Hong Kong: l’imprenditore Jimmy Lai rischia il carcere a vita


Hong Kong, il magnate e attivista Jimmy Lai rischia l’ergastolo. Il giudice conferma le accuse di sedizione e collusione con Paesi terzi

jimmy lai

Rischia il carcere a vita Jimmy Lai, imprenditore dei media, filantropo e attivista per i diritti umani di Hong Kong, arrestato nel 2020 nell’ambito di un’ondata di proteste di piazza che aveva scosso il Paese nell’anno precedente per chiedere riforme democratiche e maggiore indipendenza delle istituzioni dal governo di Pechino, e segnate da repressione violenta, arresti e anche scontri tra polizia e manifestanti. La sentenza definitiva per Lai potrebbe essere emessa già all’inizio del 2026. Un giudice della citta-Stato ha riconosciuto i capi d’imputazione portati dall’accusa: sedizione e collusione con potenze straniere atte a destabilizzare l’ordine pubblico. Reato, quest’ultimo, che rientra nella legge sulla sicurezza nazionale caldeggiata da Pechino in seguito alle manifestazioni popolari. Azioni che Lai avrebbe portato avanti tramite la sua testata, la Apple Daily, ormai chiusa, che secondo l’accusa avrebbe impiegato per screditare il governo a livello internazionale attirando sanzioni sugli esecutivi di Hong Kong e Pechino.

Il magnate dei media, 78 anni, ha anche la cittadinanza britannica e per questo è già intervenuto il governo di Londra ribadendo la propria posizione, secondo cui l’accusa sia “politicamente motivata”, e ne ha chiesto l’immediato rilascio, mentre i gruppi per i diritti umani di Hong Kong hanno accusato le autorità di “un crudele processo farsa”. Il governatore di Hong Kong John Lee ha invece accolto favorevolmente la decisione, sostenendo che la condotta dell’attivista pro-democrazia avrebbe “danneggiato gli interessi del Paese e il benessere degli hongkonghesi”. Nel corso dell’udienza – che è stata seguita da centinaia di persone, arrivate già la notte precedente davanti al tribunale per assicurarsi un posto in aula – Lee è stato interrogato sugli incontri tenuti con l’allora vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence e col segretario di Stato Mike Pompeo. Dichiarandosi innocente da ogni accusa, ha ribadito di “non aver mai esortato” nessun paese straniero a imporre sanzioni ma solo a “prendere coscienza” di quanto stesse avvenendo nel suo Paese.

Ai media internazionali il direttore del comitato per l’Asia-Pacifico, Beh Lih Yi, ha commentato: “La sentenza sottolinea il totale disprezzo di Hong Kong per la libertà di stampa, che dovrebbe essere tutelata dalla mini-costituzione della città, la sua Legge fondamentale. L’unico crimine di Jimmy Lai- ha aggiunto- è dirigere un giornale e difendere la democrazia. Il rischio che muoia di malattia in prigione aumenta ogni giorno che passa: deve essere ricongiunto immediatamente alla sua famiglia”. Sarah Brooks, direttrice di Amnesty International per la Cina, in una nota ha dichiarato che “La prevedibilità del verdetto odierno non lo rende meno sconcertante” e che “suona una campana a morto per la libertà di stampa”, sostenendo che “le attività per cui è stato condannato non sarebbero mai state considerate reati prima dell’entrata in vigore della Legge sulla Sicurezza Nazionale del 2020”. Elaine Pearson, direttrice per l’Asia di Human Rights Watch, ha definito la condanna “crudele”: “Il maltrattamento di Jimmy Lai da parte del governo cinese mira a mettere a tacere chiunque osi criticare il Partito Comunista”. Sulla vicenda è intervenuto anche il governo di Pechino tramite il portavoce del ministero degli Esteri, che ha lodato gli sforzi delle autorità di Hong Kong per “punire gli atti criminali che mettono a repentaglio la sicurezza nazionale”. Il Consiglio per gli Affari Continentali di Taiwan ha invece affermato: “Questa sentenza è una dichiarazione al mondo che le libertà, la democrazia e l’indipendenza giudiziaria di Hong Kong sono state sistematicamente erose”.

FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)