Secondo nuovi studi scientifici, guselkumab ad alto dosaggio migliora i risultati nei pazienti con malattia di Crohn più severa
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Una nuova analisi dei trial di fase 3 GALAXI-2 e GALAXI-3 dimostra che nei pazienti con malattia di Crohn da moderata a severa, una dose di mantenimento più alta di guselkumab (200 mg ogni 4 settimane) garantisce un maggior beneficio clinico ed endoscopico rispetto a 100 mg ogni 8 settimane, soprattutto nei soggetti con malattia più attiva o infiammazione residua dopo la fase di induzione. Questi nuovi dati sono stati presentati al congresso annuale dell’ACG (American College of Gastroenterology).
Guselkumab: più efficace nei pazienti con Crohn severo
Durante il congresso, la professoressa Anita Afzali (Università di Cincinnati) ha presentato un’analisi dei pazienti con malattia di Crohn attiva moderata-severa arruolati negli studi GALAXI-2 e GALAXI-3.
«I clinici hanno bisogno di indicazioni su quale dose di mantenimento di guselkumab utilizzare nei casi di malattia di Crohn più difficili da trattare», ha dichiarato la professoressa Anita Afzali, docente di medicina e presidente ad interim del Dipartimento di Medicina Interna presso la University of Cincinnati College of Medicine.
Tutti i pazienti avevano ricevuto guselkumab 200 mg endovena alle settimane 0, 4 e 8, per poi passare a una fase di mantenimento con 100 mg ogni 8 settimane o 200 mg ogni 4 settimane per 48 settimane.
Questa analisi di sottogruppo pre-specificata degli studi GALAXI-2/3 ha valutato se i pazienti con maggiore severità basale o con più infiammazione residua dopo l’induzione traessero maggior beneficio da guselkumab 200 mg sottocute ogni 4 settimane rispetto a 100 mg sottocute ogni 8 settimane in fase di mantenimento, dopo un’induzione endovenosa da 200 mg.
L’obiettivo era valutare il tasso di remissione clinica (CDAI <150) e di risposta endoscopica (riduzione ≥50% o SES-CD ≤2).
I pazienti inclusi presentavano malattia di Crohn da moderatamente a severamente attiva, definita da un punteggio compreso tra 220 e 450 nel Crohn’s Disease Activity Index (CDAI), una frequenza media giornaliera di evacuazioni superiore a 3 o un punteggio medio di dolore addominale superiore a 1; un punteggio SES-CD (Simple Endoscopic Score for Crohn’s Disease) maggiore di 12; e una risposta inadeguata o intolleranza a corticosteroidi orali, azatioprina, 6-mercaptopurina, metotrexato o biologici.
Tutti i pazienti sono stati randomizzati a ricevere guselkumab endovena 200 mg alle settimane 0, 4 e 8, seguito da una fase di mantenimento con guselkumab sottocute 100 mg ogni 8 settimane oppure 200 mg ogni 4 settimane.
Gli studi includevano anche bracci con placebo e ustekinumab; tuttavia, questa analisi si è focalizzata esclusivamente sulle dosi di mantenimento di guselkumab.
Gli endpoint primari alla settimana 48 comprendevano la remissione clinica, definita da un CDAI inferiore a 150, e la risposta endoscopica, definita come un miglioramento di almeno 50% o un punteggio SES-CD ≤ 2.
Secondo Anita Afzali, entrambi i regimi di mantenimento sottocutaneo di guselkumab si sono dimostrati “globalmente efficaci”, ma nei sottogruppi di pazienti a più alto rischio la dose da 200 mg ogni 4 settimane ha mostrato maggiori benefici clinici ed endoscopici alla settimana 48 rispetto a 100 mg ogni 8 settimane.
In particolare, la remissione clinica è stata raggiunta nel 68% vs. 55,1% dei pazienti con CDAI > 300 e nel 77% vs. 65,1% dei pazienti con SES-CD > 12; la risposta endoscopica è risultata nel 52,5% vs. 44,1% (CDAI > 300) e nel 67,2% vs. 58,7% (SES-CD > 12).
“Nelle forme meno gravi, i risultati sono stati generalmente simili tra i due dosaggi”, ha spiegato Afzali, sottolineando che i dati sono stati coerenti negli studi GALAXI-2 e GALAXI-3, e validi anche nella popolazione già trattata con biologici.
L’analisi dei sottogruppi in base all’attività di malattia iniziale e al carico infiammatorio o alla risposta endoscopica alla settimana 12 ha mostrato risultati clinici ed endoscopici numericamente migliori con la dose da 200 mg nei pazienti con maggiore infiammazione residua o assenza di risposta endoscopica precoce. I pazienti con minore infiammazione o risposta endoscopica alla settimana 12 hanno invece mostrato risultati simili con entrambe le dosi.
Afzali ha inoltre delineato diverse strategie pratiche per ottimizzare la cura del paziente.
Dosaggio adattato al rischio: nei pazienti con elevata attività iniziale (CDAI > 300; SES-CD > 12) o infiammazione persistente dopo induzione (PCR > 5 o nessuna risposta endoscopica alla settimana 12), considerare il regime da 200 mg ogni 4 settimane; nei profili a bassa gravità, entrambe le opzioni sono appropriate.
Approccio treat-to-target: prevedere una valutazione obiettiva alla settimana 12 (PCR ed endoscopia, dove possibile) per decidere l’eventuale intensificazione del trattamento.
Integrazione nel contesto di efficacia e sicurezza complessive: i risultati di fase 3 del programma GALAXI confermano un’efficacia robusta a 48 settimane e una sicurezza accettabile, sostenendo l’uso di guselkumab nel Crohn moderato-severo, con personalizzazione della dose in base al rischio.
Conclusioni: efficacia e sicurezza di guselkumab anche in chi è più grave
L’analisi dimostra che guselkumab 200 mg ogni 4 settimane offre un beneficio clinico ed endoscopico superiore nei pazienti con malattia di Crohn più severa o infiammazione persistente, mantenendo un profilo di sicurezza accettabile.
Secondo Afzali, i prossimi passi includono studi real-world e valutazioni farmacoeconomiche per confermare l’impatto di un dosaggio adattato al rischio su remissione a lungo termine, riduzione dell’uso di corticosteroidi e tassi di ospedalizzazione e chirurgia.
Afzali A, et al. Guselkumab maintenance dose regimens in patients with high disease activity and severity: Subgroup analysis of participants with moderately to severely active Crohn’s disease in the GALAXI phase 3 studies. Presented at: ACG Annual Scientific Meeting; Oct. 24-29, 2025; Phoenix (hybrid meeting).