Lupus: L’impiego di belimumab prima dell’inizio della terapia immunosoppressiva (IS) è stato associato a una riduzione delle recidive di malattia
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L’impiego di belimumab prima dell’inizio della terapia immunosoppressiva (IS) è stato associato ad una più rapida riduzione dei glucocorticoidi e ad un minor numero di riacutizzazioni di malattia nei pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico (LES). Questo è quanto si evince dai risultati di uno studio pubblicato su Rheumatology and Therapy.
Razionale e disegno dello studio
Tradizionalmente, il trattamento di prima linea del LES prevede il ricorso agli antimalarici a lungo termine e ai glucocorticoidi a breve termine. Nei pazienti non responsivi, si introducono comunemente immunosoppressori (IS).
Le linee guida precedenti raccomandavano il ricorso ai farmaci biologici solo dopo fallimento degli IS, ma le indicazioni EULAR 2023 ne ammettono l’impiego precoce, anche senza precedente terapia IS. Inoltre, si sottolinea la riduzione dei glucocorticoidi a ≤ 5 mg/die o la loro sospensione.
L’uso prolungato di glucocorticoidi e IS è legato a infezioni e danni d’organo, principali cause di mortalità nel LES. Inoltre, gli IS convenzionali, non specifici per il LES, potrebbero non controllare adeguatamente l’attività di malattia. Di conseguenza, l’impiego precoce di biologici come il belimumab — anticorpo monoclonale diretto contro il BLyS — potrebbe migliorare gli esiti clinici, come suggerito anche da evidenze real-world.
In questo studio, usando dati dal database Komodo Health (USA), è stato valutato l’impatto del belimumab in pazienti adulti con LES, confrontando quelli con e senza precedente uso di IS. L’analisi, su 24 mesi di follow-up, si basa su coorti ponderate e modelli statistici corretti per i fattori confondenti, allo scopo di analizzare l’efficacia clinica del trattamento e l’utilizzo delle risorse sanitarie.
Lo studio, di tipo retrospettivo e longitudinale, ha analizzato i dati provenienti dal database statunitense Komodo Health (2015-2023). Sono stati inclusi pazienti adulti con diagnosi di LES e con almeno 24 mesi di dati disponibili prima dell’inizio del trattamento con belimumab, seguiti poi per ulteriori 24 mesi.
I pazienti sono stati suddivisi in base all’impiego pregresso di terapia IS. Per correggere eventuali fattori di confondimento, è stato applicato il metodo della ponderazione per probabilità inversa di trattamento (IPTW).
Gli outcome analizzati includevano il tempo alla sospensione dei glucocorticoidi orali (OGC), la riduzione della dose cumulativa, l’incidenza delle riacutizzazioni (lievi, moderate e gravi) e il consumo di risorse sanitarie (ricoveri e accessi al pronto soccorso).
Risultati principali
Dopo l’aggiustamento IPTW, l’analisi finale ha incluso 2190 pazienti nel gruppo “non-IS” e 2533 nel gruppo “IS”. L’età media era simile tra i gruppi (circa 43 anni) e oltre il 92,6% dei pazienti erano donne. La durata media del follow-up era di 25,4 mesi, con il 44,7% (non-IS) e il 43,7% (IS) dei pazienti ancora in follow-up a 24 mesi. L’intervallo medio tra la prima terapia per il LES e l’inizio del belimumab era di 5,9 mesi, e il trattamento con belimumab è durato in media circa 11 mesi.
Dopo l’inizio della terapia con belimumab, i pazienti del gruppo non-IS hanno raggiunto una sospensione degli OGC in tempi più brevi rispetto al gruppo IS (mediana di 9,8 contro 11,7 mesi), con tassi di sospensione più elevati a 6, 12 e 24 mesi (rispettivamente 39,4%, 53,9% e 68,8% contro 32,7%, 50,1% e 68,0%).
Il rapporto di rischio (HR) per la sospensione degli OGC al momento dell’inizio del trattamento favoriva il gruppo non-IS (HR: 1,3; IC 95%: 1,11-1,52; P < 0,05), sebbene l’effetto si attenuasse nel tempo.
Tra i pazienti che all’inizio erano sottoposti a trattamento giornaliero con almeno 10 mg di OGC, la riduzione a meno di 5 mg/die è risultata simile nei due gruppi, senza differenze significative negli HR.
A 12 mesi, l’incidenza totale e delle riacutizzazioni moderate era inferiore nel gruppo non-IS (IRR: 0,94 e 0,77, rispettivamente; entrambi P < 0,05), mentre le riacutizzazioni lievi erano leggermente più frequenti (IRR 1,03; P < 0,05); le riacutizzazioni gravi non mostravano differenze significative. Tali pattern si sono mantenuti anche a 24 mesi.
Quanto all’utilizzo di risorse sanitarie, questo è risultato in gran parte simile tra i due gruppi: circa un terzo dei pazienti ha avuto bisogno di ricovero ospedaliero (33,7% non-IS vs 31,5% IS) e quasi la metà è andata al pronto soccorso (45,5% vs 44,0%).
Il gruppo non-IS ha mostrato una probabilità leggermente maggiore di accessi al pronto soccorso per qualsiasi causa a 12 mesi (odds ratio: 1,16; IC 95%: 1,02-1,32; P < 0,05), ma non sono emerse differenze significative per le visite legate specificamente al LES.
Limiti e implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso, tra i limiti dello studio, l’assenza di dati clinici su biomarcatori e attività di malattia, l’esistenza di possibili errori di classificazione dovuti a trattamenti non registrati o scarsa aderenza terapeutica, e la presenza di fattori confondenti non misurati.
Ciò detto, nel complesso, “…in linea con le raccomandazioni EULAR 2023 per la gestione del LES, questi dati supportano l’inizio del trattamento con belimumab nei pazienti che non rispondono alla terapia antimalarica e/o con glucocorticoidi, senza la necessità di avviare prima un trattamento immunosoppressivo convenzionale – hanno concluso i ricercatori”.
Bibliografia
Costenbader KH et al. Clinical outcomes of patients with SLE treated with belimumab, without versus with prior immunosuppressant use: a US claims database study. Rheumatol Ther. Published online June 17, 2025. doi:10.1007/s40744-025-00774-6
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