Sindrome VEXAS, canakinumab emerge in studio comparativo


L’inibitore di IL-1 canakinumab potrebbe rappresentare un’opzione migliore di trattamento rispetto ad un altro inibitore di IL-1 – anakinra – nel trattamento della sindrome VEXAS

trials clinici

L’inibitore di IL-1 canakinumab potrebbe rappresentare un’opzione migliore di trattamento rispetto ad un altro inibitore di IL-1 – anakinra – nel trattamento della sindrome VEXAS. Lo dimostrano i risultati di uno studio multicentrico internazionale retrospettivo recentemente pubblicato sulla rivista Arthritis & Rheumatology.

Razionale d’impiego degli inibitori di IL-1 nella sindrome VEXAS
La sindrome VEXAS (acronimo di Vacuoles, E1 enzyme, X-linked, autoinflammatory, somatic syndrome) è stata identificata solo nel 2020 e, ad oggi, i casi diagnosticati sono alcune centinaia, anche se le stime di prevalenza suggeriscono che migliaia di persone restino ancora senza diagnosi. I sintomi di questa sindrome sono variabili, ma più frequentemente comprendono febbre cronica, lesioni cutanee, dolori articolari e condrite, oltre a trombosi venose.

La sindrome è legata a mutazioni del gene UBA1, localizzato sul cromosoma X, e colpisce quasi esclusivamente gli uomini. L’incidenza sembra aumentare con l’età, probabilmente per un lento accumulo dei processi patologici fino alla comparsa del quadro clinico. Un trattamento efficace, se mai individuato, dovrebbe essere continuato indefinitamente per la natura genetica della malattia.

Ad oggi, non esiste una terapia sicura ed efficace. Uno studio recente ha mostrato tassi di risposta del 15–30% con diverse classi di farmaci, quando la risposta veniva definita in modo rigoroso; con criteri più ampi, fino alla metà dei pazienti rispondeva al trattamento.
Le percentuali più elevate di risposta si sono osservate con i Jak inibitori, ma questi sono anche associati a maggior rischio di infezioni gravi: tra i 78 pazienti trattati, 4 sono deceduti durante il follow-up.

Anche i risultati sugli inibitori di IL-1 non sono stati inizialmente incoraggianti: circa la metà dei pazienti li aveva sospesi entro sei mesi.
Tuttavia, il team di ricercatori che ha condotto il nuovo studio li ha ritenuti degni di ulteriore approfondimento, dato che nei pazienti con VEXAS si riscontra un aumento di IL-1 insieme ad altre citochine.

Il farmaco più usato è stato anakinra, ma le prime esperienze hanno evidenziato frequenti reazioni cutanee gravi, che potrebbero spiegare l’elevato tasso di interruzione. Un’opzione più recente è canakinumab, altro inibitore di IL-1, su cui però i dati nell’ambito della sindrome VEXAS sono ancora molto limitati.

Di qui il nuovo studio che si è proposto di mettere a confronto l’efficacia dei due inibitori di IL-1.

Disegno dello studio 
I ricercatori hanno analizzato i registri VEXAS in Francia e Israele, oltre ai dati di un centro italiano dove sei pazienti erano stati trattati con canakinumab o anakinra. Complessivamente, 44 pazienti erano stati sottoposti a trattamento con anakinra e nove a trattamento con canakinumab; sei di loro hanno provato entrambi i farmaci in momenti diversi, con gli outcome valutati e analizzati separatamente. Le risposte al trattamento sono state classificate come complete o parziali.

Una risposta completa richiedeva la risoluzione dei sintomi clinici, una terapia cortisonica in corso con dosi equivalenti a prednisone <10 mg/die e livelli di proteina C-reattiva (CRP) ≤10 mg/L.
Una risposta parziale prevedeva ugualmente la scomparsa dei sintomi, con almeno il 50% di riduzione della CRP rispetto al valore basale e senza aumento del dosaggio di steroidi.

L’età media al momento dell’inizio della terapia anti-IL-1 era di 73 anni per il gruppo trattato con anakinra e di 70 anni per quello con canakinumab. Le manifestazioni cutanee erano le più frequenti, seguite dai sintomi polmonari e dalle complicanze trombotiche. I valori basali medi di CRP erano pari a 97 mg/L nel gruppo anakinra e 74 mg/L in quello canakinumab.

Tra le terapie precedentemente utilizzate, oltre ai corticosteroidi, figuravano metotrexato, micofenolato, azatioprina, ciclofosfamide, ciclosporina e colchicina.

Risultati principali
Dei 47 pazienti con sindrome VEXAS trattati con inibitori di IL-1 in Francia, Italia e Israele, tutti coloro che erano stati trattati con canakinumab hanno mostrato almeno una certa risposta dopo 1 mese, contro appena il 34% di quelli trattati con anakinra.
Inoltre, dopo 3 mesi, la probabilità di ottenere una risposta era quasi 30 volte maggiore con canakinumab rispetto ad anakinra.

I pazienti, inoltre, erano molto più propensi a proseguire la terapia con canakinumab: è stato osservato, infatti, che il tempo mediano di trattamento con questo farmaco (tutte le dosi considerate) è stato di 15 mesi (intervallo inter quartile: 7-54), contro appena 1 mese (IQR: 1-2,5) per anakinra.

La persistenza in terapia è risultata particolarmente lunga con canakinumab a 300 mg ogni 4 settimane, con una mediana di 54 mesi (IQR 30-56).
Tuttavia, nessuno dei due trattamenti si è dimostrato davvero efficace. Dopo 12 mesi, solo due pazienti avevano ottenuto una risposta completa (entrambi trattati con canakinumab), e solo sette avevano mostrato una risposta parziale. Al mese 12, più della metà dei pazienti aveva sospeso la terapia (88% nel gruppo anakinra, 56% in quello canakinumab).

La maggior parte delle interruzioni terapeutiche è stata dovuta, almeno in parte, a scarsa efficacia o a ricomparsa dei sintomi. Tuttavia, con anakinra hanno avuto un ruolo importante anche gli eventi avversi, responsabili di oltre il 40% delle sospensioni. Un terzo dei pazienti trattati con anakinra ha sviluppato gravi reazioni nel sito di iniezione, evento che non si è verificato con canakinumab. Altri effetti collaterali più comuni con anakinra includevano polmonite, reazioni sistemiche di lieve entità e neutropenia.

Implicazioni cliniche dello studio
I risultati di questo studio multicentrico e internazionale mostrano che canakinumab si associa ad ad un tasso di risposta più elevato e ad una durata di trattamento significativamente più lunga rispetto ad anakinra.
Inoltre, il suo profilo di sicurezza risulta più favorevole, con assenza di reazioni locali nel sito di iniezione e un numero inferiore di eventi avversi gravi, come infezioni, rispetto ad anakinra.

Dal punto di vista clinico, questi dati suggeriscono che canakinumab possa rappresentare un’opzione terapeutica utile nei pazienti con VEXAS, in particolare come trattamento di seconda linea o di soccorso (rescue) per coloro che non tollerano anakinra.
L’effetto steroid-sparing, unito ad una tollerabilità migliore, offre la possibilità di ridurre l’esposizione cronica ai corticosteroidi, ancora oggi la base della terapia nella maggior parte dei pazienti, ma responsabili di un elevato carico di tossicità a lungo termine.
A tal proposito, i ricercatori hanno precisato che canakinumab  300 mg ogni 4 settimane “può essere considerato un’ulteriore opzione terapeutica steroid-sparing per i pazienti con VEXAS, accanto a ruxolitinib, tocilizumab e azacitidina”.

In conclusione, i risultati provenienti da questo lavoro orientano verso una maggiore integrazione di canakinumab nei percorsi terapeutici per la VEXAS: canakinumab può dunque rappresentare un’opzione terapeutica aggiuntiva e steroid-sparing nei pazienti VEXAS, da considerare in combinazione o in sequenza con altre terapie come ruxolitinib, tocilizumab e azacitidina.

Lo studio, per ammissione degli stessi ricercatori, è limitato sia dal disegno osservazionale retrospettivo che dalla ridotta numerosità dei pazienti (peraltro provenienti solo da 3 Paesi, la qual cosa limita la generalizzabilità dei risultati).
Sono necessarie, perciò, conferme ulteriori provenienti da studi prospettici e randomizzati ad hoc.

Bibliografia
Eviatar T, et al “Comparative efficacy and safety of anakinra and canakinumab in patients with VEXAS syndrome — An international multicenter study” Arthritis Rheumatol 2025; DOI: 10.1002/art.43384.
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