Eli Lilly raggiunge la valutazione di un trilione di dollari


Eli Lilly in borsa ha raggiunto la valutazione di un trilione di dollari (mille miliardi) diventando il primo gruppo farmaceutico nella storia a superare questa soglia

zepbound

Eli Lilly in borsa ha raggiunto la valutazione di un trilione di dollari (mille miliardi) diventando il primo gruppo farmaceutico nella storia a superare questa soglia. Il risultato riflette il forte slancio del titolo in crescita di oltre il 35% nel 2025.

Il motore principale del successo è costituito dal portafoglio di farmaci contro l’obesità e il diabete, in particolare tirzepatide (commercializzato come Mounjaro per il diabete e Zepbound per l’obesità), che nel terzo trimestre ha superato i 10 miliardi di dollari di ricavi, rappresentando più della metà dei ricavi totali del trimestre, pari a 17,6 miliardi: Mounjaro ha generato 6,52 miliardi (+109% anno su anno), mentre Zepbound ha raggiunto 3,59 miliardi (+184%).

Lilly ha così scalzato la concorrenza – tra cui Novo Nordisk – e ha capitalizzato la rapidissima crescita del mercato dei farmaci metabolici, che potrebbe raggiungere i 150 miliardi di dollari entro il 2030.

La valutazione attuale riflette multipli finanziari elevatissimi pari a circa 50 volte gli utili attesi nei prossimi 12 mesi, uno dei valori più alti del settore. Gli analisti sottolineano che questa escalation mostra la fiducia degli investitori non solo nella pipeline attuale, ma nella capacità dell’azienda di sostenere una crescita di lungo periodo in un settore che negli ultimi anni ha sofferto pressioni sui margini e scetticismo del mercato.

«Al momento è difficile trovare falle nella strategia di Lilly», ha dichiarato Karen Andersen, direttrice della ricerca healthcare di Morningstar. «Tutto sta andando a suo favore».

Dal decennio più difficile alla rinascita
Fondata quasi 150 anni fa dal colonnello Eli Lilly, un veterano della guerra civile, che diede all’azienda il suo nome, venerdì Lilly è diventata la prima azienda farmaceutica a entrare nel ristretto trillion-dollar club. Questo traguardo è il risultato di un vertiginoso aumento del valore delle azioni, dovuto al successo ottenuto nello sviluppo di farmaci contro l’obesità. Le azioni, che nel 2018 valevano meno di 100 dollari, ora vengono scambiate a un prezzo più di 10 volte superiore.

Ma le cose non sempre andate così bene per la casa farmaceutica di Indianapolis. Per anni Lilly è stata legata a prodotti storici come Prozac, Zyprexa, Cymbalta e ai grandi marchi dell’insulina. Quando queste molecole hanno perso la protezione brevettuale, a partire dagli anni 2000, l’azienda ha sofferto un rallentamento importante, con crescita modesta e forte pressione sui margini.

In parallelo, Lilly aveva investito molto in aree ad alto rischio come l’Alzheimer, con grandi trial su anticorpi come solanezumab, che però sono falliti, alimentando la percezione di una pharma lenta e poco “sexy” per gli investitori.

Il periodo 2010–2015 è stato probabilmente quello più difficile dell’azienda nella sua storia recente. Nel giro di poco tempo Lilly si è trovata a dover affrontare una serie di scosse pesanti: la perdita del brevetto di Zyprexa, un blockbuster da oltre 5 miliardi l’anno, quelli di Gemzar, Cymbalta  ed Evista, diversi fallimenti clinici, in particolare nell’oncologia e nell’Alzheimer. La pipeline era giudicata debole dagli analisti, l’azione era stagnante e c’era una crescente diffidenza degli investitori sulla capacità dell’azienda di reinventarsi.

Oggi l’azienda è percepita come una locomotiva inarrestabile della terapia dell’obesità, una delle big pharma più dinamiche e ricche del settore. Ma fino a non molti anni fa la situazione era molto diversa. Lilly attraversava una fase complessa, quasi un’involuzione: grande, rispettata, ma senza un vero motore di crescita. L’immagine pubblica era quella di un colosso stabile ma appesantito, un’azienda che rischiava di restare ai margini dell’innovazione mentre i concorrenti avanzavano.

John Lechleiter è stato il CEO degli anni più duri (ondata di lost of exclusivity, fallimenti in Alzheimer ecc.). In quel periodo, mentre molti analisti gli chiedevano di “fare come tutti” e cercare una grande fusione, lui ha rifiutato la scorciatoia dell’M&A difensivo, scegliendo niente mega-merger, focus su ricerca interna, solo acquisizioni mirate / partnership.

In un’intervista al Financial Times spiegò che osservando le grandi fusioni di settore era arrivato a una conclusione brutale: «Mettere insieme due aziende che hanno un problema crea un gruppo con un problema due volte più grande; tagliare costi con migliaia di licenziamenti è una ricetta che non funziona.» Cioè: i mega-deal danno magari un boost di breve durata alla valutazione di borsa, ma spesso distruggono cultura, R&D e motivazione interna, e alla fine non producono veri blockbuster.

E’ proprio quella scelta “contro-corrente” – niente maxi acquisizioni ma rilancio sulla R&S metabolica – che ha creato le condizioni per arrivare, anni dopo, a tirzepatide e al successo di oggi.

Il cambio di rotta: tornare alle origini per ripartire
La risposta non è stata immediata, ma è arrivata con una strategia molto chiara: ripartire dal Dna dell’azienda, cioè dal metabolismo e dal diabete, da sempre uno dei punti di forza storici di Lilly. Va ricordato che Benting e Best dell’Università di Toronto hanno scoperto l’insulina nel 1920-21, ma è stata Eli Lilly a renderla producibile in massa, purificata e clinicamente utilizzabile, e poi a guidare per decenni l’evoluzione verso l’insulina umana ricombinante e gli analoghi moderni, diventando  – insieme a Novo Nordisk- uno dei protagonisti assoluti nella storia del diabete.

Il management decide quindi di: concentrare gli investimenti in quest’area “core”; costruire una pipeline non basata sulle mode del momento, ma su tecnologie solide e ben comprese; spingere forte sulla chimica peptidica e sulla biologia dei recettori.
È su questo terreno che comincia a germogliare il progetto che, anni dopo, diventerà tirzepatide. All’inizio degli anni 2010, i GLP-1 agonisti erano già considerati farmaci importanti, ma non erano ancora esplosi a livello commerciale. Novo Nordisk dominava la classe, mentre Lilly aveva dulaglutide, efficace ma non rivoluzionario.

Per uscire dalla logica del “mee too”, serviva un salto concettuale. E quel salto arriva quando i ricercatori Lilly iniziano a lavorare su un’idea che, all’epoca, sembrava persino azzardata. Per anni si era discusso dell’utilità reale del GIP(Glucose-dependent Insulinotropic Polypeptide), ma alcuni dati preliminari lasciavano intravedere una possibile sinergia tra i due ormoni incretinici (GIP e GLP-1). Il GIP è un ormone incretinico che viene prodotto nell’intestino dopo i pasti e stimola il pancreas a rilasciare insulina in modo glucosio-dipendente, contribuendo al controllo della glicemia.

Tirzepatide è stato scoperto e sviluppato nei laboratori di ricerca di Eli Lilly and Company. Nei primi articoli scientifici e nei brevetti compare con il codice LY3298176 ed è descritto come un “dual GIP/GLP-1 receptor agonist”, cioè un agonista combinato dei recettori di GIP e GLP-1.

Non c’è un “singolo scopritore”: si tratta del lavoro di un team di chimici, farmacologi e clinici di Lilly, formalizzato nel paper di discovery pubblicato su Molecular Metabolism nel 2018, che racconta il passaggio “from discovery to clinical proof of concept”.
La molecola candidata nelle prime fasi di sviluppo mostra qualcosa che nessuno si aspettava: un controllo glicemico molto più profondo, una sensibilità insulinica migliore e soprattutto una perdita di peso superiore ai GLP-1 disponibili.
Gli studi di fase 1 e fase 2 confermano ciò che sembrava quasi troppo bello per essere vero: tirzepatide non si comporta come un miglior GLP-1, ma come qualcosa di diverso. Una molecola capace di ridisegnare il trattamento del diabete e dell’obesità nello stesso tempo.

È in quel momento, tra il 2017 e il 2019, che Lilly capisce davvero che cosa ha tra le mani. Non un nuovo farmaco per competere nella classe, ma una piattaforma terapeutica in grado di cambiare il destino dell’azienda.

Dan Skovronsky, direttore scientifico e medico di Lilly, è stato il primo a intravvedere lo scenario che si stava aprendo. David Ricks, amministratore delegato di Lilly dal 2016, ha recentemente ricordato una conversazione avuta con Skovronsky nel 2017, quando l’azienda ha ottenuto i primi dati sull’uso umano del tirzepatide.
«Ricordo che Dan mi chiamò quel giorno quando vide i dati», ha raccontato Ricks agli investitori durante una presentazione alla J.P. Morgan Healthcare Conference del 2024. «La gente mi chiede: ‘Quando hai capito che il tirzepatide avrebbe avuto un grande successo?’. La risposta è: quel giorno».

Tirzepatide diventa il centro di una strategia ampia, che negli anni successivi esploderà in pieno grazie ai risultati dei programmi SURPASS e SURMOUNT. E il resto — un boom commerciale senza precedenti, l’ingresso nel club delle aziende da 1.000 miliardi di dollari, la leadership globale nell’obesità — è storia recente. Quindi, tirzepatide non è nato “per caso”, ma come prodotto di un progetto di ingegneria razionale delle incretine, con l’obiettivo esplicito di superare i GLP-1 “puri” sia sul controllo glicemico sia sulla perdita di peso, e poi portato avanti con un programma clinico molto aggressivo e globale.

Italia nel motore globale di Lilly: ruolo strategico di Sesto Fiorentino
Nel racconto della “nuova Lilly”, l’Italia non è una semplice filiale periferica, ma uno snodo industriale chiave. A Sesto Fiorentino, alle porte di Firenze, sorge uno dei più grandi e avanzati stabilimenti biotecnologici del gruppo e dell’intero Paese: un campus di circa 85mila metri quadrati che oggi impiega oltre 1.600 dipendenti e serve decine di mercati internazionali.

Quella di Sesto è la storia di un sito che era destinato a chiudere e che invece è diventato uno degli asset più strategici di Lilly nel mondo. Lo stabilimento nasce alla fine degli anni ’50 per produrre antibiotici cefalosporinici: Lilly arriva in Italia nel 1959 e il sito di Sesto entra in funzione nel 1962 proprio con questa vocazione “chimica tradizionale”.

All’inizio anni 2000 però il mercato degli antibiotici è in crisi (pressione sui prezzi, concorrenza dei generici, overcapacity globale) e lo stabilimento di Sesto sembra seriamente a rischio chiusura. Invece di staccare la spina, il gruppo sceglie la strada più rischiosa ma lungimirante: riconvertire completamente il sito in un polo biotech dedicato all’insulina da DNA ricombinante.

Per fare spazio e consentire gli ampliamenti necessari al nuovo centro produttivo, nel 2017 è stato annunciato un accordo fra Regione Toscana, Comune, Università di Firenze e Lilly per spostare un liceo (Liceo A. M. Agnoletti) e liberare aree dello stabilimento Lilly, così da consentire l’espansione produttiva della multinazionale. Un vero esempio di partnership pubblico-privato.

Negli ultimi vent’anni, Sesto è stato completamente trasformato in hub biotech ad alta automazione. Qui si producono insuline da DNA ricombinante (cartucce e penne pre-riempite) per i mercati europei ed extra-UE e, sempre più, forme iniettabili di farmaci per il diabete. A pieno regime il sito è in grado di sfornare ogni anno centinaia di milioni di cartucce e penne insuliniche e decine di milioni di iniezioni per il diabete, coprendo una quota significativa del fabbisogno globale di Lilly.

Negli ultimi anni, con l’esplosione dei farmaci metabolici, Sesto è diventato anche il naturale candidato per ospitare nuove linee dedicate ai trattamenti di nuova generazione contro diabete e obesità, in coerenza con il riposizionamento strategico del gruppo. Un maxi-piano di investimenti da 750 milioni di euro tra il 2024 e il 2025 porterà l’impegno complessivo di Lilly in Italia a circa 1,4 miliardi negli ultimi vent’anni, con l’obiettivo di ampliare ulteriormente la capacità produttiva e rafforzare il posizionamento del sito all’interno della rete globale.

L’impatto non è solo industriale: secondo le analisi economiche, l’attività di Lilly in Italia potrebbe contribuire entro il 2025 per circa 1,5 miliardi di euro al PIL nazionale e attivare oltre 6.000 posti di lavoro complessivi lungo la filiera, a partire proprio dai più di 1.500-1.700 addetti del campus di Sesto.
In sintesi, mentre Wall Street celebra la “Lilly dell’obesità”, una parte importante di quella storia passa da linee produttive altamente specializzate appena fuori Firenze, dove insuline, analoghi e biologici per il metabolismo diventano prodotto finito e viaggiano verso più di 60 Paesi nel mondo.

All’impegno industriale in Italia si aggiunge quello culturale e formativo e di partnership con le Istituzioni. La Fondazione Lilly, creata nel 1974 e rilanciata nel 2025 con una missione ampliata, torna a essere uno dei principali attori italiani nel sostegno alla ricerca scientifica e all’innovazione sanitaria.

Al centro c’è il programma “30×30”, un’iniziativa no-profit da oltre 1,5 milioni di euro che finanzierà 30 dottorati di ricerca in 30 università italiane nell’arco di dieci anni. L’obiettivo è formare una nuova generazione di ricercatori e professionisti in grado di contribuire alla modernizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.

Il progetto si articola in cinque grandi aree: innovazione digitale, sostenibilità e modelli economici, accesso ed equità, prevenzione e salute pubblica, partnership e internazionalizzazione.
Accanto ai dottorati, il piano di rilancio prevede anche la creazione di una Academy dedicata alla formazione continua dei professionisti della sanità pubblica, iniziative con scuole e Ministero dell’Istruzione per avvicinare gli studenti alla ricerca, e l’uso di strumenti digitali e di intelligenza artificiale per mettere in rete i 30 atenei coinvolti e rendere più fruibili ai decisori le evidenze scientifiche prodotte.

La Fondazione ha inoltre ampliato il proprio impegno nella formazione con borse di studio, summer school e percorsi interdisciplinari dedicati ai futuri talenti della ricerca biomedica. Forte di nuove collaborazioni con università, IRCCS e società scientifiche, la Fondazione Lilly si propone come motore di conoscenza e innovazione, con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo scientifico e alla sostenibilità del sistema salute italiano.

Le sfide all’orizzonte
Nonostante il successo e proprio per quello, Lilly dovrà affrontare numerose sfide. Tra queste la sostenibilità della crescita in un contesto regolatorio in cui i prezzi dei farmaci sono sotto esame; la necessità di ampliare la produzione per soddisfare la domanda globale e la competizione crescente nel segmento dell’obesità (non solo da parte di Novo Nordisk ma anche di altre aziende emergenti).

Dovrà anche lanciare con successo orforglipron, l’attesissimo farmaco orale anti obesità che costituisce un tassello fondamentale per consolidare la leadership. L’Fda dovrebbe decidere nel primo trimestre del prossimo anno se approvare o meno la pillola sperimentale di Lilly che potrebbe diventare il primo GLP-1 orale approvato specificamente per il trattamento dell’obesità, in un’area oggi dominata da farmaci iniettabili. Gli analisti di Jefferies prevedono che orforglipron potrebbe arrivare a generare un fatturato annuo di 25 miliardi di dollari, quanto unì’azienda di dimensioni medio-grandi.

Implicazioni per il settore farmaceutico
Il salto della compagnia farmaceutica Usa in questo club da un trilione di dollari rappresenta un cambio di paradigma nel settore: dalla ricerca tradizionale alla trasformazione digitale e metabolica della salute. Lilly si configura come modello per il futuro del pharma, aperto a sinergie tra obesità, diabete e malattie croniche-metaboliche.
Inoltre, l’evento di borsa è visto come segnale di un riassetto degli investimenti: gli investitori sembrano orientarsi verso aziende healthcare a forte tasso di innovazione, in un momento in cui i titoli tech mostrano segnali di rallentamento.

Gli investitori stanno diventando sempre più ottimisti verso i titoli farmaceutici. L’indice farmaceutico S&P 500 è salito di oltre il 25% da fine settembre, sostenuto dal calo dei timori su dazi e tagli ai prezzi dei farmaci negli Stati Uniti, una minaccia che incombeva sul settore dai tempi della presidenza Trump.
All’inizio del mese, Lilly ha firmato un accordo con la Casa Bianca insieme ad altre tre aziende, impegnandosi a ridurre alcuni prezzi dei farmaci in cambio dell’accesso ai pazienti Medicare e Medicaid e di un’esenzione triennale da potenziali dazi.

Con l’ingresso nel club delle one trillion company Lilly non solo segna un primato storico, ma fissa un nuovo standard per l’industria farmaceutica. Il successo mette in luce come la salute metabolica stia diventando uno dei driver principali della crescita mondiale. Ora la sfida per Lilly sarà trasformare questo potenziale in risultati sostenibili e duraturi, non solo in numeri, ma in impatti clinici reali.