In radio e in digitale, “NOVE” è il nuovo singolo degli ASYAB, ultimo tassello di una quadrilogia che ridefinisce l’identità sonora del duo
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Rumori granulari, stutter, pulsazioni e micro-frammenti animano la superficie del brano come fossero vetri in vibrazione. La batteria segue una logica quasi narrativa: entra in punta di piedi, poi esplode nei momenti chiave: in “NOVE” sembra che il suono stesso diventi un luogo, uno spazio ampio, un ambiente in continua espansione dove elettronica e chitarre si distendono come linee di luce.
Link: https://open.spotify.com/intl-it/track/2rlzod220GpSi4oUru2SO2?si=10dc9ff43318424e
Che cosa significa costruire un brano che non si limita a “raccontare”, ma tenta di spalancare un orizzonte? E quanto di questo orizzonte nasce dall’esigenza di chiudere un ciclo?
Il pezzo vive di un crescendo lento, controllato, in cui tutto appare trattenuto e inevitabile allo stesso tempo: i beat glitchati, i synth arpeggiati, le chitarre che oscillano dal fragile al rovente. È un linguaggio che respira per accumulo, per stratificazione. Come lavorate sulla pazienza del suono? Quanto è difficile lasciare che la tensione si costruisca da sola, senza forzarla?
La dualità tra la chitarra eterea — piena di delay, lunghi riverberi, quasi un’eco di sé stessa—e le distorsioni granulose del climax sembra incarnare due modi di esistere: il sussurro e l’urlo, la contemplazione e la resa totale. Il beat al centro del brano non è solo un cambio ritmico: è una frattura emotiva. Dopo la costruzione lenta e ipnotica dei synth e delle chitarre, arriva questo colpo netto, glitchato, quasi spezzato, che interrompe il flusso e costringe l’ascoltatore a confrontarsi con il suono in modo diverso. È un istante in cui il tempo sembra frammentarsi: la batteria si fa più incisiva, i campioni si scompongono, il groove diventa irregolare, quasi instabile. È come se il brano dicesse: “non puoi più restare sospeso”. Questo break diventa un traguardo: la tensione accumulata esplode, la struttura vacilla e allo stesso tempo apre lo spazio per la distorsione e per il climax successivo.
Come ultimo capitolo della quadrilogia, “NOVE” raccoglie e amplifica le tensioni dei brani precedenti — Do We Wanna Be a Riot, We Will Be Stuck Here Anyway e Carabiner: lo smarrimento, la lotta, l’accettazione, l’urgenza di non restare fermi. È un punto d’arrivo o un punto di ripartenza? Chiude un cerchio o ne apre uno più grande? Forse “NOVE” non vuole dare una risposta, ma suggerire che ogni fine è un passaggio di stato: un legame che non si spezza, semplicemente cambia forma.