La malattia venosa cronica (MVC) è una condizione ad alta prevalenza nella popolazione generale, che si manifesta con un progressivo deterioramento della funzione delle vene degli arti inferiori
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La malattia venosa cronica (MVC) è una condizione ad alta prevalenza nella popolazione generale, che si manifesta con un progressivo deterioramento della funzione delle vene degli arti inferiori.
L’indebolimento delle valvole venose — che normalmente impediscono il reflusso del sangue verso il basso — determina un’alterazione del flusso sanguigno, ristagno ematico e un aumento cronico della pressione venosa che comporta uno stato di ipertensione venosa con deterioramento progressivo delle pareti vascolari e dei tessuti circostanti.
«La malattia venosa cronica è una patologia molto eterogenea» — spiega il Prof. Angelo Santoliquido dell’IRCCS Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma — «perché con questo termine si intendono quadri che vanno dai semplici inestetismi cutanei, come le teleangectasie, fino alle vene varicose, all’edema e persino alle ulcere cutanee. Ciò che accomuna tutte queste manifestazioni è la perdita di funzione delle valvole venose, con conseguente aumento pressorio e innesco di un meccanismo infiammatorio autoperpetuante: una sorta di cane che si morde la coda».
La MVC viene classificata secondo il sistema CEAP, che considera aspetti clinici, eziologici, anatomici e fisiopatologici. Lo stadio C2, in particolare, è quello in cui le vene varicose diventano clinicamente evidenti: si tratta di un momento cruciale in cui intervenire precocemente può prevenire la progressione della malattia verso forme più gravi.
Endotelio, glicocalice e infiammazione: il nuovo paradigma
Negli ultimi anni si è compreso che il cuore della patogenesi della MVC risiede nel danno endoteliale. L’endotelio è rivestito da una struttura complessa, il glicocalice, costituito da glicoproteine, proteoglicani (sindecani) e glicosaminoglicani (GAG), che svolge un ruolo essenziale nel controllo della permeabilità vascolare, nella risposta infiammatoria e nel bilanciamento tra coagulazione e fibrinolisi.
In condizioni di indebolimento valvolare e conseguente flusso sanguigno alterato, il glicocalice si deteriora, permettendo ai leucociti di aderire e infiltrare la parete venosa. Si attiva così una cascata infiammatoria, con aumento delle citochine pro-infiammatorie (IL-6, IL-8), delle molecole di adesione (VCAM-1, ICAM-1) e delle metalloproteinasi (MMP-2, MMP-9), enzimi responsabili della degradazione della matrice extracellulare.
Un indicatore chiave di questo processo è rappresentato dai sindecani (Syndecan-1 e -4), proteoglicani transmembrana che stabilizzano il glicocalice legando GAG. Infatti, i sindecani rilasciati nel sangue ad opera delle MMP segnalano un danno del glicocalice endoteliale.
«Laddove c’è infiammazione» spiega Santoliquido, «si ha una distruzione progressiva del glicocalice, con conseguente disfunzione endoteliale. È proprio su questo meccanismo che si inserisce il mesoglicano: i suoi componenti — eparan solfato, dermatan solfato e condroitin solfato — rappresentano i “mattoncini” strutturali del glicocalice stesso. Ripristinarli significa restituire funzionalità all’endotelio».
Lo studio clinico: obiettivi e metodologia
Lo studio coordinato dal Prof. Santoliquido, pubblicato nel 2025 sull’International Journal of Molecular Sciences, aveva due obiettivi principali:
1. confermare la presenza di danno endoteliale e infiammazione sistemica già allo stadio CEAP C2;
2. valutare l’efficacia del mesoglicano orale nel ridurre questi fenomeni patologici.
Sono stati arruolati 23 pazienti con MVC classificati come CEAP C2. Ogni paziente è stato sottoposto a prelievi ematici da una vena varicosa dell’arto inferiore e da una vena sistemica del braccio, sia prima sia dopo 90 giorni di trattamento con mesoglicano (50 mg ogni 12 ore per via orale).
Sono stati dosati diversi marcatori infiammatori ed endoteliali — tra cui IL-6, IL-8, VCAM-1, ICAM-1, MMP-2, MMP-9, TIMP-2, Syndecan-1 e Syndecan-4 — per valutare l’effetto del trattamento sia localmente che a livello sistemico.
I risultati: conferma biologica e beneficio clinico
I dati hanno mostrato che, già nello stadio C2, esiste una marcata infiammazione locale nelle vene varicose, con livelli significativamente più elevati di VCAM-1, IL-6, IL-8, MMP-2, MMP-9 e Syndecan-1 e Syndecan-4 rispetto al sangue sistemico.
Dopo tre mesi di terapia con mesoglicano, si è osservata una riduzione significativa di tutti i marcatori infiammatori, sia localmente sia a livello sistemico, accompagnata da un aumento di TIMP-2, che contrasta l’attività delle metalloproteinasi.
«Abbiamo dimostrato che la malattia venosa cronica non è solo un problema locale della gamba» sottolinea Santoliquido, «ma ha anche una componente sistemica: la vena malata può influenzare l’intero sistema vascolare, contribuendo a un’infiammazione generale che coinvolge anche le arterie. Il mesoglicano, agendo sul glicocalice e riducendo l’infiammazione, potrebbe quindi avere un ruolo protettivo anche sul piano cardiovascolare».
Dal punto di vista clinico, oltre il 65% dei pazienti ha riferito un miglioramento significativo dei sintomi, con riduzione di pesantezza, gonfiore, crampi e dolore.
«Il mesoglicano agisce in modo duplice» spiega il professore. «Da un lato migliora la sintomatologia, dall’altro interviene sul meccanismo biologico alla base della malattia. È una sorta di simbiosi perfetta: si cura il sintomo, ma anche la causa».
Il meccanismo d’azione del mesoglicano
Il mesoglicano è una miscela di glicosaminoglicani — eparan solfato, dermatan solfato, condroitin solfato e una frazione di eparina a bassa mobilità — che riproduce in larga parte la composizione del glicocalice endoteliale.
Il farmaco esercita un’azione endotelio-protettiva attraverso diversi meccanismi sinergici:
• favorisce la rigenerazione del glicocalice, restituendo integrità funzionale alle cellule endoteliali;
• ripristina l’elettronegatività dell’endotelio, migliorando il tono venoso e la permeabilità capillare;
• contrasta la cascata infiammatoria sistemica, riducendo citochine e molecole di adesione.
• modula l’attività delle metalloproteinasi, riducendo la degradazione della matrice extracellulare;
Questa azione si traduce in un miglioramento non solo dei parametri biologici ma anche della sintomatologia soggettiva, con benefici percepiti già dopo 2–3 mesi di trattamento continuativo.
Dalla ricerca alla pratica clinica
L’approccio terapeutico con mesoglicano è stato ben tollerato ed è risultato facilmente integrabile nella pratica quotidiana. «Nel nostro studio» ricorda Santoliquido, «abbiamo utilizzato una dose di 50 mg ogni 12 ore per via orale, che si è rivelata ideale per controllare i marcatori infiammatori e migliorare la funzione endoteliale».
Il professore sottolinea però l’importanza di considerare il trattamento in un’ottica cronica e non stagionale:
«Non si può pensare di curare una malattia cronica a cicli. Nella MVC, molti pazienti assumono farmaci solo d’estate, quando i sintomi si accentuano. Ma l’infiammazione endoteliale è presente tutto l’anno: bisogna cambiare mentalità e trattare la malattia venosa cronica come una vera patologia sistemica, non come un disturbo stagionale».
Il mesoglicano si integra perfettamente con la terapia elastocompressiva, che resta un pilastro del trattamento.
«L’elastocompressione è un presidio fondamentale — precisa Santoliquido — ma mesoglicano e contenzione elastica agiscono in modo sinergico, non competitivo. Nei mesi caldi, quando la contenzione è meno tollerata, il mesoglicano mantiene una protezione endoteliale significativa».
Implicazioni e prospettive
Lo studio di Santoliquido e colleghi conferma che già nelle fasi iniziali della MVC si riscontrano alterazioni endoteliali e infiammatorie sistemiche. L’utilizzo del mesoglicano consente di intervenire precocemente, preservando la funzionalità vascolare e rallentando la progressione verso gli stadi più gravi della patologia.
In prospettiva, la misurazione di marcatori come i sindecani potrebbe aiutare a individuare precocemente i pazienti con danno endoteliale attivo, candidandoli a una terapia mirata.
«Il futuro della flebologia è nella medicina di precisione» conclude il professore. «Capire quali pazienti presentano un’infiammazione endoteliale significativa e trattarli in modo mirato con mesoglicano può cambiare la storia naturale della malattia, proteggendo non solo le vene ma l’intera salute cardiovascolare».
In sintesi
La MVC non è solo una patologia estetica o locale, ma una condizione infiammatoria sistemica che coinvolge l’endotelio vascolare.
Il mesoglicano, grazie alla sua capacità di ripristinare il glicocalice e modulare i processi infiammatori, si conferma un trattamento di riferimento nella gestione precoce della MVC.
Associato alla terapia elastocompressiva e assunto con continuità, rappresenta oggi un presidio essenziale per preservare la salute vascolare e migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Bibliografia
Santoliquido, A., et al. (2025). Local and Systemic Endothelial Damage in Patients with CEAP C2 Chronic Venous Insufficiency: Role of Mesoglycan. International Journal of Molecular Sciences, 26(9), 4046. https://doi.org/10.3390/ijms26094046
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