Emofilia B: arrivano nuove conferme per la terapia genica


Emofilia B, arrivano nuove conferme dal NEJM per la terapia genica: a 5 anni 94% dei pazienti senza profilassi

Emofilia B: l'EMA, Agenzia Europea dei Medicinali, inizia la revisione di etranacogene dezaparvovec, terapia genica di CSL Behring
Biochemistry blood tests

I dati a cinque anni dello studio di fase 3 HOPE-B confermano la durabilità dell’effetto terapeutico e il profilo di sicurezza di etranacogene dezaparvovec-drlb, la prima e unica terapia genica approvata per gli adulti con emofilia B. I risultati, pubblicati sul New England Journal of Medicine e presentati in contemporanea al congresso annuale della American Society of Hematology, segnano una pietra miliare nella valutazione a lungo termine delle terapie geniche.

I nuovi dati confermano che una singola infusione di farmaco garantisce un controllo sostenuto dei sanguinamenti e livelli di fattore IX clinicamente rilevanti fino a cinque anni.
Sebbene l’analisi quinquennale rappresenti il termine formale dello studio HOPE-B, i partecipanti continueranno a essere seguiti fino a 15 anni all’interno dello studio esteso IX-TEND, per completare la raccolta di dati sulla sicurezza e sulla durata dell’efficacia.

Cinque anni senza profilassi per il 94% dei pazienti
Uno dei risultati più rilevanti riguarda la possibilità di abbandonare la profilassi tradizionale: 51 dei 54 pazienti (94%) hanno mantenuto la sospensione del trattamento sostitutivo continuativo per tutti i cinque anni di follow-up.
«Questi risultati rappresentano un momento cruciale per la terapia genica», ha commentato Steven Pipe, professore all’Università del Michigan e ricercatore dello studio. «Per chi ha sempre dovuto affidarsi a infusioni frequenti, ottenere un controllo duraturo dei sanguinamenti da un’unica somministrazione apre la strada a una vita con meno limitazioni».

Attività del fattore IX sostenuta nel tempo
L’attività media del fattore IX – l’obiettivo centrale delle terapie geniche per l’emofilia B – è rimasta stabile nel corso dei cinque anni:
• 41,5% al primo anno
• 36,7% al secondo
• 38,6% al terzo
• 37,4% al quarto
• 36,1% al quinto anno
Valori di questa entità, ben al di sopra delle soglie di moderata gravità, sono coerenti con una riduzione significativa del rischio di sanguinamenti.

Sanguinamenti ridotti del 90% rispetto alla profilassi
Il beneficio clinico si è tradotto in una riduzione marcata dei tassi annualizzati di sanguinamento (ABR):
• −90% per tutti i sanguinamenti (da 4,16 a 0,40)
• −93% per i sanguinamenti articolari
• −94% per i sanguinamenti spontanei
Solo un paziente ha ripreso la profilassi continuativa, al mese 30 post-infusione.

Un profilo di sicurezza favorevole confermato nel lungo periodo
Etranacogene dezaparvovec ha dimostrato di essere generalmente ben tollerato, senza eventi avversi gravi correlati al trattamento. La maggior parte degli eventi attribuiti alla terapia si è verificata nei primi quattro mesi dopo l’infusione, con soltanto cinque eventi correlati registrati tra il quarto e il quinto anno.
L’aumento delle transaminasi (ALT) è stato l’evento più frequente, gestito con corticosteroidi reattivi in circa il 17% dei pazienti, per una durata media di poco superiore agli 80 giorni.
Nessun caso di inibitori del fattore IX è stato rilevato.

Commento degli autori
I dati di fine studio dello HOPE-B mostrano che una singola dose di etranacogene dezaparvovec ha prodotto un’espressione endogena del fattore IX Padua duratura ed efficace per 5 anni in partecipanti con emofilia B grave o moderatamente grave. I tassi annualizzati di sanguinamento sono rimasti bassi e si è osservata una netta riduzione del consumo di fattore IX esogeno. La maggior parte degli eventi avversi correlati alla terapia genica si è verificata nei primi 6 mesi dopo l’infusione e non è emersa alcuna oncogenicità correlata all’AAV nei 5 anni successivi.
Dei 52 partecipanti che avevano interrotto la profilassi al termine dell’infusione, solo uno l’ha ripresa durante i 5 anni di follow-up.

Quasi metà dei partecipanti aveva anticorpi neutralizzanti contro AAV5 al momento dello screening. Tradizionalmente, tali pazienti vengono esclusi dagli studi di terapia genica epatica, poiché si ritiene che gli anticorpi possano compromettere la transduzione. Tuttavia, anche i partecipanti con anticorpi neutralizzanti hanno ottenuto livelli di fattore IX associati a protezione emostatica, senza differenze marcate rispetto ai soggetti senza anticorpi. Solo un paziente con un titolo eccezionalmente elevato non ha mostrato transduzione evidente. La soglia oltre la quale tali anticorpi impediscono la terapia non è ancora definita.

L’espressione stabile del fattore IX in HOPE-B contrasta con la diminuzione o perdita progressiva dell’espressione del fattore VIII osservata in alcuni studi di terapia genica per emofilia A. Le possibili ragioni includono differenze biologiche tra i due fattori e diversi meccanismi di espressione epatocitaria.

La maggior parte dell’espressione transgenica derivante da vettori AAV è episomale, ma una piccola percentuale (0,1–3%) può integrarsi nel DNA degli epatociti. Nonostante la divisione lenta degli epatociti maturi dovrebbe favorire la diluizione degli episomi, studi precedenti e i dati di HOPE-B suggeriscono una persistenza stabile dell’espressione, forse favorita da:
– integrazione in una piccola quota di epatociti,
– proliferazione clonale di cellule integrate,
– persistenza episomale in epatociti non proliferanti.

Non sono state osservate complicanze come trombosi o inibitori del fattore IX. Non si è verificata microangiopatia trombotica, riportata invece con vettori non-AAV5 ad alte dosi. Anche i rischi epatici a lungo termine tipici della terapia genica (infiammatoria o degenerativa) non sono emersi. Gli aumenti di ALT osservati nelle prime 12 settimane sono stati gestiti con corticosteroidi, pur contribuendo alla variabilità individuale dei livelli di fattore IX.

Esiste un rischio teorico di carcinoma epatocellulare legato a integrazione AAV, soprattutto in contesti neonatali sperimentali. Tuttavia, nei 500 anni-paziente complessivi accumulati tra diversi studi su vettori simili, non è stato osservato alcun carcinoma epatocellulare correlato. In HOPE-B, oltre metà dei partecipanti aveva una storia di epatite B o C (ma senza replicazione virale attiva), quindi è necessaria un’osservazione prolungata.

In conclusione, una singola infusione di etranacogene dezaparvovec ha fornito una correzione stabile, con livelli di fattore IX nella fascia dell’emofilia lieve o addirittura normale in oltre il 90% dei pazienti per 5 anni, accompagnata da riduzione dei sanguinamenti e del fabbisogno di fattore esogeno. Non sono emersi segnali oncogeni o tossicità epatiche a lungo termine. Resta la variabilità individuale nella risposta.
I partecipanti continueranno il follow-up per 15 anni nello studio IX-TEND.

Un successo nato da una scoperta italiana
La protagonista nascosta della terapia genica non è soltanto la tecnologia AAV5 né la strategia di una singola infusione. È una mutazione scoperta in Italia, in un paziente seguito a Padova, destinata a diventare uno dei passaggi chiave della ricerca ematologica moderna: la variante Padova (R338L) del gene del fattore IX.

Questa mutazione, descritta scoperta e descritta nel 2009 da un gruppo italiano guidato da Alberto Simioni dell’Università di Padova, in un lavoro pubblicato sul New England Journal of Medicine. Il prof. Simioni, specialista in ematologia, che studiò un paziente padovano con una storia clinica insolita: episodi di trombosi associati a livelli sorprendentemente elevati di attività coagulante del fattore IX, non spiegabili dalle metodiche diagnostiche standard.

La scoperta di un livello insolitamente alto di attività coagulativa in un singolo paziente, si sarebbe rivelata una risorsa terapeutica preziosissima. Tanto da diventare il cuore del transgene inserito nella prima terapia genica mai approvata per l’emofilia B.

Oggi, i dati a cinque anni dello studio HOPE-B — pubblicati sul New England Journal of Medicine — confermano definitivamente che quella mutazione “padovana” ha contribuito a trasformare la gestione della malattia.

Una terapia ormai adottata in più Paesi
La terapia genica è attualmente approvato negli Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Svizzera, Australia, Arabia Saudita, Taiwan, Corea del Sud, Singapore e Hong Kong, oltre a disporre dell’autorizzazione condizionata della Commissione Europea per UE e SEE. Ad oggi, oltre 75 persone in otto Paesi sono state trattate nella pratica clinica, testimonianza di una crescente adozione globale.

Pochi giorni fa è stato trattato con il farmaco il primo paziente italiano

«Siamo orgogliosi di condividere questi risultati che confermano l’impatto duraturo di HEMGENIX», ha dichiarato Deborah Long, responsabile medico globale di CSL. «Ridurre gli episodi emorragici rispetto alla profilassi e liberare i pazienti dal peso delle infusioni regolari è un obiettivo clinico e umano di enorme valore».

Referenza bibliografica
Steven W. Pipe, Wolfgang Miesbach, Michael Recht, Final Analysis of a Study of Etranacogene Dezaparvovec for Hemophilia B Published December 7, 2025, DOI: 10.1056/NEJMoa2514332  leggi