Rischio cardiovascolare: dati rivoluzionari su evolocumab dallo studio di fase III VESALIUS-CV


Per la prima volta, un inibitore di PCSK9, evolocumab, ha dimostrato di ridurre in modo significativo il rischio di infarto e ictus anche nei pazienti ad alto rischio che non avevano mai avuto un evento cardiovascolare

insufficienza cardiaca

Un risultato destinato a cambiare le strategie di prevenzione cardiovascolare a livello globale. Per la prima volta, un inibitore di PCSK9, evolocumab, ha dimostrato di ridurre in modo significativo il rischio di infarto e ictus anche nei pazienti ad alto rischio che non avevano mai avuto un evento cardiovascolare.

I dati provengono dallo studio di fase III VESALIUS-CV, un trial multicentrico condotto in 36 Paesi, che ha arruolato oltre 12.300 pazienti a elevato rischio cardiovascolare. I partecipanti erano già in trattamento con statine o altre terapie ipolipemizzanti e sono stati seguiti per una mediana di 4,5 anni.

L’aggiunta di evolocumab ha centrato entrambi gli endpoint primari:
• riduzione significativa del rischio di morte coronarica, infarto miocardico o ictus ischemico;
• riduzione di un endpoint composito più ampio, che includeva anche procedure di rivascolarizzazione legate all’ischemia .

Fondamentale: non sono emersi nuovi segnali di sicurezza rispetto al profilo già noto del farmaco.

Dal FOURIER al VESALIUS-CV: la svolta dalla prevenzione secondaria alla primaria
Gli inibitori PCSK9 hanno rivoluzionato la gestione dell’ipercolesterolemia familiare e della prevenzione secondaria, ossia nei pazienti che hanno già avuto un infarto, uno stroke o hanno una malattia aterosclerotica conclamata.

Il trial FOURIER (2017) fu il primo a dimostrare la riduzione degli eventi cardiovascolari in questo setting, portando all’estensione delle indicazioni di evolocumab.
FOURIER (Further Cardiovascular Outcomes Research with PCSK9 Inhibition) ha arruolato 27.564 pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica nota e livelli di LDL-C ≥ 70 mg/dL nonostante terapia con statine.
I pazienti sono stati randomizzati a ricevere evolocumab (140 mg ogni 2 settimane o 420 mg mensili) o placebo, in aggiunta alle statine.
Dopo un follow-up mediano di circa 2,2 anni (26 mesi), l’aggiunta di evolocumab ha prodotto una significativa riduzione del primo endpoint composito (morte CV, infarto, ictus, ospedalizzazione per angina instabile o rivascolarizzazione) con hazard ratio ~ 0,85 (riduzione relativa del ~ 15 %) rispetto a placebo.
Il beneficio è stato guidato soprattutto da minori infarti non fatali, ictus e rivascolarizzazioni, ma non si è osservata una riduzione significativa della mortalità cardiovascolare o totale nell’arco dello studio.
Il profilo di sicurezza è risultato favorevole, con poche reazioni al sito d’iniezione e nessun incremento significativo di eventi avversi quali nuovo diabete o effetti neuro cognitivi.

VESALIUS-CV, invece, ha affrontato la domanda rimasta aperta: è possibile prevenire il primo evento cardiovascolare in pazienti ad alto rischio, ma senza precedenti clinici? La risposta è sì. Evolocumab diventa così il primo e unico PCSK9 a dimostrare un beneficio in prevenzione primaria .

Secondo Jay Bradner, responsabile R&D di Amgen, “questi dati dimostrano il potenziale di Repatha di raggiungere milioni di pazienti prima che un evento cardiovascolare ne cambi la vita”.

Un bisogno clinico ed epidemiologico enorme
Le malattie cardiovascolari restano la prima causa di morte al mondo, con oltre 17 milioni di decessi ogni anno (OMS). Nonostante l’efficacia delle statine, una quota rilevante di pazienti non raggiunge i target di LDL-C raccomandati, oppure non tollera le terapie convenzionali.

Il comunicato ufficiale Amgen sottolinea che sono oltre 100 milioni i pazienti globalmente candidabili a un abbassamento più intensivo del colesterolo LDL . Per loro, l’arrivo di un’opzione sicura ed efficace in prevenzione primaria potrebbe tradursi in un impatto clinico e socioeconomico straordinario.

Prossimi passi e prospettive
La potenziale riduzione di ricoveri, interventi di rivascolarizzazione e costi legati a disabilità croniche rende questo risultato rilevante anche per i sistemi sanitari.

I dati completi saranno presentati l’8 novembre 2025 al congresso dell’American Heart Association (AHA) e inviati a una rivista peer-reviewed. Se confermati, è probabile che le linee guida internazionali prendano in considerazione, per la prima volta, l’uso di un PCSK9 in prevenzione primaria nei pazienti ad alto rischio.

Si apre così un nuovo scenario: non più solo “curare dopo il primo infarto”, ma anticipare la prevenzione nei soggetti a rischio, proteggendoli prima che la malattia aterosclerotica si manifesti con un evento acuto.