Autismo: molti scienziati ricordano che decenni di studi spiegano gran parte dell’aumento con un’espansione delle diagnosi, non con un’esplosione dei casi “reali”
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Il 16 aprile Robert F. Kennedy Jr ha convocato una conferenza stampa sui nuovi dati statunitensi: la prevalenza stimata tra i ragazzi di otto anni di età sarebbe passata da 1 su 150 nel 2000 a 1 su 31 nel 2022. L’ha definita un’“epidemia” causata da una “tossina ambientale” e ha annunciato uno studio per trovarne il responsabile. A maggio il NIH ha presentato l’Autism Data Science Initiative (ADSI), fino a 50 milioni di dollari per ricerche sulle cause.
L’iniziativa, però, ha diviso. Molti scienziati ricordano che decenni di studi spiegano gran parte dell’aumento con un’espansione delle diagnosi, non con un’esplosione dei casi “reali”. “Non vediamo un’epidemia di autismo, ma un’epidemia di diagnosi”, osservano diversi esperti, temendo anche che il programma alimenti tesi smentite, come il legame con i vaccini.
Perché i numeri crescono?
• Criteri diagnostici più ampi. Tra anni ’90 e 2013 DSM e ICD hanno allargato la definizione (in DSM-5 rientrano anche condizioni prima considerate a parte, come la sindrome di Asperger).
• Migliori strumenti e interpretazione più inclusiva: test standardizzati, interviste strutturate.
• Maggiore consapevolezza sociale e meno stigma: scuole, sanitari e famiglie riconoscono prima i segnali; ottenere una diagnosi può facilitare l’accesso ai supporti.
• Nuovi profili diagnosticati: età più precoce, più diagnosi in adulti, ragazze e donne, prima spesso trascurate.
Gli studi che hanno provato a “pesare” i fattori indicano che la revisione dei criteri e delle registrazioni spiega una quota sostanziale dell’aumento: in Danimarca, per esempio, circa il 60% dell’incremento tra le coorti 1980–1991. In Svezia, la prevalenza dei sintomi rilevati da survey è rimasta stabile mentre aumentavano le diagnosi presenti nei registri.
Quanto è diffuso oggi?
La rete statunitense ADDM, basata su documenti sanitari ed educativi, stima 1 su 31 tra gli ottoenni, con ampie differenze tra Stati (in parte legate a capacità di rilevazione e servizi). Le indagini campionarie, considerate più accurate, danno valori più bassi: il Global Burden of Disease ha stimato nel 2021 circa 1 su 127 a livello globale (meno dell’1%), pari a 62 milioni di persone. In alcuni contesti, però, survey rigorose hanno trovato prevalenze più alte in coorti specifiche: il quadro non è uniforme.
Che cosa causa l’autismo?
La genetica pesa molto. Le stime di ereditabilità si aggirano attorno all’80%, con un mosaico di varianti: alcune rare ad alto impatto (spesso mutazioni de novo) spiegano il quadro in una minoranza; centinaia o migliaia di varianti comuni hanno effetti minuscoli singolarmente ma importanti se sommate. L’architettura genetica varia da individuo a individuo.
I fattori ambientali rappresentano una fetta più piccola e agiscono soprattutto prima della nascita. L’ipotesi vaccini è stata smentita con forza. Tra le associazioni più solide figurano l’età parentale avanzata (che aumenta la probabilità di mutazioni de novo), alcune infezioni in gravidanza e l’esposizione all’inquinamento atmosferico; studi recenti hanno collegato, per esempio, livelli più alti di ozono a un rischio maggiore. Stabilire nessi causali precisi resta difficile.
Le parole di Kennedy hanno suscitato reazioni accese nella comunità autistica, soprattutto quando ha affermato che “questi bambini non pagheranno mai le tasse e non lavoreranno mai”: un’affermazione stigmatizzante, oltre che inesatta, perché molte persone autistiche studiano, lavorano e pagano le tasse. Gruppi di familiari e persone autistiche sono divisi: c’è chi chiede più ricerca sulle cause e chi teme che tolga attenzione e fondi ai bisogni urgenti di supporto, diagnosi e inclusione.
Il punto chiave per lettori e decisori è la complessità. La crescita delle diagnosi riflette per lo più cambiamenti culturali, clinici e organizzativi; un’eventuale variazione della prevalenza “vera” non è esclusa ma appare minore. Le cause intrecciano genetica ed esposizioni prenatali in combinazioni diverse, senza scorciatoie né spiegazioni in uno slogan. Una politica basata sulle prove dovrebbe finanziare sia studi di qualità su fattori genetici e ambientali sia, soprattutto, servizi tempestivi e accessibili: presa in carico precoce, supporti educativi e terapeutici, inclusione scolastica e lavorativa, e un linguaggio rispettoso.
In sintesi: i numeri crescono soprattutto perché oggi identifichiamo meglio l’autismo e lo riconosciamo in più persone. Capire perché un singolo individuo sia autistico richiede di guardare alla storia genetica e prenatale, non di cercare un unico “colpevole”. La ricerca può e deve proseguire, ma senza alimentare miti smentiti: le politiche efficaci sono quelle che coniugano evidenza scientifica e diritti delle persone autistiche e delle loro famiglie.