Idrosadenite suppurativa, sonelokimab delude in Fase III


Il programma di fase 3 VELA con sonelokimab, condotto da MoonLake Immunotherapeutics, doveva segnare il lancio definitivo della biotech nel campo dell’idrosadenite suppurativa ma è stato un flop

idrosadenite suppurativa recalcitrante

Il programma di fase 3 VELA con sonelokimab, condotto da MoonLake Immunotherapeutics, doveva segnare il lancio definitivo della biotech nel campo dell’idrosadenite suppurativa. Invece, l’annuncio dei risultati ha provocato un autentico terremoto finanziario: nonostante segnali di efficacia clinica, uno dei due studi “gemelli” non ha raggiunto la significatività statistica per l’endpoint primario, complice una risposta al placebo insolitamente elevata. L’effetto immediato è stato il crollo del titolo MoonLake, precipitato dell’80-90% in poche ore.

Il disegno del trial: VELA-1 e VELA-2

Il programma VELA comprende due studi identici, VELA-1 e VELA-2, entrambi dedicati a pazienti adulti con idrosadenite suppurativa (HS) da moderata a severa.

L’endpoint primario era il raggiungimento dell’HiSCR75, ossia una riduzione di almeno il 75% delle lesioni infiammatorie (noduli e ascessi) rispetto al basale, senza aumento di ascessi o fistole drenanti.

Lo schema prevedeva una valutazione a 16 settimane, seguita dal passaggio di tutti i pazienti al trattamento attivo fino alla settimana 52 e da un’estensione in aperto di due anni. Per rafforzare la robustezza statistica, l’analisi è stata condotta con due approcci:

la composite strategy, scelta come analisi principale;

la treatment policy strategy, più flessibile, che include i dati anche in presenza di eventi intercorrenti.

Risultati a 16 settimane: luci e ombre

VELA-1 ha offerto dati incoraggianti: il 34,8% dei pazienti trattati con sonelokimab ha raggiunto l’endpoint primario, contro il 17,5% del placebo (delta ~17 punti percentuali). Anche gli endpoint secondari — HiSCR50, IHS4-55, dolore e qualità di vita — hanno mostrato differenze significative a favore del farmaco.

VELA-2, invece, ha tradito le attese. Qui il placebo ha mostrato un tasso di risposta sorprendentemente elevato (25,6%), riducendo il margine rispetto a sonelokimab (35,9%). La differenza (~9 punti percentuali) non ha superato la soglia di significatività statistica nell’analisi principale (p = 0,053). Con la treatment policy strategy, tuttavia, la differenza a favore del farmaco è risultata significativa.

Nell’analisi combinata dei due trial, sonelokimab ha comunque ottenuto miglioramenti clinicamente rilevanti e altamente significativi (p < 0,001) su tutti gli endpoint principali e secondari.

Reazione del mercato: un tracollo senza appello

Nonostante l’interpretazione alternativa potesse attenuare l’impatto dei dati, gli investitori hanno reagito con durezza. In un solo weekend, il titolo MoonLake è crollato da circa 62 dollari a poco più di 7-8 dollari in pre-market, bruciando quasi tutta la capitalizzazione.

Gli analisti hanno parlato di “disastro autoimmunitario”, sottolineando come la risposta placebo fuori scala abbia minato la credibilità della narrativa di efficacia. Alcuni hanno rivisto al ribasso le stime di approvazione e i target di prezzo, aumentando l’incertezza intorno al futuro della biotech.

Perché tanto placebo? I nodi critici

Il tasso elevato di risposta al placebo è un fenomeno noto negli studi dermatologici, ma il livello osservato in VELA-2 ha sollevato interrogativi su aspetti operativi, criteri di selezione dei pazienti o altre variabili non previste.

MoonLake ha difeso il proprio approccio, ricordando che l’analisi treatment policy era stata prevista sin dall’inizio come strumento per garantire robustezza ai dati.

Va anche ricordato che sonelokimab aveva già mostrato solidi risultati nel trial di fase 2 MIRA, da cui era stato scelto il dosaggio di 120 mg per la fase 3. Inoltre, l’azienda ha ampliato il programma clinico con studi su altre indicazioni: psoriasi, artrite psoriasica, pustolosi palmoplantare e spondiloartrite assiale.

Scenari futuri: tra regolatori, mercato e Big Pharma

Il destino del farmaco si giocherà nei prossimi mesi su tre fronti:

Dati a 52 settimane: le letture complete saranno cruciali per dimostrare persistenza dell’effetto e sicurezza a lungo termine.

Dialogo regolatorio: MoonLake dovrà convincere le agenzie che i risultati, pur con limiti, giustificano un via libera. Le due strategie di analisi saranno centrali in questa discussione.

Solidità finanziaria: il tracollo in Borsa ha messo a rischio la fiducia degli investitori e potrebbe costringere l’azienda a cercare partnership o accordi di acquisizione. Già in passato erano circolate voci di interesse da parte di big pharma come MSD.

Un farmaco non (ancora) competitivo?

MoonLake puntava a posizionare sonelokimab come un nuovo standard nell’idrosadenite suppurativa, patologia per cui la pipeline terapeutica resta limitata e in cui persiste un forte bisogno clinico insoddisfatto. Il meccanismo d’azione innovativo — legame a due citochine infiammatorie e ad albumina, per migliorarne stabilità e durata — faceva sperare in un profilo superiore a farmaci come Humira (AbbVie), Cosentyx (Novartis) e Bimzelx (UCB).

Ma la realtà dei dati, giudicati “deludenti” e “non differenzianti” da più analisti, ha ridimensionato drasticamente queste ambizioni. Per RBC Capital Markets, il farmaco rischia di essere confinato a un ruolo marginale, con prospettive ridotte anche in altre indicazioni.

Conclusioni

Il caso MoonLake-sonelokimab è emblematico della fragilità del rapporto tra segnali clinici promettenti e aspettative di mercato. L’efficacia c’è, ma l’anomalia statistica della risposta placebo ha messo in ombra i progressi, trasformando un risultato scientificamente solido in un disastro finanziario.

I prossimi mesi saranno decisivi: solo i dati a 52 settimane e la capacità di costruire una narrativa convincente con i regolatori potranno chiarire se sonelokimab avrà un futuro competitivo o se resterà un’occasione mancata.