“Being Charlie”, il film di Reiner che aveva anticipato il difficile rapporto tra figlio tossico e padre


Il film di Bob e Nick Reiner sul rapporto conflittuale tra un figlio tossicodipendente e il padre: “Being Charlie” uscì nel 2016, scritto proprio dal figlio ora accusato di aver ucciso i genitori

being charlie

Il complicatissimo rapporto tra Bob Reiner e Nick, il figlio secondogenito con problemi di droga, era già uscito al cinema. Il film si chiama “Being Charlie”, ed è del 2016. La storia di un giovane tossicodipendente in conflitto con il padre potente e distante rifletteva in modo fin troppo diretto le battaglie personali di Nick Reiner, co-sceneggiatore del film e figlio del regista ucciso assieme alla moglie. Oggi, a distanza di anni, quella risonanza assume contorni tragici.

Nick Reiner è stato arrestato a Los Angeles con l’accusa di omicidio per la morte dei genitori, Rob Reiner e Michele Singer Reiner. È detenuto senza possibilità di cauzione. Le autorità non hanno ancora diffuso ulteriori dettagli sul caso, ma la notizia ha riacceso l’attenzione su una storia familiare da tempo segnata dalla dipendenza e da tentativi ripetuti di recupero.

Nick Reiner aveva 22 anni quando Being Charlie arrivò nelle sale. Aveva iniziato a entrare e uscire da centri di riabilitazione già a 15 anni e scrisse la sceneggiatura durante un periodo di sobrietà, insieme a un amico conosciuto proprio in rehab. Il film seguiva Charlie, adolescente di Los Angeles con un talento per la comicità e una dipendenza dall’eroina che domina ogni aspetto della sua vita.

Al centro del racconto c’era il rapporto con il padre, un attore di successo impegnato in una corsa politica, ritratto come distante, calcolatore e più attento all’immagine pubblica che al dolore del figlio. Una rappresentazione che Rob Reiner volle esplicitamente dura. In diverse interviste, il regista aveva ammesso di non essersi sempre mosso nel modo giusto e di aver voluto rendere questa ambiguità parte integrante del film.

Molti elementi della storia erano ispirati a esperienze reali. Le ricadute, la frustrazione verso i programmi di recupero, la sensazione di essere inascoltati dagli adulti e dagli specialisti. “Eravamo disperati”, aveva raccontato Rob Reiner, spiegando come la famiglia avesse seguito i consigli degli esperti anche quando il figlio si sentiva soffocato da quelle scelte.

Being Charlie si concludeva con una nota cautamente positiva: una presa di coscienza, un tentativo di riconciliazione tra padre e figlio, l’idea che la comprensione reciproca potesse aprire uno spiraglio. “Tutto quello che volevo era un modo per attutire il rumore”, diceva il protagonista nelle scene finali. Una frase che sintetizzava il senso di smarrimento al centro del film.

Dal punto di vista critico e commerciale, l’opera fu un fallimento. Le recensioni furono in larga parte negative e l’incasso modesto. Per Rob Reiner, però, il film rappresentò qualcosa di diverso: un percorso condiviso, quasi terapeutico, per provare a ricostruire un legame con il figlio. Una storia che era stata raccontata al cinema come lotta, caduta e possibile riscatto si è trasformata in una tragedia reale.

FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)