A Bologna arriva “Alessandro Moreschini. L’ornamento non è più un delitto”


Musei Civici d’Arte Antica del Settore Musei Civici del Comune di Bologna sono lieti di accogliere nelle sale del Museo Civico Medievale L’ornamento non è più un delitto, mostra personale di Alessandro Moreschini

alessandro moreschini

Musei Civici d’Arte Antica del Settore Musei Civici del Comune di Bologna sono lieti di accogliere nelle sale del Museo Civico Medievale L’ornamento non è più un delitto, mostra personale di Alessandro Moreschini, a cura di Raffaele Quattrone e realizzata in collaborazione con Ehiweb e Pasöt.

Visitabile dal 17 gennaio 2026 al 22 marzo 2026, il progetto espositivo rientra nel programma istituzionale di ART CITY Bologna 2026 (5 – 8 febbraio), il palinsesto di mostre, eventi e iniziative promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera.

L’inaugurazione si svolge sabato 17 gennaio 2026 alle ore 17.30.

L’ornamento non è più un delitto”: con questa affermazione, pronunciata da Renato Barilli in un testo del 2020 dedicato a Lily van der Stokker e ad Alessandro Moreschini, si apre il percorso della nuova mostra dell’artista al Museo Civico Medievale di Bologna. Una frase che, da dichiarazione critica, diventa oggi titolo e chiave di lettura di un progetto espositivo che rilegge la tradizione decorativa come gesto etico, come pratica di cura e di attenzione verso il mondo.

Da tempo Alessandro Moreschini (Castel San Pietro Terme, 1966) ha scelto una strada appartata e rigorosa, lontana dalle retoriche del minimalismo più severo e dalle promesse dell’ipertecnologia: una strada in cui l’ornamento non è aggiunta, ma pensiero; non maschera, ma rivelazione. Le sue superfici lavorate – trame meticolose, vegetali, iperdecorative – non rivestono gli oggetti: li trasformano. Sono presenze che respirano, microcosmi silenziosi capaci di insinuarsi negli interstizi del visibile e di restituire agli oggetti quotidiani una energia inattesa, una vibrazione interna.

Già alla fine degli anni ’90, Barilli aveva individuato in Moreschini una voce originale nel panorama italiano, inserendolo nella storica mostra collettiva Officina Italia e riconoscendo in quel giovane rigore decorativo una forza irradiante, “una preziosa limatura di ferro”. Oggi, quell’intuizione trova piena maturità in un lavoro che ha saputo svilupparsi con costanza, approfondendo la natura politica e sensibile dell’ornamento.

Perché l’ornamento, lungamente esiliato dal canone occidentale come elemento superfluo o sospetto, riemerge qui come linguaggio glocal: attento alle culture visive non egemoniche, aperto al desiderio, alla spiritualità, alla dimensione affettiva del guardare. È un’arte apparentemente “debole”, perché priva di monumentalismo, ma in realtà radicale nella sua prossimità, nel suo farsi presenza quotidiana, nel suo ritessere i nessi tra corpo, oggetto e mondo.

L’incontro con il Museo Civico Medievale offre a Moreschini un territorio ideale: uno spazio fatto di stratificazioni, memorie, oggetti votivi, preziosità minute, miniature, ori, che da secoli interrogano il nostro rapporto con il sacro, il simbolico, il potere evocativo delle superfici. Le opere contemporanee si insinuano tra i reperti storici senza competere con essi, ma stabilendo un dialogo osmotico, a tratti segreto, in cui la luce, il colore e il ritmo decorativo diventano ponti tra epoche e sensibilità differenti.

Il percorso espositivo – articolato in diversi ambienti del museo – accoglie interventi concepiti come presenze integrative, non invasive: opere che crescono come un’edera visiva sulle architetture e sugli oggetti del passato, stabilendo legami inattesi. L’artista non impone un nuovo museo: ne rivela uno interno, emotivo, fatto di sussurri decorativi, di brividi luminosi, di dettagli che invitano a rallentare, a guardare con attenzione, a riscoprire il tempo dell’osservazione.

“Ho concepito l’allestimento come un gesto di ascolto. Le opere di Alessandro Moreschini non dovevano imporsi sul Museo Medievale, né mimetizzarsi in esso: dovevano risuonare. Per questo ho scelto un percorso che permette ai lavori di insinuarsi tra gli oggetti storici come presenze vive, capaci di creare legami sottili, quasi segreti, senza interrompere la continuità del luogo. L’ornamento diventa così un ponte tra epoche, un atto di cura che restituisce al museo la sua dimensione di spazio abitato. Ho voluto che il visitatore percepisse l’incontro – non la sovrapposizione – tra passato e contemporaneo: un dialogo a bassa voce, fatto di dettagli, riflessi, vibrazioni. Un allestimento che non aggiunge, ma rivela”, spiega il curatore Raffaele Quattrone.

In un presente caratterizzato da consumo visivo rapido e da una crescente delega dell’immaginazione alle tecnologie dell’automazione, il progetto di Moreschini si pone come un atto di resistenza: un invito a ritornare alla manualità, al gesto, alla gestazione lenta delle superfici; a riconoscere nell’ornamento non una fuga, ma una responsabilità verso ciò che ci circonda.

Renato Barilli scrive: “Sono intervenuto più volte sul lavoro di Alessandro Moreschini, del tutto singolare, come conferma in questa mostra, dove si riscontrano due livelli, ci sono oggetti preziosi da collezionismo, ma se questo non bastasse scende su tutto una pioggia di raffinati frammenti che accrescono la preziosità del tutto.”


L’ornamento non è più un delitto
 diventa così un’affermazione poetica, politica e antropologica: il recupero di un linguaggio che sa essere intimo e universale, umile e complesso, antico e contemporaneo. Un linguaggio che abita, che cresce, che si fa luogo. Che si fa, appunto, museo segreto.