Fibrillazione atriale e aterosclerosi: l’aggiunta di un antipiastrinico all’anticoagulante non migliora gli esiti ischemici, ma aumenta significativamente il rischio di sanguinamento
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Per anni, nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (AF) e malattia aterosclerotica concomitante, i clinici si sono interrogati sulla possibilità di combinare un anticoagulante orale con un antipiastrinico per una protezione più ampia contro gli eventi ischemici.
Il razionale era chiaro: l’anticoagulante riduce il rischio cardioembolico, mentre l’antipiastrinico agisce sulla componente aterotrombotica. Tuttavia, finora mancavano evidenze randomizzate solide in pazienti con ictus ischemico recente e aterosclerosi nota.
Lo studio ATIS-NVAF (Antithrombotic Therapy in Ischemic Stroke Patients with Non-Valvular Atrial Fibrillation and Atherothrombosis), appena pubblicato su JAMA Neurology, ha fornito una risposta netta: l’aggiunta di un antipiastrinico all’anticoagulante non migliora gli esiti ischemici, ma aumenta significativamente il rischio di sanguinamento.
Lo studio ATIS-NVAF: disegno e popolazione
Il trial, condotto in 41 centri giapponesi, ha arruolato 316 pazienti con ictus ischemico o TIA avvenuto da 8 a 360 giorni prima dell’arruolamento, affetti da fibrillazione atriale non valvolare e da una forma documentata di aterosclerosi, tra cui: stenosi carotidea o intracranica, pregresso ictus non cardioembolico, cardiopatia ischemica, arteriopatia periferica.
L’età media dei partecipanti era di 77 anni, con una prevalenza maschile (71,5%).
I pazienti sono stati randomizzati a ricevere:
• anticoagulante orale + antipiastrinico (n = 159), oppure
• anticoagulante in monoterapia (n = 157).
La scelta degli agenti è stata lasciata ai medici curanti: il 94% ha ricevuto anticoagulanti orali diretti (DOAC), in particolare apixaban, mentre gli antipiastrinici usati sono stati aspirina (52%), clopidogrel (31%) e cilostazolo (17%).
Il trial è stato interrotto anticipatamente nel 2023 dopo un’analisi di futilità.
Nessun beneficio ischemico, ma sanguinamenti più che raddoppiati
Il punto finale primario, un composito di eventi ischemici (ictus, infarto, TIA) e sanguinamenti maggiori, si è verificato nel 17,8% del gruppo combinato e nel 19,6% del gruppo monoterapia (HR 0,91; p = 0,64) — una differenza non significativa.
Considerando gli eventi ischemici isolati, il tasso è stato 11,1% nel gruppo combinato contro 14,2% nel gruppo con solo anticoagulante (HR 0,76; p = 0,41).
Ma i sanguinamenti maggiori o clinicamente rilevanti sono stati 2,4 volte più frequenti con la doppia terapia (19,5% vs 8,6%; p = 0,008).
“L’aggiunta di un antipiastrinico a un anticoagulante non fornisce un beneficio clinico netto e aumenta il rischio di eventi emorragici,” ha affermato il primo autore Hiroshi Yamagami, dell’Università di Tsukuba.
“Per la maggior parte dei pazienti, la monoterapia anticoagulante resta l’opzione più sicura ed equilibrata.”
Un editoriale che rafforza il messaggio: “evitare il doppio rischio”
Nell’editoriale che accompagna lo studio, Richard A. Bernstein (Northwestern University, Chicago) e Lauren Previch (Kaiser Permanente, Los Angeles) scrivono che “l’aggiunta di un antipiastrinico agli anticoagulanti nei pazienti con AF e stroke aumenta in modo significativo il rischio di sanguinamento in cambio di un beneficio incerto”.
Secondo gli autori, “salvo specifiche indicazioni — come uno stent coronarico o carotideo recente — i pazienti con fibrillazione atriale e ictus dovrebbero essere trattati con solo anticoagulante”.
Gli esperti avvertono inoltre che il composito primario dello studio, che unisce ischemia e sanguinamento, va interpretato con cautela: “dal punto di vista del paziente, un’emorragia gastrointestinale può essere preferibile a un ictus invalidante, quindi equiparare i due eventi nella stessa metrica di beneficio netto potrebbe non essere appropriato.”
Il dilemma fisiopatologico: trombosi piastrinica o embolia cardiaca?
Il razionale per la doppia terapia nasce dal fatto che molti pazienti con fibrillazione atriale presentano due meccanismi trombotici distinti:
1. Trombosi piastrinica locale legata all’aterosclerosi delle arterie cerebrali o coronariche;
2. Embolia cardiaca dovuta alla formazione di trombi nell’atrio sinistro.
Tuttavia, i dati di ATIS-NVAF confermano che il contributo aterotrombotico residuo nei pazienti già anticoagulati è relativamente modesto, mentre l’effetto emorragico della doppia inibizione (coagulativa e piastrinica) è clinicamente rilevante.
In assenza di un chiaro guadagno in prevenzione ischemica, il bilancio rischio-beneficio pende a sfavore della combinazione.
Confronto con studi precedenti
Il tema dell’associazione tra anticoagulante e antipiastrinico nei pazienti con fibrillazione atriale non è nuovo.
I trial AUGUSTUS e AFIRE avevano già suggerito che nei pazienti con AF e malattia coronarica stabile, la sospensione precoce dell’antipiastrinico dopo 6-12 mesi di doppia terapia riduceva il rischio di emorragia senza aumentare quello ischemico.
ATIS-NVAF estende questo concetto alla popolazione post-ictus con aterosclerosi, mostrando che anche in questo contesto complesso la monoterapia anticoagulante è sufficiente.
Limiti dello studio
Gli autori dello studio sottolineano alcuni limiti metodologici che meritano di essere considerati nell’interpretazione dei risultati.
Innanzitutto, il disegno open-label, che prevedeva la conoscenza del trattamento da parte sia dei medici sia dei pazienti, potrebbe aver introdotto un certo grado di bias nella valutazione degli eventi clinici. Inoltre, la scelta degli specifici farmaci anticoagulanti e antipiastrinici era lasciata alla discrezione del medico curante, elemento che potrebbe aver contribuito a una certa variabilità terapeutica.
Un altro aspetto riguarda la popolazione esclusivamente giapponese: le caratteristiche genetiche, dietetiche e cliniche di questi pazienti potrebbero non riflettere quelle delle popolazioni occidentali, rendendo quindi più complessa la generalizzazione dei risultati a contesti diversi.
Va segnalata anche l’assenza di test genetici per la resistenza al clopidogrel, in particolare l’analisi del gene CYP2C19, che avrebbe potuto fornire informazioni utili sull’effettiva risposta al farmaco antipiastrinico e sul rischio di eventi ischemici residui.
Infine, la definizione ampia di malattia aterosclerotica, che includeva sia stenosi sintomatiche sia asintomatiche, introduce una certa eterogeneità nella popolazione studiata, con potenziali differenze di rischio non completamente controllate.
Nonostante queste limitazioni, gli autori sottolineano che il messaggio clinico di fondo resta solido: nei pazienti con fibrillazione atriale e pregressa ischemia cerebrale, l’aggiunta di un antipiastrinico all’anticoagulante non apporta benefici significativi e aumenta il rischio di sanguinamento, per cui la monoterapia anticoagulante dovrebbe rimanere la scelta di riferimento, salvo indicazioni specifiche e ben motivate.
Implicazioni per la pratica clinica
Lo studio offre una base solida per rivalutare le strategie antitrombotiche post-ictus nei pazienti con fibrillazione atriale e comorbidità vascolare.
In un contesto clinico sempre più orientato alla “de-intensificazione” terapeutica, i dati di ATIS-NVAF rafforzano il principio secondo cui “less is more”, almeno per la maggior parte dei pazienti.
Le linee guida internazionali (AHA/ASA 2024, ESC 2024) già raccomandano di evitare la doppia terapia in assenza di indicazioni specifiche. ATIS-NVAF conferma che anche nei pazienti con placca aterosclerotica documentata, la monoterapia anticoagulante è generalmente sufficiente per bilanciare efficacia e sicurezza.
In un’era di terapie sempre più mirate, la tendenza alla sovrapposizione farmacologica deve essere sostituita da una personalizzazione intelligente.
Per i pazienti con AF e aterosclerosi, la gestione ottimale non si ottiene aggiungendo farmaci, ma selezionando il trattamento giusto per il giusto paziente.
L’adozione di strategie personalizzate — basate su imaging vascolare, biomarcatori e profili genetici di risposta agli antipiastrinici — potrà aiutare in futuro a identificare le rare situazioni in cui la combinazione può davvero offrire un vantaggio netto.
Bibliografia
Okazaki S, Yamagami H, et al. Optimal antithrombotics for ischemic stroke and concurrent atrial fibrillation and atherosclerosis (ATIS-NVAF). JAMA Neurology. 2025; DOI: 10.1001/jamaneurol.2025.3662
Bernstein RA, Previch L. Anticoagulation and antiplatelet therapy in patients with atrial fibrillation and atherosclerosis. JAMA Neurology. 2025; DOI: 10.1001/jamaneurol.2025.3534