Omicidio Matteuzzi, la Cassazione: “Gli stati passionali non hanno rilievo”


Omicidio Matteuzzi, per la Cassazione “gli stati passionali non hanno rilievo. Ci sono elementi univocamente indicativi della premeditazione”

padovani matteuzzi

“Nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità… nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità”. E, sempre ai fini dell’imputabilità, “nessun rilievo svolgono gli stati emotivi e passionali, salvo che essi non si inseriscano eccezionalmente in un quadro più ampio di infermità, tale per consistenza, intensità e gravità da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il reato sia causalmente determinato dal disturbo mentale”. Lo scrivono i giudici della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 17 settembre, hanno reso definitiva la condanna all’ergastolo di Giovanni Padovani per l’omicidio, avvenuto il 23 agosto 2022, di Alessandra Matteuzzi. Padovani, ex calciatore dilettante 29enne, uccise l’ex compagna 56enne colpendola con calci, pugni, martellate e con una panchina di ferro, ed è stato condannato per omicidio aggravato da premeditazione, motivi abietti e stalking.

Nel suo ricorso, il legale di Padovani, Gabriele Bordoni, sosteneva che nella sentenza d’appello non era stata adeguatamente valutata la rilevanza sulla capacità di intendere e di volere dello stato di “grave turbamento” emotivo dell’imputato nel momento in cui commise il reato, ma la Cassazione non ha condiviso questa interpretazione, confermando invece l’impostazione della pubblica accusa e dei legali di parte civile, tra cui quelli dei familiari della vittima Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini. Nelle motivazioni, i giudici della Suprema Corte ricordano che, essendo evidente il fatto che Padovani abbia commesso l’omicidio, il punto chiave del processo era “l’esistenza o meno della capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, in quanto nel corso dell’indagine, e poi del giudizio, erano emersi il carattere ossessivo-maniacale delle forme di controllo attuate nei confronti della partner durante la relazione e dopo la sua fine, e il sentimento di frustrazione e rancore che aveva maturato per la decisione della donna di interrompere la relazione”. Padovani era stato sottoposto a una perizia psichiatrica, che aveva concluso per la sua capacità di intendere e di volere. Una conclusione contestata dalla difesa, secondo cui specialisti di tre diverse carceri, oltre ai consulenti della stessa difesa, avevano evidenziato disturbi di personalità di Padovani.

Per la Cassazione, invece, la sentenza impugnata “è stata coerente… perché, in presenza di una perizia che ha concluso nel senso dell’imputabilità dell’autore del reato, ha prestato adesione alle conclusioni dei periti, ma non ha ignorato le argomentazioni dei consulenti di parte, che sono state… addirittura confutate, andando oltre ciò che impone al giudice il sistema processuale”. Quanto alla premeditazione, per la Cassazione la sentenza di appello ha indicato attentamente gli elementi “univocamente indicativi del fatto che il proposito criminoso fosse insorto già giorni prima della commissione del reato”, ad esempio “le ricerche internet effettuate dall’imputato pochi giorni prima dell’omicidio, la nota scritta sul telefono con il promemoria delle cose da fare e da comprare in vista della commissione del reato o i messaggi alla madre e ad un amico, da cui emerge con evidenza l’intenzione di compiere un gesto che egli stesso definisce ‘terribile’”.

FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)