La malattia di Sjögren ha un impatto rilevante sul rischio CV, con tassi di eventi e mortalità nettamente superiori rispetto alla popolazione generale
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La malattia di Sjögren ha un impatto rilevante sul rischio CV, con tassi di eventi e mortalità nettamente superiori rispetto alla popolazione generale. Lo confermano i risultati di uno studio iberico presentato al congresso annuale ACR, che suggerisce la necessità di integrare la valutazione e la prevenzione cardiovascolare nella gestione routinaria della malattia di Sjogren per migliorare gli outcome a lungo termine.
Razionale e obiettivi dello studio
La malattia di Sjögren, pur riconosciuta per il suo coinvolgimento esocrino e il conseguente quadro di sindrome sicca, è oggi considerata una condizione sistemica con potenziali implicazioni multiorgano. Studi precedenti avevano già evidenziato un’associazione tra la sindrome e le alterazioni vascolari, suggerendo come l’infiammazione cronica, la disregolazione immunitaria e l’aterosclerosi accelerata possano contribuire ad un incremento del rischio cardiovascolare. Una meta-analisi del 2019 aveva stimato un incremento del 30% della morbidità coronarica e un rischio ancora maggiore di morbidità cerebrovascolare nei pazienti con Sjögren, mentre dati più recenti hanno documentato come il coinvolgimento extraghiandolare – e la presenza di autoanticorpi quali Ro/SSA e La/SSB – si associ a ipertensione, dislipidemia, iperuricemia e cardiopatia ischemica.
La necessità di una valutazione sistematica e di lungo periodo di questi rischi ha portato allo sviluppo dello studio Sjögren SER, coordinato dalla Società Spagnola di Reumatologia. Gli obiettivi erano quelli di quantificare l’incidenza di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari, identificare i predittori indipendenti di CVEs (eventi CV e cerebrovascolari) e di MACE, confrontare il rischio osservato con quello stimato tramite SCORE2 (un algoritmo europeo per la stima del rischio cardiovascolare a 10 anni nella popolazione adulta senza malattia cardiovascolare nota), valutare l’impatto dei CVEs sulla mortalità globale e descrivere la prevalenza dei fattori di rischio cardiovascolare tradizionali nella popolazione studiata.
Disegno dello studio
Lo studio è stato condotto in modo prospettico e multicentrico su 314 pazienti con Sjögren primitiva secondo i criteri AECG 2002, con un follow-up mediano di 9,5 anni. L’analisi ha integrato dati clinici, sierologici, demografici e fattori di rischio cardiovascolari, registrando accuratamente tutti gli eventi incidenti.
I predittori indipendenti sono stati identificati mediante modelli di regressione di Cox multivariati, mentre il rischio cardiovascolare a 10 anni è stato stimato tramite l’algoritmo SCORE2.
La mortalità cardiovascolare è stata confrontata con i dati della popolazione generale spagnola, mentre la mortalità globale è stata analizzata in relazione alla presenza di eventi cardiovascolari.
Risultati principali
Durante quasi dieci anni di osservazione, nei 314 pazienti (età media: 59 anni, 95% donne) sono stati registrati 29 eventi cardiovascolari, pari al 9,2% della coorte. Gli eventi comprendevano pericardite e disturbi della conduzione (entrambi 1,27%), cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco (entrambi 1,59%), arteriopatia periferica (0,95%) ed eventi cerebrovascolari (2,55%). Complessivamente, il 5,41% dei pazienti ha sviluppato un MACE: il 2,23% ha riportato un ictus non fatale, l’1,59% un infarto non fatale, mentre un ulteriore 1,59% è deceduto per cause cardiovascolari.
Come osservato dagli autori durante la presentazione dello studio, gli eventi cardiovascolari e cerebrovascolari sono risultati più frequenti del previsto nei pazienti con Sjögren.
La mortalità cardiovascolare rappresentava l’11,9% di tutti i decessi. Rispetto alla popolazione generale, il rischio risultava aumentato di oltre cinque volte (SMR: 5,09). Inoltre, i pazienti che avevano già sperimentato un evento cardiovascolare presentavano un rischio di morte più che triplicato (RR: 3,27).
Una parte dello studio ha valutato la capacità predittiva del modello SCORE2 in 130 pazienti con dati completi. Il rischio atteso a 10 anni era del 4,41%, molto vicino all’incidenza osservata dei MACE (4,62%). Tuttavia, SCORE2 non riusciva ad intercettare l’intero spettro degli eventi cardiovascolari e cerebrovascolari osservati, che complessivamente raggiungevano l’8,46%, quasi il doppio del previsto.
SCORE2 ha stimato accuratamente i MACE, ma non ha intercettato la più ampia gamma di complicanze cardiovascolari registrate – hanno osservato gli autori dello studio.
L’ analisi multivariata ha evidenziato che l’età, la crioglobulinemia e l’impiego di glucocorticoidi erano predittori indipendenti sia dei CVEs sia dei MACE, con odds ratio compresi tra 1,06 e 10,41. Gli anticorpi antifosfolipidi, invece, risultavano associati specificamente ai CVEs (OR: 5,33).
Queste associazioni, hanno notato gli autori dello studio, dimostrano che “il rischio cardiovascolare nella malattia di Sjögren va oltre i meccanismi tradizionali e coinvolge vie immuno-mediate e fattori legati ai trattamenti.
Implicazioni cliniche
I risultati dello studio rafforzano l’idea che la malattia di Sjögren sia caratterizzata da un rischio cardiovascolare significativamente aumentato, non interamente spiegabile dai fattori di rischio convenzionali. Sebbene SCORE2 si sia dimostrato utile nel prevedere i MACE, esso tende a sottostimare la reale incidenza degli eventi cardiovascolari complessivi, suggerendo la necessità di un approccio più personalizzato alla gestione del rischio.
L’emergere di fattori disease-specific come crioglobulinemia, anticorpi antifosfolipidi e impiego di glucocorticoidi indica che il profilo di rischio cardiovascolare nei pazienti con SjD è profondamente radicato nei meccanismi immunologici della malattia.
La crioglobulinemia, in particolare, si associa ad un incremento di rischio superiore a dieci volte, mentre i glucocorticoidi aumentano il rischio di tre volte, evidenziando l’importanza di considerare sempre l’impatto cardiovascolare delle terapie a lungo termine.
L’eccesso di mortalità cardiovascolare, che risulta quintuplicata rispetto alla popolazione generale, insieme al rischio di morte triplicato nei pazienti con precedenti CVEs, suggerisce che la sorveglianza e la prevenzione cardiovascolare debbano diventare parte integrante della gestione clinica della Sjögren. Questo implica la necessità di un monitoraggio multidisciplinare, con una stretta collaborazione tra reumatologi, cardiologi e medici di medicina interna, nonché un’attenta valutazione della durata e delle dosi cumulative di glucocorticoidi.
Nel complesso, lo studio conferma che la gestione della Sjögren deve includere non solo il controllo dei sintomi e delle manifestazioni sistemiche, ma anche una strategia strutturata per identificare precocemente i pazienti ad alto rischio cardiovascolare e intervenire in modo proattivo per ridurre il rischio di eventi e migliorare la sopravvivenza a lungo termine.
Bibliografia
Rusinovich O et al. Cardiovascular And Cerebrovascular Risk In Sjögren’s Disease: Results From A Prospective Multicenter Cohort. [abstract]. Arthritis Rheumatol. 2025; 77 (suppl 9). https://acrabstracts.org/abstract/cardiovascular-and-cerebrovascular-risk-in-sjogrens-disease-results-from-a-prospective-multicenter-cohort/.