In pazienti con fibrillazione atriale e malattia coronarica stabile, la monoterapia con anticoagulante orale diretto (DOAC) è associata a un minor rischio di eventi clinici avversi netti (NACE)
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I risultati dello studio ADAPT AF-DES, presentati alle Scientific Sessions 2025 dell’American Heart Association e pubblicati contestualmente sul “New England Journal of Medicine”, hanno evidenziato che nei pazienti con fibrillazione atriale e malattia coronarica stabile, a distanza di almeno un anno da un intervento coronarico percutaneo (PCI) con impianto di stent medicato, la monoterapia con anticoagulante orale diretto (DOAC) è associata a un minor rischio di eventi clinici avversi netti (NACE) rispetto alla combinazione di DOAC e clopidogrel.
Il vantaggio è stato attribuito alla significativa riduzione del rischio di sanguinamento maggiore o clinicamente rilevante non maggiore, con risultati che hanno soddisfatto i criteri sia di non inferiorità sia di superiorità rispetto alla terapia combinata.
Conferma del beneficio emorragico della monoterapia
Lo studio ha arruolato 960 pazienti in 32 centri della Corea del Sud, con età media di 71,1 anni e una prevalenza femminile del 21,4%. Tutti i partecipanti presentavano fibrillazione atriale, un punteggio CHA₂DS₂-VASc pari o superiore a 2, e una coronaropatia stabile, essendo trascorso almeno un anno dal PCI con impianto di stent medicato. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere DOAC in monoterapia oppure in associazione con clopidogrel. I farmaci anticoagulanti più utilizzati sono stati apixaban (circa 62%) e rivaroxaban (circa un terzo).
Al momento della randomizzazione, il punteggio medio CHA₂DS₂-VASc era pari a 4,1, e circa il 60% dei pazienti presentava fibrillazione atriale persistente o permanente. Due terzi dei soggetti avevano avuto una sindrome coronarica acuta al momento del PCI iniziale, e circa un quarto degli interventi era stato classificato come complesso. Il tempo mediano trascorso tra l’impianto dello stent e la randomizzazione è stato di 32,8 mesi.
L’endpoint primario NACE comprendeva morte per qualsiasi causa, infarto miocardico, trombosi dello stent, ictus, embolia sistemica, o sanguinamento maggiore o clinicamente rilevante non maggiore, valutato a 12 mesi. L’incidenza è risultata pari al 9,6% nel gruppo trattato con DOAC in monoterapia e al 17,2% nel gruppo sottoposto a terapia combinata, con una differenza assoluta del 7,6% ( intervallo di confidenza al 95,2%: da -11,9% a -3,3%). Tale differenza ha confermato sia la non inferiorità, con margine del 3%, sia la superiorità della monoterapia (P < 0,001 per entrambe le analisi).
L’unico componente dell’endpoint NACE che ha mostrato una differenza significativa tra i due gruppi è stato il sanguinamento maggiore o clinicamente rilevante non maggiore, con un’incidenza del 5,2% nel gruppo DOAC e del 13,2% nel gruppo combinato ( hazard ratio 0,38; intervallo di confidenza al 95%: 0,24–0,60). I risultati dell’endpoint primario si sono mantenuti coerenti nei diversi sottogruppi analizzati.
Confronto con studi precedenti e analisi aggregata
I risultati di ADAPT AF-DES si inseriscono in un contesto di evidenze crescenti provenienti da studi precedenti, tra cui OAC-ALONE, AFIRE, PRAEDO-AF, EPIC-CAD e AQUATIC, che suggeriscono di evitare la terapia antipiastrinica nei pazienti con fibrillazione atriale e coronaropatia stabile, a distanza di mesi o anni dal PCI. Le attuali linee guida raccomandano infatti l’uso esclusivo dell’anticoagulazione orale oltre il primo anno dall’intervento.
Gilles Lemesle, CHU de Lille, France, autore principale dello studio AQUATIC, ha discusso i risultati di ADAPT AF-DES, presentando anche una meta-analisi dei cinque studi precedenti, pubblicata simultaneamente su Circulation. L’analisi ha mostrato un aumento significativo del rischio NACE con la terapia combinata, principalmente a causa del maggior rischio di sanguinamento, e un incremento non significativo della mortalità per tutte le cause.
Secondo Lemesle, lo studio ADAPT AF-DES ha confermato che nei pazienti con sindrome coronarica cronica in trattamento con anticoagulanti orali non dovrebbe essere utilizzata alcuna terapia antipiastrinica. Ha sottolineato che «non vi è alcun beneficio in termini di eventi aterotrombotici, mentre il danno in termini di sanguinamento e mortalità è rilevante».
Limiti metodologici e questioni aperte
Jung-Sun Kim (Severance Hospital, Yonsei University College of Medicine, Seoul, Republic of Korea) ha evidenziato alcune limitazioni dello studio, tra cui il disegno in aperto, l’uso di un’analisi di non inferiorità che impone cautela nell’interpretazione dei risultati di superiorità, la prevalenza di apixaban e rivaroxaban rispetto ad altri DOAC, e l’inclusione di una popolazione proveniente da un unico Paese dell’Asia orientale. Ha inoltre osservato che il follow-up di 12 mesi potrebbe essere troppo breve per rilevare differenze che emergerebbero su un arco temporale più lungo, motivo per cui i partecipanti saranno seguiti fino a 2 anni.
Lemesle ha evidenziato come la principale novità dello studio rispetto ai precedenti consista nell’uso esclusivo di clopidogrel come antipiastrinico, mentre gli altri studi includevano prevalentemente aspirina. Ha ribadito che il rischio emorragico risulta più elevato con la terapia antitrombotica combinata, senza alcuna riduzione concomitante degli eventi ischemici. Ha inoltre segnalato una tendenza verso un aumento dell’incidenza di infarto miocardico, come osservato anche nello studio AQUATIC, suggerendo che il sanguinamento potrebbe contribuire a tale fenomeno. «Questi sanguinamenti possono portare alla sospensione del farmaco, con conseguente aumento degli eventi aterotrombotici», ha osservato.
Infine, Lemesle ha indicato come principale questione ancora aperta il momento ottimale per interrompere la terapia antipiastrinica dopo PCI nei pazienti con fibrillazione atriale che necessitano di anticoagulazione orale prolungata. Tale momento potrebbe essere a 6 mesi, come studiato in AQUATIC, a 12 mesi come negli altri studi, o anche oltre, considerando che in media i pazienti sono stati randomizzati più di 3 anni dopo il PCI.
Bibliografia:
Lee S-J, Yu HT, Lee Y-J, et al. Therapy for atrial fibrillation in patients with drug-eluting stents. N Engl J Med. 2025;Epub ahead of print. leggi