La dieta di esclusione non è utile per tutti i pazienti con dermatite atopica


Dermatite atopica e allergie alimentari documentate: può essere utile eliminare dalla dieta alcuni alimenti o ingredienti, ma non è una misura sensata da applicare a tutti i pazienti

Negli adulti affetti da dermatite atopica da moderata a grave l'anticorpo monoclonale sperimentale amlitelimab ha migliorato significativamente i segni e i sintomi della malattia

Per un sottogruppo di pazienti con dermatite atopica da moderata a grave che presentano anche allergie alimentari documentate può essere utile eliminare dalla dieta alcuni alimenti o ingredienti, ma non è una misura sensata da applicare a tutti i pazienti, come evidenziato nel corso del World Congress of Pediatric Dermatology (WCPD) 2025.

Come ha osservato Sandipan Dhar, professore e responsabile del Dipartimento di Dermatologia Pediatrica presso l’Institute of Child Health di Calcutta in India e attuale vicepresidente dell’International Society of Pediatric Dermatology, al momento le diete di eliminazione di routine non hanno valenza nella totalità dei pazienti con dermatite atopica.

Anche se digitando i termini “dieta” ed “eczema” tra i primi 10 risultati dei motori di ricerca l’80% raccomanda di evitare latte o latticini e il 50% suggerisce di evitare soia, grano e glutine, solo il 3-10% dei pazienti con dermatite atopica presenta anche allergie alimentari, una percentuale che può salire a un terzo tra i soggetti con malattia da moderata a grave. In ogni caso, ha affermato, la restrizione dietetica non ha senso nei pazienti pediatrici o adulti con malattia lieve.

Pur non esistendo criteri diagnostici chiari, i bambini piccoli con dermatite atopica grave hanno maggiori probabilità di avere allergie alimentari, con un rischio fino a 6 volte maggiore di allergia alimentare a latte vaccino, uova o arachidi, come rilevato da uno studio di coorte basato sulla popolazione del 2015 condotto su oltre 4.000 neonati.

Le diete di eliminazione non sembrano efficaci
Una revisione della letteratura ha mostrato risultati contrastanti riguardo all’utilità delle diete di eliminazione nella dermatite atopica, frutto di pochi studi randomizzati in doppio cieco pubblicati negli ultimi 20 anni a supporto del ruolo dell’allergia alimentare nelle manifestazioni cliniche della malattia. Una revisione Cochrane del 2008 ha concluso che ci sono scarse evidenze a supporto dell’uso delle diete di esclusione in individui non selezionati con dermatite atopica.

Nel 2009 Dhar ha condotto uno studio pilota in aperto e non controllato su un gruppo selezionato di 100 neonati e bambini con malattia grave, ai quali è stato chiesto di evitare rigorosamente latte e latticini, tutti i tipi di frutta secca, uova, pesce di mare, gamberetti, melanzane e soia per 3 settimane. I risultati hanno evidenziato una riduzione statisticamente significativa nei punteggi di gravità della malattia.

Tuttavia negli anni il concetto di divieto alimentare rigorose si è evoluto, e nell’ultimo decennio numerosi studi hanno dimostrato che ritardare l’introduzione di alimenti come latte, uova, grano e arachidi durante l’infanzia aumenta in realtà il rischio di sviluppare allergie a tali alimenti. Nello studio LEAP del 2015 condotto nel Regno Unito, l’introduzione precoce delle arachidi a partire dai 4 mesi di età nei neonati di età compresa tra 4 e 11 mesi con dermatite atopica grave e allergia alle uova ha ridotto significativamente il rischio di allergia alle arachidi rispetto a quanti hanno evitato le arachidi fino all’età di 5 anni.

Cresce l’interesse sul ruolo del microbioma intestinale
María Fernanda Greco, responsabile del reparto di Dermatologia Pediatrica e Adolescenziale presso il British Hospital di Buenos Aires, in Argentina, ha concordato sul fatto che non esiste un approccio dietetico unico e adatto a tutti i pazienti con dermatite atopica.

«Tuttavia c’è un crescente interesse per il ruolo del microbioma intestinale nella salute della pelle» ha dichiarato, suggerendo che il miglioramento della barriera intestinale attraverso diete che promuovono la salute intestinale, così come l’integrazione di probiotici (come Lactobacillus e Bifidobacterium presenti nello yogurt e negli alimenti fermentati) o prebiotici (presenti in aglio, cipolle e banane), può contribuire a migliorare la barriera cutanea e ridurre la gravità della malattia a breve termine.

A supporto di questa supplementazione, uno studio polacco randomizzato del 2021 ha rilevato che una preparazione probiotica contenente tre ceppi batterici (Lactobacillus rhamnosus ŁOCK 0900, L rhamnosus ŁOCK 0908 e L casei ŁOCK 0918) ha aumentato la probabilità di miglioramento di sei volte in 3 mesi nei bambini di età inferiore a 2 anni con dermatite atopica e allergia alle proteine ​​del latte vaccino. I benefici, tuttavia, non persistevano dopo 9 mesi.

«Anche l’integrazione con acidi grassi polinsaturi omega-3 può contribuire a modulare le risposte infiammatorie e migliorare i sintomi» ha aggiunto Greco. «È difficile prendere una posizione definitiva sul ruolo della dieta nella dermatite atopica, ma credo che per ogni paziente sia necessario valutare se possa trarre beneficio dall’integrazione, dall’eliminazione di determinati alimenti o dai test allergologici».

Fino a quando la ricerca non chiarirà la relazione tra allergie alimentari, dermatite atopica e vie immunitarie che regolano la tolleranza e l’ipersensibilità immediata, le decisioni cliniche sulle diete di eliminazione dovrebbero basarsi su un’interpretazione ponderata e cauta delle evidenze disponibili, ha concluso Dhar.

«E se si sceglie una dieta di eliminazione, questa dovrebbe essere personalizzata in base alle esigenze del paziente, alla gravità dell’eczema e alle correlazioni documentate tra assunzione di cibo e riacutizzazioni cutanee o allergie alimentari, senza trascurare l’equilibrio nutrizionale».