La ricerca si blocca: semaglutide orale non rallenta la progressione dell’Alzheimer negli studi di fase 3 EVOKE ed EVOKE+
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I risultati degli studi di fase 3 EVOKE ed EVOKE+ indicano che l’agonista del recettore del glucagon-like peptide-1 (GLP-1) semaglutide, in formulazione orale, non è superiore al placebo nel rallentare la progressione della malattia di Alzheimer in fase precoce. Nonostante segnali favorevoli su diversi biomarcatori correlati all’Alzheimer, il trattamento non ha prodotto un beneficio clinicamente significativo sulla progressione di malattia.
EVOKE ed EVOKE+ sono due studi randomizzati, doppio cieco, controllati con placebo, condotti in parallelo su un totale di 3.808 adulti di età compresa tra 55 e 85 anni, arruolati in quasi 40 Paesi. I partecipanti presentavano un quadro di mild cognitive impairment o di lieve demenza dovuti ad Alzheimer, con conferma della patologia amiloide attraverso PET o analisi del liquor. I pazienti sono stati assegnati a semaglutide orale una volta al giorno oppure a placebo, in aggiunta alla terapia standard, e seguiti per 104 settimane; era previsto un ulteriore anno di estensione, che verrà ora interrotto alla luce dei risultati di efficacia.
L’endpoint primario di entrambi gli studi era la variazione del punteggio alla Clinical Dementia Rating – Sum of Boxes (CDR-SB) dal basale a 104 settimane. La CDR-SB è una scala composita, con punteggio massimo di 18, che integra la valutazione di memoria, orientamento, giudizio, attività comunitarie, cura della casa e cura personale, ed è ampiamente utilizzata nei trial sull’Alzheimer per quantificare la progressione clinica. Nei comunicati rilasciati dall’azienda, il trattamento con semaglutide non ha mostrato una riduzione statisticamente significativa della progressione di malattia rispetto al placebo, né in EVOKE né in EVOKE+.
Un elemento di interesse emerso dai dati topline riguarda i biomarcatori: in entrambi gli studi semaglutide ha determinato un miglioramento di diversi marcatori legati alla patologia di Alzheimer, ma tale effetto biologico non si è tradotto in un beneficio clinico misurabile sugli esiti cognitivi e funzionali. I dettagli sui singoli biomarcatori e sull’entità delle variazioni saranno presentati al congresso Clinical Trials on Alzheimer’s Disease (CTAD) di dicembre 2025 e successivamente all’AD/PD 2026, quando saranno disponibili le analisi complete.
Dal punto di vista della sicurezza, semaglutide ha mostrato un profilo generalmente favorevole e in linea con quanto già noto dalle indicazioni per diabete e obesità, senza nuovi segnali di rischio rilevanti nella popolazione con Alzheimer precoce. Questo aspetto conferma la possibilità di impiego del farmaco nei suoi attuali ambiti di indicazione, ma non supporta, allo stato attuale, un’estensione dell’uso alla malattia di Alzheimer sintomatica.
Il razionale per testare un agonista GLP-1 nell’Alzheimer derivava da un corpus crescente di dati preclinici e osservazionali. I GLP-1 agonisti modulano il metabolismo glucidico e il peso corporeo, ma esercitano anche effetti anti-infiammatori e vascolari e migliorano la sensibilità insulinica, fattori ritenuti rilevanti nella fisiopatologia dell’Alzheimer. Studi basati su dati real-world e su grandi coorti di pazienti con diabete di tipo 2 avevano suggerito un rischio ridotto di diagnosi di Alzheimer nei soggetti trattati con semaglutide e con altri GLP-1 RA rispetto ad altre classi ipoglicemizzanti, inclusi insuline e inibitori SGLT2.
Le dichiarazioni delle organizzazioni scientifiche coinvolte sottolineano che il mancato raggiungimento dell’endpoint primario non chiude la strada ai GLP-1 agonisti nella ricerca sull’Alzheimer, ma ridimensiona le aspettative su un loro impiego in monoterapia nella fase sintomatica precoce. La presenza di segnali positivi sui biomarcatori viene interpretata da alcuni esperti come un possibile punto di partenza per future strategie di combinazione, che affianchino ai trattamenti anti-amiloide farmaci mirati ad altri pathway patogenetici, inclusi quelli metabolici e infiammatori. In attesa dei dati completi di EVOKE ed EVOKE+, la lettura dei risultati si inserisce quindi in un contesto più ampio di sviluppo di terapie multidimensionali, in cui l’efficacia clinica dovrà essere dimostrata con endpoint rigorosi e clinicamente significativi.