Eczema cronico delle mani e dermatite atopica, novità su delgocitinib e tralokinumab


Le malattie cutanee croniche, come l’eczema cronico delle mani e la dermatite atopica, non colpiscono solo la pelle: le novità terapeutiche

eczema cronico

Il coinvolgimento di aree esposte come testa, collo e mani rende le malattie cutanee croniche particolarmente invalidanti. Esperti internazionali hanno discusso le novità terapeutiche durante il XIV ICD (International Congress of Dermatology) con focus su delgocitinib e tralokinumab.

Volto, collo e mani: non tutte le aree cutanee sono uguali per impatto sulla qualità della vita 
Le malattie cutanee croniche, come l’eczema cronico delle mani e la dermatite atopica, non colpiscono solo la pelle: quando le sedi interessate sono il volto, il collo o le mani, il carico psicologico e funzionale può diventare importante.
L’attenzione si concentra spesso sulla severità clinica o sulla diagnosi differenziale ma, durante un simposio nella terza giornata dell’ICD 2025, moderato dalla professoressa Ketty Peris dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, il professor Simone Ribero (Dermatologia, Università di Torino), il professor Raj Chovatiya (Università di Chicago) e il professor Alexander Zink (Clinica dermatologica, Università tecnica di Monaco), hanno evidenziato con forza un messaggio: la localizzazione delle lesioni ha un impatto significativo sulla vita dei pazienti, spesso più della gravità clinica in sé.

“Lo diciamo poco, ma è fondamentale: la pelle non è tutta uguale,” ha sottolineato Ribero. “La struttura cutanea varia notevolmente in base alla sede: lo spessore, la quantità di follicoli piliferi, l’idratazione, la funzione di barriera. Quando la dermatite colpisce mani, testa o collo, aree esposte, visibili, funzionali, l’impatto è significativo, anche in forme non clinicamente gravi.”

Eczema cronico delle mani: delgocitinib cambia la prospettiva terapeutica
Un focus importante è stato dedicato all’eczema cronico delle mani (CHE, Chronic Hand Eczema), una patologia spesso non completamente conosciuta, ma con forte impatto socio-lavorativo.
Il professor Zink ha spiegato perché questo può essere particolarmente pesante per i pazienti. “Parliamo di eczema cronico delle mani quando la patologia dura da almeno tre mesi,” ha detto. “Immaginate non poter usare le mani normalmente per più di tre mesi all’anno.” Le cause sono multifattoriali, con almeno otto sottotipi diversi, e molti pazienti presentano forme miste. Ha sottolineato l’importanza di distinguere tra eczema cronico delle mani e dermatite atopica che coinvolge anche le mani, due condizioni differenti.

Zink ha aggiunto che il 5% della popolazione sana ha eczema delle mani: “Se siamo in una sala con 400 persone, almeno 20 hanno questa condizione.” Ha ricordato che tre pazienti su quattro riferiscono difficoltà nel toccare gli altri, nel maneggiare oggetti, e un forte impatto sulla vita lavorativa. “Un dermatologo che non può usare le mani è come un musicista senza strumento.”
In uno studio tedesco (registro Carpe), è emerso che un terzo dei pazienti con eczema cronico delle mani ha preso congedi per malattia, uno su quattro è attualmente inabile al lavoro, e il 5% ha cambiato lavoro a causa della malattia.

Alla domanda sulle preoccupazioni dei pazienti nella pratica clinica, Zink ha raccontato il caso di una influencer di Monaco, molto conosciuta sui social: “Nei suoi video non mostra più le mani. I social non sono solo un gioco, sono una professione, e la malattia ha impattato su tutta la sua vita.”
“Molti pazienti arrivano alla diagnosi dopo oltre nove anni e dopo numerosi trattamenti inefficaci” ha aggiunto Ribero. La maggior parte segue terapie cicliche con corticosteroidi topici, inibitori della calcineurina, o steroidi sistemici, che però non sono adatti per uso a lungo termine. Ha ricordato che ci sono otto sottotipi di eczema cronico delle mani, e la terapia deve essere efficace su tutti, evitando l’uso prolungato di corticosteroidi.

Attualmente, i due farmaci disponibili per l’eczema cronico sono delgocitinib e, per le forme severe, alitretinoina, quest’ultima con alcune limitazioni d’uso, soprattutto nelle donne. “Abbiamo bisogno di terapie efficaci e sostenibili nel lungo termine,” ha detto, “e la crema delgocitinib, indicata per adulti con malattia moderata-severa, potrebbe dare una risposta importante a questo bisogno terapeutico.”

Delgocitinib è un inibitore topico delle proteine JAK approvato di recente in Europa per il trattamento del CHE moderato-severo nei pazienti adulti e rappresenta un’importante opzione terapeutica.
Zink ha dunque presentato i risultati degli studi DELTA 1 e 2 e dello studio di estensione Delta 3 a 52 settimane, spiegando: “Dopo 16 settimane, si è visto un miglioramento significativo nel punteggio HECSI e nella valutazione globale dell’eczema delle mani.” Ha sottolineato anche il rapido miglioramento di prurito e dolore: “Il prurito si riduce dopo un solo giorno, il dolore dopo tre.”
Un dato significativo del DELTA 1 è che il 53% dei pazienti ha ottenuto un miglioramento rilevante (PGA clear/almost clear) dopo 16 settimane, con riduzione marcata del dolore e del prurito già entro le prime 72 ore.

In merito alla sicurezza, Zink ha confermato: “È un farmaco con un buon profilo di sicurezza, , senza segnali specifici di eventi avversi emergenti nei tre grandi studi clinici.”
Il professor Chovatiya ha aggiunto: “Con i trattamenti topici tradizionali spesso si temporeggia, aspettando altri esami. Ma un trattamento mirato come il delgocitinib permetterebbe di agire subito, senza attendere o dover passare direttamente a terapie sistemiche.”
I trial clinici DELTA 1 e DELTA 2 dimostrano che la crema a base di delgocitinib, applicata due volte al giorno, è in grado di ridurre significativamente prurito, dolore e infiammazione già nei primi giorni di trattamento.

Il volto come specchio dell’identità: focus sulla dermatite atopica nel distretto testa-collo
Il professor Raj Chovatiya ha invece posto l’accento su un altro distretto anatomico particolarmente problematico: il volto, e in particolare la zona testa-collo. “La pelle del viso è unica per fisiologia e impatto psicologico,” ha spiegato. “Quando la dermatite colpisce qui, i pazienti spesso sviluppano ansia, depressione e ritiro sociale. È una localizzazione che modifica le relazioni, l’autostima e la capacità di esporsi in pubblico.”
Il coinvolgimento di testa e collo è comune e problematico: “Più del 70% dei pazienti con dermatite atopica attiva presenta coinvolgimento del distretto testa-collo” ha spiegato Chovatiya evidenziando che questa regione è continuamente esposta a prodotti cosmetici, allergeni aerei, inquinanti, raggi UV e alimenti: “La faccia è sempre esposta, è un punto di contatto continuo con l’ambiente.”

Inoltre, ha precisato che fattori intrinseci come la composizione delle ghiandole, le proteine epidermiche come la filaggrina, la sudorazione e il microbiota giocano un ruolo nel rendere il distretto testa-collo più difficile da trattare.
Chovatiya ha raccontato che, nella sua esperienza, i giovani pazienti sono particolarmente colpiti per le implicazioni sociali a scuola, mentre negli adulti il problema impatta anche il lavoro e la vita privata. “Il prurito, il dolore, l’irritazione, questi sintomi sono tra i più lamentati e contribuiscono alla sofferenza percepita.”

Anche dal punto di vista clinico, il volto e il collo pongono sfide terapeutiche. L’uso prolungato di corticosteroidi topici è problematico per il rischio di atrofia e iperpigmentazione. Inoltre, alcune terapie sistemiche si sono rivelate meno efficaci proprio su questa zona.
In questo contesto, Chovatiya ha illustrato i risultati ottenuti con tralokinumab, un anticorpo monoclonale anti-IL-13, approvato per la dermatite atopica moderata-grave. “Il blocco selettivo dell’IL-13 consente un’azione precisa sull’infiammazione senza compromettere le difese immunitarie generali,” ha spiegato. “E soprattutto, nei nostri studi, tralokinumab ha mostrato un’efficacia molto buona proprio nelle regioni testa-collo.”

Il Professor Chovatiya ha sottolineato come la futura gestione della dermatite atopica possa basarsi sull’uso combinato di biomarcatori clinici e presentazioni fenotipiche per guidare la scelta terapeutica. A suo avviso, il caso di tralokinumab rappresenta un esempio emblematico di questo orientamento, utile in un panorama terapeutico sempre più complesso, in cui persino tra specialisti emergono domande su quale farmaco utilizzare, in quale momento e per quale tipo di paziente.

Ha quindi presentato un’analisi dei dati raccolti negli studi clinici ECZTRA 1 e 2 (in doppio cieco, controllati con placebo, con tralokinumab in monoterapia), che hanno avuto come endpoint primario la valutazione alla settimana 16 della percentuale di pazienti con pelle “guarita”” o “quasi guarita” e il raggiungimento di EASI-75. L’analisi ha poi incluso il prolungamento a lungo termine ECZTEND, che ha seguito i pazienti per ulteriori anni. L’obiettivo era comprendere, attraverso una valutazione post hoc del sottopunteggio EASI per la regione testa-collo, in che modo i pazienti rispondessero in termini di efficacia, miglioramento della qualità di vita e profilo di sicurezza nel tempo.

Nel periodo di osservazione fino a 4 anni (inclusi ECZTRA 1, 2 e ECZTEND), tralokinumab ha mostrato un miglioramento significativo nella dermatite atopica localizzata a testa e collo. In particolare, quasi il 90% dei pazienti ha raggiunto un punteggio EASI per testa-collo pari o inferiore a 1, un valore che indica un coinvolgimento minimo. Chovatiya ha specificato che il sottopunteggio EASI testa-collo ha un massimo di 7 punti; quindi, ottenere 1 o meno suggerisce una quasi completa risoluzione delle lesioni in quell’area.
Ha aggiunto che risultati simili sono stati osservati anche nelle altre regioni del corpo, inclusi arti e tronco, suggerendo un’efficacia generalizzata e non limitata alla sola area testa-collo.

Miglioramento clinico in testa-collo e qualità della vita percepita dal paziente
Il miglioramento nella qualità di vita è risultato ben correlato con il miglioramento delle lesioni in quella regione. In particolare, due item del questionario DLQI (Dermatology Life Quality Index) si sono rivelati particolarmente sensibili: il primo riguarda la percezione di prurito, dolore o bruciore della pelle nella settimana precedente, il secondo riguarda l’imbarazzo o la vergogna. Non sorprende che il coinvolgimento di testa e collo abbia un impatto importante sia a livello sintomatico che psicologico. Il numero di pazienti che riportavano “poco o nessun impatto” è aumentato in modo costante dal basale, alla settimana 16, fino ai 4 anni.

Per quanto riguarda la sicurezza, i dati mostrano che tralokinumab è stato ben tollerato fino a 6 anni di trattamento. Chovatiya ha aggiunto che tralokinumab rappresenta, al momento, il biologico con i dati di sicurezza a lungo termine più estesi per la dermatite atopica. I dati provenienti sia dalla fase controllata con placebo (16 settimane) sia dalla fase estesa ECZTEND (fino alla settimana 268) mostrano un basso tasso di eventi avversi emergenti dal trattamento. Inoltre, non si sono osservati segnali di sicurezza nuovi. I principali eventi avversi registrati (dermatite, nasofaringite, infezioni da coronavirus e rari casi di congiuntivite) sono rimasti coerenti lungo tutta la durata dello studio.
Tralokinumab ha dunque dimostrato non solo un miglioramento significativo delle lesioni testa-collo, ma anche una forte correlazione con la qualità della vita e un profilo di sicurezza costante nel tempo.

Esperienze cliniche e impatto reale: i volti dietro i numeri
Ribero ha illustrato uno studio multicentrico condotto in Italia in 5 centri, volto a valutare se i dati clinici osservati negli studi fossero replicabili nella pratica clinica. In una coorte di oltre 200 pazienti, di cui il 70% con coinvolgimento di testa e collo, si è osservata una riduzione significativa del punteggio EASI nella regione facciale, mantenuta fino a 24 mesi. Questo miglioramento clinico è stato associato anche a un miglioramento di altri PROs (Patient Reported Outcomes), come prurito e disturbi del sonno. Inoltre, ha osservato che tralokinumab si è dimostrato efficace sia nei pazienti naïve ai biologici, sia in quelli con esperienza pregressa, e che i pazienti con coinvolgimento testa-collo mostravano una maggiore aderenza al trattamento rispetto a quelli senza coinvolgimento di questa regione. Gli eventi avversi erano rari e in linea con quelli osservati negli studi clinici.

Chovatiya ha poi condiviso un caso clinico significativo: un adolescente, seguito in ambulatorio, affetto da dermatite atopica severa con marcato coinvolgimento del volto e del collo, ipopigmentazione, prurito intenso e impatto importante sulla vita scolastica e sociale. Dopo un passato trattamento con terapie topiche, si è deciso, in accordo con la famiglia, di iniziare tralokinumab. Alla settimana 16, il miglioramento è stato evidente: il volto era clinicamente chiaro, il prurito non rappresentava più un problema rilevante, e il tono della pelle si era avvicinato a quello basale. Il professore ha notato, con un sorriso, che il ragazzo sembrava anche “leggermente più felice” nella foto del follow-up, e ha sottolineato che il paziente non ha più avuto necessità di frequenti controlli, poiché la malattia era ben controllata con il farmaco.

Al di là dei dati, i tre esperti hanno condiviso esperienze cliniche che raccontano la trasformazione indotta dalle nuove terapie. Zink ha parlato di un giovane ingegnere che, dopo anni di eczema cronico delle mani, ha potuto tornare a lavorare grazie a delgocitinib. “Aveva provato di tutto, dai corticosteroidi ai farmaci sistemici. Era a rischio di perdere il posto di lavoro. Dopo tre giorni di trattamento, il dolore è scomparso. In due settimane, le mani erano funzionali. È tornato a vivere la sua vita.”

Chovatiya ha raccontato la storia di una ragazza di 16 anni con dermatite atopica refrattaria a dupilumab, con coinvolgimento esteso del volto. “Era in isolamento sociale, evitava la scuola, non si faceva fotografare. Dopo tre mesi di tralokinumab, ha ottenuto un volto clinicamente quasi chiaro. Ha ricominciato a uscire, ha cambiato atteggiamento. Per lei la pelle era la chiave dell’identità.”
Anche Ribero ha sottolineato come le terapie sistemiche debbano oggi essere scelte in base alla sede e non solo alla gravità clinica generale. “Abbiamo pazienti con dermatite atopica moderata, ma localizzata al volto: lì la moderazione diventa severità, per l’impatto che ha. Se una terapia funziona sul corpo ma non sul viso, non è sufficiente.”
Nuovi paradigmi: terapia personalizzata e “anatomia funzionale”

Il simposio si è concluso con una riflessione condivisa: la necessità di superare l’approccio tradizionale alla classificazione della dermatite atopica e dell’eczema basato su criteri globali, introducendo invece il concetto di “anatomia funzionale”. Ribero ha proposto un modello di classificazione che tenga conto non solo dell’estensione e della gravità, ma anche della sede coinvolta e della percezione del paziente.
“Un eczema al dorso può essere gestibile. Ma lo stesso eczema, se colpisce il volto, cambia tutto: cambia la vita,” ha detto. “È tempo di personalizzare davvero la terapia, di ascoltare il paziente e di riconoscere che ogni centimetro di pelle ha un peso diverso.”

In conclusione, come è emerso dal simposio, le malattie cutanee croniche non sono solo un problema estetico o infiammatorio. La sede delle lesioni è spesso il fattore che più incide su ansia, relazioni, lavoro e benessere complessivo. In questo scenario, delgocitinib e tralokinumab rappresentano due strumenti terapeutici diversi ma complementari, capaci di affrontare in modo mirato i distretti più delicati: le mani e il volto.

La sfida dei prossimi anni sarà integrare queste opzioni in percorsi terapeutici realmente centrati sul paziente, tenendo conto non solo della pelle, ma della persona che c’è dietro.

Delta frontiers: from unmet needs to new perspectives in high burden areas. ICD 2025 | Rome, Italy | 18–21 June 2025.