Alzheimer: i risultati dello studio US POINTER


Lo stile di vita rallenta l’invecchiamento cerebrale: i risultati dello studio US POINTER cambiano le regole dell’Alzheimer

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Alla Alzheimer’s Association International Conference 2025 (AAIC) di Toronto sono stati presentati i risultati di US POINTER, il primo grande trial randomizzato condotto negli Stati Uniti che dimostra come un intervento strutturato sullo stile di vita può migliorare la funzione cognitiva e aumentare la “resilienza” al declino in persone anziane a rischio di demenza.

Parallelamente, tre studi ancillari – POINTER-NVPOINTER-Neuroimaging e POINTER-zzz – mostrano che lo stesso intervento ha effetti favorevoli anche su pressione arteriosa, funzionalità vascolare e apnea del sonno, disegnando un quadro di beneficio globale per la salute del cervello e dell’intero organismo.

Un grande trial di prevenzione, in una popolazione “vera”
US POINTER è un trial multicentrico, randomizzato, a singolo cieco, condotto in cinque aree degli USA (California del Nord, Chicago, Houston, Rhode Island, North Carolina). Sono stati arruolati oltre 2.000 partecipanti tra 60 e 79 anni, cognitivamente sani ma con alto rischio di declino: sedentarietà, dieta subottimale, fattori cardiovascolari (ipertensione, dislipidemia, malattia cardiovascolare), familiarità per disturbi di memoria, appartenenza a gruppi etnici a più alto rischio (in particolare persone nere e latine).

Più del 30% dei partecipanti apparteneva a comunità storicamente sottorappresentate nella ricerca clinica; circa il 30% non aveva un’istruzione universitaria. Il tasso di completamento dell’intervento è stato dell’89%, dato notevole per uno studio di due anni su cambiamenti di stile di vita.

Tutti i partecipanti sono stati randomizzati a due tipi di intervento sullo stile di vita, entrambi centrati su quattro pilastri:
– attività fisica,
– dieta tipo MIND,
– stimoli cognitivi e sociali,
– controllo dei fattori di rischio di salute (“know your numbers”, pressione, colesterolo ecc.).

La differenza stava nel grado di struttura e supporto:
• nel gruppo strutturato, programma altamente guidato, 38 incontri di gruppo in due anni, coaching, supervisione di esperti, obiettivi condivisi e monitoraggio stretto;
• nel gruppo self-guided, indicazioni e materiali per cambiare stile di vita, ma con meno incontri (6 in due anni) e maggiore autonomia.

Un aspetto etico importante discusso in conferenza stampa è che non è stato previsto un gruppo di controllo “inattivo”: nessuno è stato lasciato senza intervento. Dato l’alto rischio dei partecipanti (oltre il 70% con familiarità per demenza), i ricercatori hanno ritenuto non accettabile offrire “solo usual care”. Per questo il confronto è tra due livelli di supporto: uno intensivo e uno più leggero. Questo rende più difficile stimare il beneficio assoluto rispetto a nessun intervento, ma consente comunque di misurare l’effetto aggiuntivo della struttura e del supporto continuo.

Cognizione: il gruppo strutturato guadagna 1–2 anni di “età cerebrale”
L’esito principale era una misura composita di funzione cognitiva globale, che integrava memoria, funzioni esecutive e velocità di elaborazione in un singolo punteggio.

In media, la funzione cognitiva è migliorata in entrambi i gruppi, segno che anche il solo “auto–guidarsi” verso uno stile di vita più sano ha un impatto. Tuttavia, il guadagno annuo nel punteggio globale è stato significativamente maggiore nel gruppo strutturato rispetto al self-guided (P = 0,008).

Sulla base di modelli di invecchiamento cognitivo normativo, i ricercatori stimano che, rispetto al gruppo self-guided, le persone nel gruppo strutturato abbiano raggiunto una performance equivalente a quella di adulti più giovani di 1–2 anni. In altre parole, l’intervento strutturato rallenta l’orologio cognitivo di circa 1–2 anni rispetto a un intervento meno intensivo.

Il messaggio, sintetizzato dagli autori, è chiaro:con un trial rigoroso sappiamo ora che i comportamenti salutari, se supportati in modo strutturato, contano davvero per la salute del cervello.

Le testimonianze di due partecipanti, Peter (self-guided) e Phyllis (strutturato), hanno reso tangibili questi numeri: più energia, maggiore prontezza mentale, ritorno alla vita sociale e lavorativa, riduzione di depressione, dolore e fattori di rischio metabolici. Phyllis, in particolare, racconta di aver “perso” il prediabete, l’indicazione a statine, 30 kg di peso e, soprattutto, la convinzione che declino e dolore siano “normali” con l’età.

Pressione, vasi e sonno: gli studi ancillari spiegano il “perché”
Alla conferenza CTAD sono stati presentati i primi risultati di tre studi ancillari che aiutano a capire i meccanismi biologici alla base del beneficio cognitivo.

Neurovascolare: migliore regolazione pressoria e flusso cerebrale
Lo studio POINTER-NV ha valutato gli effetti dell’intervento su parametri vascolari chiave. Nel gruppo strutturato si è osservato un miglioramento significativo della regolazione della pressione, dell’autoregolazione cerebrale e dell’elasticità vascolare, inclusa la funzionalità dell’aorta e delle principali arterie cerebrali.

Uno degli indicatori centrali era la sensibilità baroriflessa, meccanismo che regola la pressione arteriosa e contribuisce a mantenere stabile il flusso di sangue al cervello. Nel gruppo strutturato, la sensibilità baroriflessa è aumentata di 1,177 ms/mmHg (IC 95% 0,634–1,720) in due anni, pari a un incremento del 14%. Nel gruppo self-guided, il cambiamento non è risultato significativo.

In pratica, la versione più “intensiva” del programma rende l’organismo più capace di stabilizzare la pressione e nutrire correttamente il cervello, un tassello importante nella prevenzione di ictus silenti, microlesioni e, nel lungo periodo, declino cognitivo.

Neuroimaging: più beneficio cognitivo nei soggetti a rischio biologico più alto
Nel sottostudio POINTER-Neuroimaging si è visto che i partecipanti con profilo biologico più a rischio – basso volume ippocampale o accumulo di tau nell’area entorinale alla baseline – traevano un beneficio cognitivo maggiore dal gruppo strutturato rispetto al self-guided (P = 0,006).

Interessante notare che lo stato amiloide (presenza o assenza di accumulo di beta-amiloide) non modificava il beneficio: persone con e senza amiloide ottenevano miglioramenti simili.

Nel complesso, non si sono osservate differenze tra i gruppi nelle variazioni globali di amiloide, tau, volume ippocampale o carico di lesioni della sostanza bianca in soli due anni; tuttavia, il programma strutturato ha mostrato un effetto protettivo sulla funzione cognitiva, attenuando l’impatto del progressivo accumulo di tau entorinale. È in corso un’estensione a 4 anni per seguire meglio l’evoluzione di questi biomarcatori.

Sonno e apnea ostruttiva: meno eventi respiratori, più protezione
Nel sottostudio POINTER-zzz, che prevedeva monitoraggio del sonno a domicilio a 0, 12 e 24 mesi, è emerso che il 63% dei partecipanti aveva almeno una forma lieve di apnea del sonno alla baseline.

Nel gruppo strutturato, l’indice apnea–ipopnea (AHI) si è ridotto in media di 1,759 eventi/ora in due anni (IC 95% –2,554 a –0,965), una variazione clinicamente significativa. Nel gruppo self-guided la riduzione non è risultata significativa.

Il beneficio sul sonno è stato coerente in vari sottogruppi e più marcato nelle persone con apnea più severa al baseline. Meno eventi di apnea notturna significano migliore ossigenazione cerebrale, meno frammentazione del sonno e potenziale protezione aggiuntiva rispetto al rischio di declino cognitivo e malattie cardiovascolari.

Come ha riassunto Maria Carrillo, questi studi ancillari mostrano che l’intervento strutturato “ha benefici sostanziali e significativi al di là della cognizione, in aree – vascolari e respiratorie – conosciute per influenzare il rischio di declino cognitivo e demenza”.

Due casi paradigmatici: Peter e Phyllis
La dimensione più umana dello studio è emersa dalle testimonianze di due partecipanti: Peter, assegnato al gruppo self-guided, e Phyllis, nel gruppo strutturato.
Peter, con una storia familiare di demenza e problemi cardiovascolari (ipertensione, ipercolesterolemia, bypass coronarico), ha raccontato le difficoltà nel cambiare abitudini, le barriere pratiche (clima ostile all’attività all’aperto in Texas, costi e logistica delle palestre) e il peso emotivo per la malattia e poi la perdita della moglie. Nonostante ciò, grazie al trial ha iniziato a camminare di più, usare uno smartwatch per monitorare passi e sonno, e oggi percorre circa cinque miglia al giorno, cercando di restare attivo e impegnato nel volontariato.

Phyllis ha descritto il suo “prima” e “dopo” Pointer: anni di dieta poco sana, sedentarietà, stress lavorativo, lutti e depressione, con un forte senso di deriva. Entrata nel gruppo strutturato, ha fatto proprio il programma, cambiando in profondità alimentazione, attività fisica e vita sociale. Racconta di aver perso il prediabete, evitato le statine grazie al miglioramento del colesterolo, perso circa 30 kg e molti centimetri di circonferenza vita, ridotto il dolore articolare e, soprattutto, abbandonato l’idea che “dolore e declino siano normali con l’età”. Si definisce oggi “Phyllis AP – after Pointer”, più energica, con uno scopo, impegnata a diffondere il messaggio soprattutto nella comunità nera, colpita da tassi di demenza doppi rispetto alle persone bianche.

In chiusura, Maria Carrillo ha sottolineato che per anni le evidenze su stile di vita e rischio di demenza erano quasi tutte osservazionali; US POINTER offre finalmente una prova randomizzata, in una popolazione ampia e diversificata, che uno stile di vita sano sostenuto da struttura e supporto organizzato può migliorare la funzione cognitiva. L’Alzheimer’s Association ha annunciato l’intenzione di espandere il modello US POINTER su scala nazionale, in collaborazione con sistemi sanitari, comunità e agenzie locali, e di seguire i partecipanti per altri quattro anni in una fase osservazionale per capire la durata degli effetti e l’impatto sui reali tassi di declino cognitivo e demenza.

Dalla ricerca alla sanità pubblica: “non tra cinque anni, ma adesso”
L’Alzheimer’s Association ha già annunciato l’intenzione di espandere il modello US POINTER a livello nazionale, in partnership con comunità, sistemi sanitari e centri clinici. È prevista una fase osservazionale di 4 anni per seguire l’andamento cognitivo e i biomarcatori nel tempo e valutare la durabilità degli effetti.

Sul fronte dell’implementazione, gli autori sottolineano che il cuore del modello è una combinazione di:
• figure dedicate (case manager, coach dello stile di vita, assistenti sociali formati), capaci di seguire gruppi di 100–200 persone;
• risorse locali accessibili (palestre di comunità, centri anziani, programmi di cammino, attività sociali e culturali), sfruttate in chiave di “rete” intorno ai partecipanti;
• supporto di gruppo, che aumenta motivazione, aderenza e senso di appartenenza.

Il messaggio finale, rivolto al pubblico, resta sorprendentemente concreto: muoversi di più e sedersi di meno, migliorare la qualità della dieta, imparare cose nuove, restare socialmente connessi e tenere sotto controllo i propri numeri di salute non sono solo “buoni consigli generici”, ma una vera e propria prescrizione per il cervello, ora supportata da un grande trial randomizzato e da dati fisiologici coerenti.