Johnson & Johnson, che ha deciso di interrompere anticipatamente lo studio sul suo farmaco sperimentale posdinemab per l’Alzheimer
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Johnson & Johnson, che ha deciso di interrompere anticipatamente lo studio sul suo farmaco sperimentale posdinemab, dopo che un’analisi preliminare dei dati ha stabilito che la terapia non sarebbe riuscita a dimostrare un rallentamento della progressione della malattia rispetto al placebo. Un risultato che pesa, perché posdinemab era considerato uno dei candidati più promettenti all’interno di quella nuova generazione di trattamenti che cercano di aggredire i meccanismi neurodegenerativi al di là dell’amiloide, un campo affollato di tentativi, ma ancora povero di soluzioni efficaci.
La decisione è stata presa sulla base del parere di un Data Monitoring Committee indipendente, incaricato di valutare i risultati intermedi del trial. Il verdetto è stato netto: il farmaco non avrebbe raggiunto l’endpoint primario, cioè un beneficio clinico misurabile nel declino cognitivo, e proseguire lo studio non avrebbe cambiato la situazione. Di fronte a dati del genere, la prassi scientifica richiede di fermarsi per non esporre ulteriormente i pazienti a una terapia che non sta dimostrando efficacia. Johnson & Johnson ha fatto sapere che i risultati completi verranno presentati in un secondo momento, quando l’analisi dei dati sarà stata completata e potrà essere condivisa in modo trasparente con la comunità scientifica.
Un candidato “promettente”, ma ancora poco svelato
Posdinemab è un anticorpo monoclonale che ha come bersaglio la proteina tau, più precisamente nella sua forma patologica. Più in dettaglio, si lega con alta affinità a tau fosforilata nel sito pT217 (fosforilazione all’aminoacido 217), all’interno del dominio “mid-domain” di tau, una regione proline-ricca.
Questo posizionamento distingue posdinemab da altri anticorpi anti-tau che avevano mirato al “N-terminale”: la scelta del mid-domain è stata fatta perché questa regione sarebbe meno soggetta a “troncamenti” della proteina che possono rendere inefficaci gli anticorpi.
L’idea alla base è che, legandosi a tau fosforilata pT217, posdinemab potesse “neutralizzare” la tau patologica — cioè impedirne l’aggregazione e la diffusione (“seeding/spreading”) da un neurone all’altro. Questo, almeno in teoria, avrebbe potuto fermare o rallentare la progressione della neurodegenerazione tipica di Morbo di Alzheimer
Si tratta di una terapia biologica iniettabile, parte di quella pipeline di molecole innovative sviluppate per colpire processi considerati chiave nella progressione dell’Alzheimer, come l’infiammazione cerebrale, la disfunzione sinaptica, la neurotossicità o la clearance anomala di proteine. Non un anticorpo anti-amiloide tradizionale, quindi, ma un tentativo di intervenire su un altro tassello dell’enorme puzzle della malattia.
Una battuta d’arresto che pesa più del singolo fallimento
Che un trial di Alzheimer si interrompa non è una novità — la storia della ricerca sulla malattia è costellata di insuccessi — ma il caso di posdinemab si inserisce in un momento particolarmente delicato, segnato da un rinnovato entusiasmo dopo l’arrivo degli anticorpi anti-amiloide approvati negli Stati Uniti. L’aspettativa era che molecole con meccanismi alternativi avrebbero potuto affiancare o superare questi trattamenti, ampliando lo spettro terapeutico. Il fallimento di J&J ricorda invece perché questo campo resta uno dei più complessi della medicina contemporanea: oltre l’80% dei candidati si ferma tra fase 2 e fase 3, nonostante investimenti imponenti e tecnologie sempre più raffinate.
L’esito negativo alimenta anche un dibattito più ampio sull’impostazione dei trial clinici. In molti sostengono che gli endpoint cognitivi utilizzati oggi per valutare l’efficacia dei farmaci siano poco sensibili, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Altri ritengono che gli studi debbano essere prolungati, o che la selezione dei pazienti debba basarsi su biomarcatori neurobiologici più precisi. Lo stop a posdinemab finirà inevitabilmente per riaccendere queste discussioni.
Johnson & Johnson ha ribadito la propria volontà di continuare a investire nella ricerca neurodegenerativa. La pipeline dell’azienda contiene altre molecole e programmi, e il lavoro sul cervello resta uno dei fronti strategici più rilevanti della sua divisione farmaceutica.