Sindrome coronarica acuta, stop anticipato a studio cardine sul milvexian, nuovo anticoagulante anti fattore XI
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Interrotto in anticipo il primo di tre grandi studi di Fase avanzata sull’anticoagulante sperimentale milvexian, considerato uno dei candidati più promettenti nella nuova ondata di inibitori del fattore XIa.
Il motivo dello stop non è legato a problemi di sicurezza, ma di futilità: il comitato di monitoraggio indipendente ha stabilito che la combinazione di milvexian con la terapia standard non aveva probabilità di dimostrarsi superiore rispetto ai soli trattamenti convenzionali nel prevenire complicanze cardiovascolari in pazienti reduci da infarto.
Delusione per Bristol Myers Squibb e Johnson & Johnson, perché su milvexian si concentrano aspettative elevate e il programma clinico è uno dei più ambiziosi nel campo degli anticoagulanti.
Cos’è milvexian e perché era (ed è) così atteso
Milvexian appartiene alla classe degli inibitori del fattore XIa, molecole pensate per garantire una protezione antitrombotica efficace con un rischio di sanguinamento teoricamente inferiore rispetto agli anticoagulanti oggi più utilizzati, come apixaban e rivaroxaban.
L’idea di fondo è nota: il fattore XI partecipa soprattutto alla coagulazione “patologica” che porta alla formazione di trombi, mentre è meno cruciale per l’emostasi fisiologica. Bloccarlo dovrebbe quindi ridurre gli eventi trombotici senza aumentare troppo il rischio di emorragie, il vero limite degli anticoagulanti attuali.
Lo studio interrotto: focus sulla sindrome coronarica acuta
Lo studio ora interrotto rientra in un programma clinico molto ampio che punta ad arruolare complessivamente circa 50mila pazienti con fibrillazione atriale, storia recente di ictus oppure sindrome coronarica acuta (ACS), che include infarto miocardico e angina instabile.
Il trial chiuso in anticipo si concentrava proprio sull’ACS. Era previsto l’arruolamento di 16.000 pazienti reduci da un evento acuto, randomizzati a ricevere milvexian oppure placebo, in aggiunta alle terapie antipiastriniche standard, come aspirina, ticagrelor o clopidogrel.
L’obiettivo era verificare se l’aggiunta dell’inibitore di FXIa riuscisse a ridurre ulteriormente il rischio di infarto, ictus o morte cardiovascolare rispetto alla sola terapia standard.
Secondo le aziende, l’analisi ad interim ha mostrato che questa strategia non aveva probabilità di raggiungere la superiorità sugli standard attuali, motivo per cui è stato raccomandato lo stop. Nessun dato di dettaglio è stato reso pubblico al momento.
Da parte accademica, i coordinatori del programma hanno sottolineato come i risultati confermino la complessità del trattamento dell’ACS e la necessità di affinare ulteriormente la comprensione della biologia di malattia e del ruolo del fattore XIa in questo setting.
Le altre due sperimentazioni continuano
Nonostante questa battuta d’arresto, il programma milvexian non si ferma. Il comitato di monitoraggio ha raccomandato la prosecuzione degli altri due grandi trial, segno che non sono emerse criticità tali da giustificare uno stop generalizzato.
In particolare, restano in corso:
• uno studio su 15mila pazienti che hanno già avuto un ictus, per valutare se milvexian, in aggiunta ad altri anticoagulanti, possa prevenire nuovi eventi ischemici;
• un mega-trial su oltre 20mila pazienti con fibrillazione atriale, in cui milvexian viene confrontato direttamente con apixaban con un disegno di non inferiorità: l’obiettivo è dimostrare che il nuovo farmaco è almeno altrettanto efficace del comparatore.
Il fallimento nel contesto dell’ACS, pur distinto dalla prevenzione dell’ictus o dall’uso cronico nella fibrillazione atriale, getta però un’ombra sulle aspettative complessive: si tratta di patologie con una biologia in parte sovrapponibile, e alcuni analisti sottolineano possibili implicazioni negative indirette anche per gli altri studi.
Un segnale per tutta la classe degli inibitori di FXIa
La frenata di milvexian non riguarda solo Bristol Myers Squibb e J&J, ma viene osservata con attenzione dall’intero settore. Gli inibitori del fattore XIa sono considerati la possibile “terza generazione” degli anticoagulanti, dopo warfarin e gli anticoagulanti orali diretti.
Sul campo non ci sono solo piccoli competitor:
• Bayer che sta sviluppando un farmaco anche se con non poche difficoltà. Asundexian (BAY 2433334), inibitore orale di FXIa di Bayer, ha mostrato un buon profilo di sicurezza (meno sanguinamenti) negli studi iniziali, ma in Fase III (OCEANIC-AF) è risultato inferiore ad apixaban nella prevenzione di ictus/embolia in fibrillazione atriale, portando allo stop anticipato dello studio.
Il programma clinico non è stato abbandonato: prosegue soprattutto lo studio OCEANIC-STROKE in prevenzione secondaria dell’ictus non cardioembolico, dove il confronto è vs placebo + terapia standard. Oggi quindi asundexian non è più considerato un candidato “generalista” alternativa ai DOAC in FA, ma un farmaco sperimentale dal futuro legato a indicazioni più selezionate.
• Novartis ha investito quasi 1 miliardo di dollari per assicurarsi un anticorpo anti-FXI sviluppato in collaborazione con una biotech,
• Regeneron sta sviluppando due anticorpi contro il fattore XI e ha già avviato studi di Fase 3, ad esempio nella profilassi del tromboembolismo dopo chirurgia ortopedica.
In questo contesto, lo stop anticipato dello studio in ACS con milvexian dimostra che la traduzione del razionale biologico in benefici clinici concreti non è affatto scontata, soprattutto in contesti complessi e già saturi di terapie efficaci, come la sindrome coronarica acuta.