Anemia emolitica autoimmune da anticorpi caldi, rilzabrutinib efficace a lungo termine


Anemia emolitica autoimmune da anticorpi caldi, rilzabrutinib efficace a lungo termine su emoglobina, fatigue e biomarker dell’infiammazione

trials clinici

Nei pazienti con anemia emolitica autoimmune da anticorpi caldi (wAHIA), il trattamento con l’inibitore della tirosin chinasi di Bruton (BTK) rilzabrutinib è efficace, anche nel lungo termine, nel migliorare i valori di emoglobina (Hb), ridurre i biomarcatori di emolisi e migliorare la fatigue, con un buon profilo di sicurezza. Lo dimostrano i risultati di una nuova analisi dello studio di fase 2b LUMINA 2, con un periodo più lungo di osservazione, presentati di recente a Milano, in occasione del congresso annuale della European Hematology Association (EHA).

Al meeting europeo sono stati presentati anche i risultati di un’analisi traslazionale dello studio LUMINA 2, il cui obiettivo era valutare l’impatto di rilzabrutinib sui biomarcatori dell’infiammazione e del complemento. Il lavoro ha evidenziato le potenzialità di immunomodulazione di rilzabrutinib su più fronti, testimoniate non solo dalla riduzione della produzione di auto-anticorpi, ma anche dalla riduzione dell’infiammazione e dell’attivazione del complemento, che sono implicate nell’amplificazione della distruzione dei globuli rossi caratteristica di questa malattia.

L’anemia emolitica autoimmune da anticorpi caldi
L’anemia emolitica autoimmune da anticorpi caldi è una forma rara di anemia su base autoimmune, potenzialmente fatale, caratterizzata dalla produzione di auto-anticorpi che causano una distruzione prematura dei globuli rossi.

«Il sistema immunitario produce anticorpi di classe IgG che si attaccano agli antigeni di superficie dei globuli rossi e ne causano la distruzione a livello splenico, causando un’emolisi extravascolare mediata da IgG», ha spiegato Fattizzo. «In più, in una certa quota di pazienti si ha anche un’attivazione del sistema del complemento e quindi, in parte, un’emolisi complemento-mediata».

A livello clinico, la malattia è associata a un rischio elevato di tromboembolismo, sia venoso sia arterioso, e a sintomi quali palpitazioni, dispnea, vertigini, marcata compromissione della qualità della vita e fatigue.

Importanti bisogni non soddisfatti
Al momento non esistono terapie approvate specifiche per l’anemia emolitica autoimmune da anticorpi caldi e i pazienti vengono gestiti per lo più con corticosteroidi e farmaci immunosoppressori.

«La patologia presenta, quindi, importanti unmet needs, perché queste terapie, come ad esempio il cortisone o gli anticorpi monoclonali anti-CD20, danno un’ottima percentuale di risposta, ma al prezzo di importanti effetti collaterali», ha sottolineato l’autore. Inoltre, «ci sono coloro che non rispondono oppure ricadono dopo le terapie di prima e seconda linea, e rappresentano almeno la metà dei pazienti».

Rilzabrutinib
Rilzabrutinib è un inibitore orale covalente e reversibile, altamente specifico, di BTK, in fase di sviluppo per il trattamento di diverse patologie immuno-mediate.

«Il farmaco agisce attraverso un meccanismo di immunomodulazione multimodale, il che è particolarmente importante per questa patologia, nella quale vi sono molteplici meccanismi patogenetici che contribuiscono alla sua severità», ha spiegato Fattizzo.

«A livello dei linfociti B, rilzabrutinib inibisce la produzione di auto-anticorpi diretti contro gli eritrociti e i loro precursori, gli eritroblasti; in più, ha un effetto anche sui macrofagi, e quindi sulla componente di emolisi extravascolare», ha proseguito il ricercatore.

Inoltre, a livello dei neutrofili l’inibizione della BTK può portare all’inibizione dell’inflammasoma, riducendo così il rischio trombotico, mentre a livello epatico può agire sull’emolisi extravascolare mediata dal complemento, che può verificarsi in un terzo dei pazienti con questa patologia.

Lo studio LUMINA 2
Lo studio LUMINA 2 (NCT05002777) è un trial multicentrico internazionale, a braccio singolo, in aperto, che ha arruolato 22 pazienti di almeno 18 anni con anemia emolitica autoimmune da anticorpi caldi ricaduti o refrattari, o dipendenti dai corticosteroidi o che non riuscivano a mantenere una risposta duratura con i corticosteroidi, con livelli di Hb ≤10 g/dl e con almeno un marker di emolisi positivo.

Nella parte A dello studio, i cui risultati sono stati presentati nel dicembre scorso al congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH), i partecipanti sono stati trattati con rilzabrutinib 400 mg due volte al giorno per 24 settimane.
Dopo questi primi 6 mesi di trattamento, i ricercatori hanno osservato una risposta dell’emoglobina (definita come un aumento dei livelli di Hb ≥2 mg/dl rispetto al basale senza necessità di trasfusioni negli ultimi 7 giorni e senza la necessità di terapie di salvataggio per 4 settimane) robusta e duratura, e l’aumento dei valori di emoglobina si è associato a una riduzione dei marker di emolisi e a un miglioramento della fatigue, con un profilo di sicurezza favorevole.

La parte B dello studio
Ora, al congresso europeo, Fattizzo e gli altri autori hanno presentato i risultati della parte B dello studio, valutati dopo 50 settimane di trattamento. Per entrare nella parte B, i pazienti dovevano aver completato la parte A e aver ottenuto una risposta dell’emoglobina entro la settimana 24. La parte B dello studio è ancora in corso e i pazienti saranno trattati con rilzabrutinib fino a che l’ultimo avrà completato 52 settimane di trattamento.

L’endpoint primario di efficacia della parte B è la risposta emoglobinica duratura, definita come un valore di Hb ≥10 g/dl e un aumento di ≥2 mg/dl rispetto al basale in tre visite consecutive nelle settimane dalla 24 alla 50, senza necessità di trasfusioni entro 7 giorni e di terapie di salvataggio per 4 settimane prima del raggiungimento della risposta emoglobinica e in tre visite consecutive durante mantenimento di tale risposta. La fatigue, che è un endpoint secondario, è stata misurata con la scala FACIT-Fatigue. Altri endpoint secondari sono l’uso di terapie di salvataggio e la sicurezza.

Pazienti ricaduti/refrattari
Al 18 dicembre 2024, 15 dei 22 pazienti (68%) che avevano completato la parte A sono entrati nella parte B e Fattizzo ha riferito che le caratteristiche di questo gruppo erano in linea con quelle dei pazienti della parte A al basale.

L’età mediana era di 68 anni (range: 33-87; 27% ≥75 anni) e il 40% dei partecipanti era di sesso femminile.
Riguardo alle terapie di salvataggio, il 60% era stato trattato in precedenza con almeno tre farmaci. Tutti erano stati trattati con corticosteroidi, il 60% con rituximab e oltre la metà (53%) con immunosoppressori.

II tempo mediano trascorso dalla diagnosi era di 7,1 anni, «a dimostrazione del fatto che si trattava di una popolazione di pazienti realmente ricaduti/refrattari», ha osservato Fattizzo.
Durante lo studio, rilzabrutinib è stato somministrato in monoterapia al 40%dei pazienti e in combinazione con corticosteroidi nel 60%.

Aumento dell’emoglobina mantenuto nel tempo e riduzione dei marker di emolisi
Per quanto riguarda l’effetto del trattamento sull’emoglobina, «il beneficio ottenuto nella parte A è stato mantenuto per tutta la durata dell’osservazione nella parte B», ha riferito Fattizzo.
Una risposta duratura è stata ottenuta nell’80% dei pazienti (12 su 15), con livelli mediani di Hb compresi tra 11,5 e 12,1 g/dl durante la parte B dello studio fino alla settimana 50.
La durata mediana della risposta dell’emoglobina (combinando la parte A e la parte B) è risultata di 274 giorni (range: 37-323) e nei cinque pazienti che hanno ottenuto una risposta completa (Hb ≥11 g/dl per le donne e ≥12 g/dl per gli uomini, nessuna evidenza di emolisi, assenza di trasfusioni negli ultimi 7 giorni e assenza di terapie di salvataggio nelle ultime 4 settimane) la durata mediana della risposta completa è stata di 120 giorni (range: 85-295).

L’aumento dei livelli di emoglobina si è associato a una riduzione dei marcatori di emolisi. Infatti, i livelli mediani di lattato deidrogenasi (LDH) sono diminuiti rispetto al basale rispettivamente del 42% dopo 26 settimane e del 44% dopo 50 settimane, mentre i reticolociti sono diminuiti rispettivamente del 57% e del 62% e i livelli di bilirubina totale rispettivamente del 48% e 66%.
 
Minore fabbisogno di terapie di salvataggio e miglioramento della fatigue
Nel periodo dalla settimana 24 alla settimana 50 tre pazienti (20%) hanno richiesto una terapia di salvataggio e tre (20%) hanno dovuto effettuare trasfusioni di sangue.
Tutti questi benefici si sono tradotti anche in un miglioramento della qualità di vita dei pazienti. «Nella prima parte dello studio rilzabrutinb ha mostrato un effetto davvero impressionante sul miglioramento della qualità della vita e questo effetto si è mantenuto nel tempo anche in questa seconda parte», ha ribadito Fattizzo.

Infatti, il valore mediano del punteggio della scala FACIT-Fatigue al basale era pari a 34 (range: 17-46), simile a quello che si riscontra in condizioni croniche severe come l’artrite reumatoide, l’anemia correlata a neoplasie in stadio avanzato e l’emoglobinuria parossisitica notturna. Tuttavia, nello studio stati osservati aumenti nei punteggi della scala, con variazioni mediane rispetto al basale di 4,3 punti alla settimana 26 e 6,0 punti alla settimana 50, e Fattizzo ha sottolineato come, nei pazienti con anemia emolitica autoimmune da anticorpi caldi, variazioni delle mediane superiori a 3 punti rispetto al basale possano essere clinicamente significative.

Profilo di sicurezza favorevole
Il farmaco è risultato ben tollerato, ha riferito il ricercatore.
Al cut-off dei dati, rilzabrutinib era stato somministrato per una durata mediana di 26 settimane (range: 18-27) nella parte B dello studio.
Nove pazienti (il 60%) hanno manifestato eventi avversi di qualsiasi tipo e quattro di essi (27%) eventi avversi correlati al trattamento.
Gli eventi avversi più comuni sono stati mal di schiena, cellulite e infezione delle vie respiratorie superiori, verificatisi ciascuno in due pazienti (13%); tutti gli altri eventi avversi si sono verificati ciascuno in un solo paziente.

Un paziente ha manifestato un evento avverso severo di riduzione dell’emoglobina non correlato al trattamento, ma non sono stati registrati eventi avversi severi correlati al trattamento, né eventi avversi che abbiano richiesto l’interruzione del trattamento, né eventi avversi di particolare interesse, né decessi.

Riduzione dei marker dell’infiammazione e del complemento
Al convegno, infine, sono stati presentati i risultati di un’interessante analisi post-hoc dello studio LUMINA 2 nella quale sono stati valutati al basale e poi alle settimane 4, 12 e 24 i livelli di 19 biomarcatori dell’infiammazione, della funzione dei neutrofili e dell’attivazione del complemento.

Innanzitutto, gli autori hanno osservato un’espressione significativamente superiore della maggior parte di questi marcatori nei pazienti rispetto ai volontari sani.

Inoltre, si è osservata una riduzione significativa rispetto al basale alla settimana 4 (P < 0,05) dei livelli di elastasi neutrofila (ELANE) e di mieloperossidasi (MPO), indici di una diminuzione dell’attivazione dei neutrofili, e una riduzione significativa dei livelli di ICAM1 circolante (P < 0,05), suggestiva di una riduzione dell’adesione e dell’infiammazione.

Dalla settimana 12 si è osservata una tendenza alla riduzione dei biomarcatori dell’infiammazione e alla settimana 24 si è osservata diminuzione significativa della citochina IL-18 (P < 0,05), indice di una ridotta attività dell’inflammasoma.

Campioni accoppiati per l’analisi del complemento erano disponibili in 11 pazienti e hanno rivelato una diminuzione dei livelli di anafilotossina (C3a, C4a, C5a) dopo il trattamento con rilzabrutinib, a suggerire una diminuzione dell’attivazione del complemento durante il trattamento col farmaco.

«Questa analisi sugli aspetti più infiammatori della patologia è fondamentale, perché, oltre all’emolisi, nella malattia si hanno anche autoimmunità e infiammazione», ha osservato Fattizzo.
«Trattando i pazienti con rilzabrutinib si è visto che sia ha una modulazione dei livelli di numerose citochine proinfiammatorie e questo dato avvalora l’effetto benefico del farmaco anche sulla componente infiammatoria della patologia, che potrebbe tradursi anch’esso in un miglioramento anche della qualità della vita dei nostri pazienti», ha concluso l’autore.

Bibliografia
Bruno Fattizzo, et al. Long-term efficacy and safety study of rilzabrutinib, oral Bruton tyrosine kinase inhibitor, in patients with warm autoimmune hemolytic anemia (wAIHA): LUMINA phase 2b part b. EHA 2025; abstract S298. leggi

N. Cooper, et al. Impact of rilzabrutinib on biomarkers of inflammation and complement factors in warm Autoimmune Hemolytic Anemia (wAIHA): results from the phase 2 study. EHA 2025; abstract 2197. leggi