Nei pazienti con diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato e ipercortisolismo, mifepristone ha ridotto i livelli di emoglobina glicata
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Nei pazienti con diabete di tipo 2 non adeguatamente controllato e ipercortisolismo, mifepristone ha ridotto i livelli di emoglobina glicata, come dimostrato dai risultati della seconda parte dello di fase IV CATALYST presentati al congresso 2025 dell’American Diabetes Association (ADA) e pubblicato sulla rivista Diabetes Care.
Anche se la rimozione chirurgica della fonte dell’eccesso di cortisolo è ancora l’opzione terapeutica di prima linea per l’ipercortisolismo, questo è il primo studio randomizzato a dimostrare che il diabete non adeguatamente controllato con ipercortisolismo non neoplastico risponde al trattamento mirato al cortisolo.
Mifepristone, un antagonista del recettore dei glucocorticoidi, è attualmente l’unico trattamento farmacologico indicato specificamente per l’iperglicemia secondaria a ipercortisolismo endogeno negli adulti con diabete di tipo 2 o intolleranza al glucosio che non hanno potuto essere sottoposti a intervento chirurgico o per i quali l’intervento non ha avuto successo.
Prima parte dello studio senza trattamento
I dati riportati al congresso derivano dalla seconda parte dello studio di fase IV CATALYST, la fase di trattamento. La prima parte, presentata al congresso ADA dello scorso anno, ha mostrato una prevalenza di ipercortisolismo sorprendentemente elevata, pari al 24%, tra le persone con diabete non controllato, ancora più elevata (35,4%) nei pazienti che assumevano tre o più antipertensivi.
«Si tratta di dati potenzialmente rivoluzionari» aveva in precedenza dichiarato il relatore e coautore dello studio John Buse, della Facoltà di Medicina dell’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, affermando di non immaginare che la prevalenza di ipercortisolismo fosse così elevata. Aveva osservato che, in caso di successo nel migliorare il controllo glicemico nella seconda parte dello studio, sarebbe stato stabilito un nuovo paradigma secondo il quale le persone con diabete scarsamente controllato sarebbero state sottoposte a screening di routine per l’ipercortisolismo e poi trattate, se indicato.
Ora che sono state completate entrambe le parti dello studio, secondo Buse ci sono evidenze sufficienti per suggerire modifiche alle linee guida dell’ADA e di altre organizzazioni sanitarie internazionali.
Seconda parte dello studio: trattamento con mifepristone
I 136 partecipanti (età media di 63,2 anni, 61% uomini, 81% di razza bianca) sono stati arruolati presso cliniche di medicina generale ed endocrinologia e seguiti presso uno dei 36 centri statunitensi che hanno preso parte allo studio. Tutti dovevano presentare ipercortisolismo in base a un test di soppressione notturna con desametasone (DST) 1 mg eseguito durante la precedente fase dello studio, con un livello di cortisolo post-DST diagnosticato superiore a 1,8 µg/dl e livelli di desametasone di almeno 140 ng/dl.
Il livello basale di emoglobina glicata (HbA1c) era dell’8,55%, il livello di cortisolo post-DST era di 3,6 µg/dl e il livello di desametasone post-DST era di 422,3 ng/dl. Il 27,9% dei pazienti presentava scintigrafie surrenaliche anomale.
Tutti presentavano diabete di tipo 2 difficile da controllare, definito da un valore basale di HbA1c compreso tra il 7,5% e l’11,5% e uno dei seguenti criteri:
- Assunzione di tre o più farmaci ipoglicemizzanti
- Assunzione di insulina e di altri farmaci ipoglicemizzanti
- Assunzione di due o più farmaci ipoglicemizzanti e presenza di almeno una complicanza microvascolare o macrovascolare
- Assunzione di due o più farmaci ipoglicemizzanti e due o più farmaci ipoglicemizzanti
I partecipanti sono stati randomizzati in rapporto 2:1 a ricevere mifepristone o placebo e sono stati stratificati in base alla presenza o assenza di un’anomalia surrenalica alla TAC. La dose iniziale era di 300 mg una volta al giorno, aumentata a 600 mg una volta al giorno dopo 4 settimane in base alla tollerabilità. Una dose da 900 mg era consentita alla settimana 8 o 12.
Con mifepristone miglioramento significativo dei livelli di emoglobina glicata
A 24 settimane la variazione media dei minimi quadrati della HbA1c è stata del -1,47% con mifepristone rispetto al -0,15% con il placebo (P<0,001). I livelli di HbA1c sono scesi dall’8,62% al 7,12% con mifepristone rispetto all’8,41% all’8,36% con il placebo. «Le riduzioni si sono verificate già a 12 settimane e la HbA1c ha continuato a migliorare a 24 settimane» hanno scritto gli autori.
Alla settimana 24, le riduzioni dell’HbA1c sono state rispettivamente dell’1,41% e dell’1,29% nei partecipanti con e senza anomalie surrenaliche. I soggetti trattati con mifepristone hanno anche riscontrato riduzioni di 5,12 kg del peso corporeo e di 5,1 cm del giro vita.
Un numero maggiore di soggetti trattati con mifepristone è stato inoltre in grado di ridurre o interrompere il trattamento con insulina ad azione rapida (30% vs 11% con placebo), insulina ad azione prolungata (49% vs 13%) e sulfoniluree (22% vs 11%).
Si è verificato un aumento di 8 mmHg della pressione arteriosa sistolica con mifepristone durante lo studio e diminuzioni numeriche del colesterolo totale, lipoproteine ad alta densità (HDL), lipoproteine a bassa densità (LDL) e lipoproteine a bassissima densità (VLDL).
La maggior parte degli eventi avversi è stata da lieve a moderata e non sono emersi nuovi segnali di sicurezza. Gli effetti collaterali gravi emersi durante il trattamento con mifepristone includevano ipopotassiemia (5%) e chetoacidosi euglicemica (3%). Tutti e tre i partecipanti con chetoacidosi euglicemica assumevano un SGLT2 inibitore prima dell’evento avverso.
Quasi la metà dei partecipanti trattati con mifepristone non ha completato lo studio, principalmente a causa di ipopotassiemia, edema periferico, nausea e vertigini.
Un farmaco da gestire con attenzione
«Nella pratica clinica, le interruzioni e gli eventi avversi potrebbero essere ridotti attraverso la riduzione proattiva delle dosi di insulina e sulfonilurea, l’inizio proattivo di farmaci risparmiatori di potassio e un attento monitoraggio e supporto dei sintomi di astinenza da cortisolo» hanno scritto gli autori.
«Il mifepristone è un farmaco difficile da usare, con diverse interazioni farmacologiche» ha fatto presente Buse. «È importante stabilire aspettative appropriate con i pazienti riguardo ai sintomi di astinenza da steroidi e a come gestirli e, in sostanza, superarli. Consigliamo di trattare l’ipokaliemia in modo proattivo, prescrivendo preventivamente antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi».
Referenze
DeFronzo RA et al. Inadequately Controlled Type 2 Diabetes and Hypercortisolism: Improved Glycemia With Mifepristone Treatment. Diabetes Care. 2025 Jun 23:dc251055.