Nuovo studio indaga i legami tra cervello, rischio cardiovascolare e demenza


La compromissione del sistema glinfatico, il meccanismo di clearance dei metaboliti cerebrali, potrebbe costituire l’anello mancante nella comprensione di come i fattori di rischio cardiovascolare favoriscano lo sviluppo di demenza

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La compromissione del sistema glinfatico, il meccanismo di clearance dei metaboliti cerebrali, potrebbe costituire l’anello mancante nella comprensione di come i fattori di rischio cardiovascolare favoriscano lo sviluppo di demenza: in uno studio prospettico su oltre 44mila partecipanti del UK Biobank seguiti per oltre 5 anni, marcatori di risonanza magnetica indicativi di alterato flusso liquorale e glinfatico hanno predetto l’incidenza di demenza e risultavano strettamente associati a ipertensione arteriosa, diabete, fumo e rigidità arteriosa.

Il sistema glinfatico: anatomia e funzione di un sistema di drenaggio recentemente scoperto
Identificato poco più di un decennio fa, il sistema glinfatico rappresenta una via specializzata di clearance cerebrale che dipende dalla circolazione efficiente del liquido cerebrospinale (CSF). Il CSF viene continuamente prodotto dai plessi corioidei, generando una pressione che ne determina il flusso dai ventricoli cerebrali verso lo spazio subaracnoideo. Da qui, il CSF penetra nel parenchima cerebrale attraverso gli spazi perivascolari (PVS), canali che circondano i vasi sanguigni, dove avviene lo scambio con il fluido interstiziale. Questo processo facilita l’eliminazione dei prodotti di scarto metabolico, incluse proteine potenzialmente neurotossiche come amiloide-beta e tau, attraverso le vie perivascolari. Quando tale meccanismo viene compromesso, la capacità del cervello di rimuovere queste sostanze tossiche si riduce, accelerando potenzialmente la neurodegenerazione.

Hugh S. Markus, professore di medicina dello stroke presso il Dipartimento di Neuroscienze Cliniche dell’Università di Cambridge, ha coordinato lo studio pubblicato su Alzheimer’s & Dementia e presentato simultaneamente al 17° World Stroke Congress di Barcellona. Come ha sottolineato lo stesso Markus, “lo studio dimostra, con dati molto convincenti, che questi marcatori predicono il rischio di demenza e che i marcatori si correlano con i fattori di rischio cardiovascolare”. Fino a tempi recenti, la funzione glinfatica poteva essere studiata esclusivamente in modelli murini. I progressi nelle tecniche di risonanza magnetica rendono ora possibile valutare indirettamente questo sistema nell’uomo, utilizzando metodi basati su machine learning per quantificare i marcatori di imaging della funzione glinfatica su ampie popolazioni.

Biomarcatori di risonanza magnetica: misurare l’efficienza del drenaggio cerebrale
I ricercatori hanno esaminato diversi biomarcatori di risonanza magnetica che fungono da indicatori indiretti della dinamica liquorale e glinfatica. Il volume degli spazi perivascolari riflette le dimensioni dei piccoli canali che decorrono lungo i vasi sanguigni. L’analisi DTI-ALPS (diffusion tensor imaging-analysis along the perivascular space) misura il movimento delle molecole d’acqua lungo gli spazi perivascolari: valori più elevati indicano una clearance liquorale più efficiente. Il coupling BOLD-CSF (blood oxygen level-dependent CSF) cattura la relazione tra flusso ematico cerebrale e afflusso di CSF dal midollo spinale al tronco encefalico: un accoppiamento compromesso segnala una riduzione del flusso liquorale e glinfatico. Infine, il volume del plesso corioideo è stato analizzato, poiché il suo ingrandimento è stato associato a una diminuita produzione di CSF e ridotta clearance dei metaboliti.

Lo studio ha incluso 44.384 partecipanti (età mediana 65 anni, 47,9% maschi) con dati di risonanza magnetica disponibili. Durante un follow-up mediano di 5,3 anni, 133 partecipanti hanno sviluppato demenza. Valori basali più elevati di DTI-ALPS risultavano associati a un rischio inferiore di demenza dopo aggiustamento per età, sesso e scolarità ( hazard ratio 0,866; intervallo di confidenza al 95% 0,797-0,942; P=0,001). Un volume maggiore del plesso corioideo prediceva la conversione a demenza (HR corretto 1,185; IC 95% 1,088-1,291; P<0,001), così come un ridotto coupling BOLD-CSF (HR corretto 0,875; IC 95% 0,806-0,951; P=0,001). Il volume degli spazi perivascolari, invece, non prediceva la conversione a demenza (HR corretto 1,013; IC 95% 0,940-1,091; P=0,730).

Fattori di rischio cardiovascolare e compromissione del sistema di clearance cerebrale
Tutti i principali fattori di rischio cardiovascolare risultavano associati a segni di compromissione del flusso glinfatico attraverso molteplici marcatori di imaging. Pressione arteriosa sistolica più elevata, per esempio, correlava con maggior volume degli spazi perivascolari, ridotto DTI-ALPS, aumentato volume del plesso corioideo e minore coupling BOLD-CSF (P<0,001 per tutti). Il diabete mostrava un pattern simile, con ridotto DTI-ALPS, aumentato volume del plesso corioideo e diminuito coupling BOLD-CSF, sebbene non risultasse associato al volume degli spazi perivascolari.

Nell’analisi dei potenziali mediatori del rischio di demenza, il diabete è emerso come particolarmente rilevante. Sia il DTI-ALPS che il volume del plesso corioideo mediavano parzialmente le associazioni tra iperintensità della sostanza bianca e demenza, nonché tra durata del diabete e demenza. I marcatori di imaging risultavano inoltre correlati a misure di funzione cardiaca e arteriosa, inclusi lo spessore massimo dell’intima-media carotidea, la frazione di eiezione ventricolare sinistra e la rigidità arteriosa, sebbene la forza di queste associazioni variasse. Come ha spiegato Markus, i risultati chiariscono come i fattori di rischio cardiovascolare possano contribuire alla demenza: condizioni quali ipertensione e diabete possono danneggiare i piccoli vasi cerebrali, determinando a loro volta disfunzione glinfatica.

Il meccanismo fisiopatologico coinvolge probabilmente alterazioni della pulsatilità vascolare e della compliance arteriolare, che riducono la spinta propulsiva necessaria per il movimento del CSF attraverso gli spazi perivascolari. L’infiammazione sistemica e locale associata ai fattori di rischio cardiovascolare può inoltre danneggiare le aquaporine-4, canali proteici espressi dagli astrociti che facilitano il flusso d’acqua attraverso il parenchima cerebrale e sono cruciali per la funzione glinfatica.

Implicazioni terapeutiche e prospettive future
Oltre ai fattori vascolari esaminati nello studio, anche il sonno disturbato può compromettere il sistema di clearance cerebrale. È stato suggerito che la scarsa qualità del sonno rappresenti un fattore importante che interferisce con la funzione glinfatica e riduce l’eliminazione delle tossine dal cervello, ha osservato Markus. Il sistema glinfatico appare infatti particolarmente attivo durante il sonno, quando l’espansione degli spazi interstiziali facilita il flusso liquorale e la rimozione dei metaboliti.

Con un quadro più chiaro dei processi patologici che guidano la demenza, il passo successivo consiste nell’identificare modalità per modulare il sistema glinfatico al fine di ridurre il rischio. Markus ha fatto riferimento a ricerche emergenti che testano agenti sperimentali progettati per ripristinare o potenziare la funzione naturale di clearance cerebrale. Al di là del controllo della pressione arteriosa, esistono attualmente poche terapie efficaci per la demenza vascolare, che deriva da una ridotta perfusione cerebrale. Lo stesso vale per la malattia di Alzheimer, dove le terapie anti-amiloide “non aiutano granché”, ha aggiunto Markus.

Ozama Ismail, direttore dei programmi scientifici presso l’Alzheimer’s Association, ha commentato che lo studio aiuta a chiarire le complesse relazioni tra alterazioni vascolari cerebrali, rimozione di sostanze tossiche e demenza incidente, potendo identificare futuri bersagli terapeutici e strategie di riduzione del rischio. Ismail ha sottolineato che la ricerca ha costantemente dimostrato uno stretto legame tra salute cardiovascolare e salute cerebrale, citando lo studio US POINTER dell’Alzheimer’s Association, che ha recentemente dimostrato come una dieta cardioprotettiva e l’esercizio fisico regolare possano contribuire a ritardare il declino cognitivo in individui a rischio aumentato. I ricercatori intendono incorporare valutazioni domiciliari del sonno in un sottostudio US POINTER per esaminare se modifiche dello stile di vita possano migliorare la qualità del sonno e, conseguentemente, la funzione glinfatica.

Bibliografia
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