Tumore della vescica non muscolo-invasivo ad alto rischio: il regime con durvalumab ha ridotto del 32% il rischio di recidiva nello studio di Fase III POTOMAC
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I risultati positivi dello studio di Fase III POTOMAC hanno mostrato che l’aggiunta di un anno di trattamento con durvalumab alla terapia di induzione e mantenimento con Bacillus Calmette-Guérin (BCG) ha prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza libera da malattia (DFS) nei pazienti con carcinoma della vescica non muscolo-invasivo (NMIBC) ad alto rischio naïve a BCG, rispetto al solo trattamento con BCG.
I risultati dell’analisi finale sono stati presentati nella sessione late-breaking Proffered Paper del Congresso 2025 della European Society for Medical Oncology (ESMO) a Berlino, Germania (abstract #LBA108) e contemporaneamente pubblicati su The Lancet.
Al follow-up mediano di oltre cinque anni (60,7 mesi), il regime con durvalumab ha mostrato una riduzione del 32% del rischio di recidiva (o di morte in assenza di recidiva) rispetto al braccio di confronto (hazard ratio [HR] per DFS 0,68; intervallo di confidenza [CI] 95% 0,50-0,93; p=0,0154). La DFS mediana stimata non è stata raggiunta in entrambi i bracci. Si stima che l’87% dei pazienti trattati con il regime durvalumab sia vivo e libero da malattia a due anni rispetto all’82% nel braccio comparatore.
Lo studio non è stato disegnato statisticamente per rilevare formalmente la sopravvivenza globale (OS); tuttavia, al follow-up mediano di oltre cinque anni (65,6 mesi, maturità 14%), un’analisi descrittiva ha mostrato un HR per OS di 0,80 (CI 95% 0,53-1,20), senza differenza statisticamente significativa tra i due bracci.
“Il trattamento standard per i pazienti con tumore della vescica non muscolo invasivo ad alto rischio – afferma Lorenzo Antonuzzo, Direttore dell’Oncologia Medica Careggi, Università di Firenze – prevede l’utilizzo della terapia con BCG, dopo la resezione transuretrale della neoplasia. L’obiettivo è ridurre il rischio di recidive locali, ma si verifica ancora un’alta percentuale di ricadute, che possono portare a interventi chirurgici ripetuti e trattamenti più invasivi, compresa la rimozione della vescica, con un profondo impatto sulla qualità di vita dei pazienti. Da qui l’esigenza di nuove opzioni di cura. I risultati dello studio POTOMAC dimostrano che l’aggiunta di durvalumab, per 12 mesi, alla terapia di induzione con BCG è in grado di ridurre il rischio di recidiva del 32%, consentendo a un maggior numero di pazienti di rimanere vivi e liberi da malattia dopo due anni. È una vera innovazione, in un setting di pazienti trattati a intento curativo, in cui non si registravano progressi da almeno un decennio. Diventa così più concreta la possibilità di guarigione anche in pazienti ad alto rischio di recidiva. Anche da un punto di vista psicologico, il termine di un anno della cura è davvero importante per le persone colpite dal tumore. Gli importanti risultati dello studio POTOMAC si aggiungono ai risultati positivi dello studio NIAGARA, che ha dimostrato efficacia nei suoi endpoint, tra cui la sopravvivenza globale positiva nel setting del tumore della vescica muscolo-invasivo, confermando l’efficacia di durvalumab in questa patologia. In Italia è inoltre attivo un Expanded Access Program, cioè un programma di accesso precoce, per il trattamento dei pazienti con malattia muscolo-invasiva”.
“Il tumore della vescica è una patologia estremamente diffusa e rappresenta la quinta neoplasia per incidenza nella popolazione in Italia, con circa 31.000 nuovi casi stimati nel 2024 – spiega Massimo Di Maio, Presidente eletto AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Oltre il 70% dei casi, alla diagnosi, è di tipo non muscolo-invasivo. È, cioè, confinato agli strati più superficiali della parete vescicale e non raggiunge la tonaca muscolare della vescica. Nella gestione della malattia e per garantire il miglior percorso terapeutico, è fondamentale il team multidisciplinare, che deve comprendere, tra gli altri, il radiologo, il chirurgo, l’oncologo, l’urologo e l’anatomo patologo. Le prospettive aperte dalla combinazione dell’immunoterapia con la terapia standard BCG implicano ricadute rilevanti anche sotto il profilo organizzativo. Oggi i pazienti con malattia non muscolo-invasiva ad alto rischio, nella maggior parte dei centri, sono gestiti solo dagli urologi, perché i trattamenti endovescicali, in particolare la terapia con BCG, sono eseguiti negli ambulatori di urologia. In futuro, l’integrazione fra l’oncologia e l’urologia diventerà fondamentale, per garantire ai pazienti l’accesso all’innovazione costituita dalla combinazione dell’immunoterapia con la terapia standard”.