Astrazeneca in trattative avanzate per l’acquisizione di ivonescimab da Summit Therapeutics


Astrazeneca in trattative avanzate con Summit Therapeutics per acquisire i diritti su ivonescimab , un anticorpo bispecifico che agisce contemporaneamente su PD-1 e VEGF

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AstraZeneca potrebbe essere vicina a una delle sue mosse più significative degli ultimi anni nell’ambito dell’immuno-oncologia. La multinazionale britannica sarebbe infatti in trattative avanzate con Summit Therapeutics per acquisire i diritti su ivonescimab , un anticorpo bispecifico che agisce contemporaneamente su PD-1 e VEGF, due target fondamentali nel microambiente tumorale. Il valore stimato dell’operazione si aggiungerebbe intorno ai 15 miliardi di dollari, includendo un cospicuo pagamento anticipato e ulteriori traguardi legati allo sviluppo e alle vendite future.

Le fonti, rimaste anonime, hanno riferito che Summit avrebbe avviato colloqui anche con altre importanti aziende farmaceutiche, lasciando aperta la possibilità di optare per collaborazioni alternative. Tuttavia, il crescente interesse di AstraZeneca segnala la volontà della compagnia di rafforzare il proprio portafoglio oncologico con farmaci innovativi capaci di intercettare nuovi meccanismi d’azione.

Il meccanismo d’azione ei dati clinici di ivonescimab
Sviluppato originariamente da Akeso in Cina e successivamente licenziato da Summit Therapeutics per il mercato globale, ivonescimab (AK112), è un anticorpo bispecifico che unisce l’inibizione del checkpoint immunitario PD-1 (programmed cell death protein 1) con il blocco del fattore di crescita vascolare endoteliale VEGF. Il razionale alla base di questa doppia inibizione è quello di rafforzare la risposta immunitaria antitumorale e contemporaneamente ostacolare la neoangiogenesi, un processo cruciale per la crescita e la diffusione delle masse neoplastiche.

I risultati più rilevanti sono arrivati ​​dal trial di fase III HARMONi-2, condotto in Cina su pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) avanzato PD-L1 positivo. In questo studio, ivonescimab ha ridotto di quasi il 50% il rischio di progressione della malattia o di morte rispetto a pembrolizumab, oggi il principale standard terapeutico in questo contesto. Un dato che ha alimentato grande entusiasmo nel panorama oncologico e che ha portato a un’estensione dell’indicazione del farmaco in Cina anche per il trattamento di prima linea di pazienti con NSCLC PD-L1 positivo.

Luci e ombre dagli studi internazionali
Al di fuori della Cina, ivonescimab ha continuato ad essere oggetto di valutazioni cliniche con risultati misti. In uno studio di fase III su pazienti con NSCLC EGFR-mutato, il farmaco ha dimostrato di rallentare in modo significativo la progressione tumorale rispetto alla chemioterapia, senza però raggiungere la significatività statistica in termini di sopravvivenza globale. Questo ha sollevato dubbi tra gli investitori, soprattutto in vista di una futura approvazione negli Stati Uniti, considerata fondamentale per il successo commerciale a livello globale.

Nonostante ciò, ivonescimab ha registrato un’ulteriore affermazione nel trial di fase III HARMONi-6, dove ha superato tislelizumab, un anticorpo anti-PD-1 già approvato in diversi Paesi asiatici, in pazienti affetti da carcinoma polmonare squamoso. Questi risultati rafforzano l’interesse verso le combinazioni PD-1/VEGF, considerate una delle strategie più promettenti per superare i limiti delle monoterapie immuno-oncologiche.

La corsa delle big pharma sui bispecifici PD-1/VEGF
Il potenziale degli anticorpi bispecifici PD-(L)1/VEGF ha attirato ormai l’attenzione di numerosi player globali. AstraZeneca sarebbe la prima tra le big pharma europee ad entrare in questo settore, ma altre multinazionali hanno già investito in modo deciso. MSD ha siglato lo scorso novembre un accordo di licenza con LaNova Medicines per LM-299, con un pagamento iniziale di 588 milioni di dollari e pietra miliare futura fino a 2,7 miliardi.

A seguire, Bristol Myers Squibb ha stretto un’intesa da oltre 11 miliardi di dollari con BioNTech per co-sviluppare BNT327, mentre Pfizer ha acquisito per 1,25 miliardi i diritti ex Cina di SSGJ-707, sviluppato dalla cinese 3SBio. Queste operazioni dimostrano come il settore dei bispecifici PD-(L)1/VEGF sia considerata una delle prossime aree strategiche nell’oncologia immunoterapica.

Secondo un approfondimento pubblicato da Evaluate Vantage, il vero nodo dimostrerà un vantaggio clinico significativo e costante in termini di sopravvivenza globale, aspetto che finora è emerso in modo discontinuo negli studi internazionali. Tuttavia, il potenziale di questi farmaci nell’ottimizzare la risposta immunitaria e nel rimodellare il microambiente tumorale resta un obiettivo troppo ambizioso per essere trascurato.

Prospettive e prossimi sviluppi
qualora l’accordo tra AstraZeneca e Summit andasse a buon fine, rappresenterebbe una svolta per entrambe le aziende: per la prima, l’opportunità di colmare un segmento oncologico in cui finora è rimasta ai margini; per la seconda, un sostegno finanziario e strategico determinante per proseguire le sperimentazioni globali.

Secondo Jefferies e Leerink Partners, analisti di settore intervistati da Fierce Pharma, un eventuale via libera della Fda negli Stati Uniti dipenderà soprattutto dai dati aggiornati sulla sopravvivenza globale che verranno presentati nei prossimi mesi. La competizione con Keytruda e gli altri checkpoint inibitori resta serrata, ma ivonescimab potrebbe inaugurare una nuova generazione di immunoterapie bispecifiche, capaci di migliorare le performance cliniche nei tumori solidi avanzati.