoli sotto i costi di produzione stanno provocando la scomparsa della coltivazione in Italia, dove si assiste alla decimazione delle semine di grano. “Lungo lo Stivale sono crollate del 7,3% per un totale di 100mila ettari raccolti in meno” ha affermato Moncalvo.

“In pericolo non ci sono solo la produzione di grano e la vita di oltre trecentomila aziende agricole che lo coltivano, ma anche un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy” ha aggiunto.

Oggi, con le quotazioni del grano a 24 centesimi al chilo gli agricoltori italiani ne devono vendere più di 4 chili per poter acquistare un caffè. Una realtà che rischia di essere aggravata dall’approvazione del CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) con il Canada, che prevede l’azzeramento strutturale dei dazi indipendentemente dagli andamenti di mercato.

Circa la metà del grano importato dall’Italia arriva, infatti, proprio dal Paese nordamericano dove le lobby in vista dell’accordo CETA sono già al lavoro contro l’introduzione in Italia dell’obbligo di indicazione della materia prima per la pasta previsto per decreto e trasmesso all’Unione Europea, trovando purtroppo terreno fertile anche in Italia.

Una necessità per nascondere ai consumatori il fatto che già lo scorso anno sono arrivate in Italia oltre un milione di tonnellate dal Canada dove viene fatto un uso intensivo di glifosato nella fase di pre-raccolta per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato che è però vietato in Italia perché accusato di essere cancerogeno.

Tale sostanza chimica è stata vietata in pre raccolta in Italia dal 22 Agosto 2016, con l’entrata in vigore del decreto del Ministero della Salute, perché accusata di essere cancerogena. Un pericolo quindi anche per i consumatori visto che i cereali stranieri risultati irregolari per il contenuto di pesticidi sono praticamente il triplo di quelli nazionali, a conferma della maggiore qualità e sicurezza del Made in Italy, sulla base del rapporto sul controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti divulgato l’8 Giugno 2017 dal Ministero della Salute.

I campioni con un contenuto fuori legge di pesticidi sono pari allo 0,8% nel caso di cereali stranieri mentre la percentuale scende ad appena lo 0,3% nel caso di quelli di produzione nazionale.