Nuovo studio su rischio di recidiva ictus nei pazienti con fibrillazione atriale


Uno studio ha analizzato l’andamento del rischio di recidiva nei pazienti con fibrillazione atriale già colpiti da ictus ischemico, evidenziando la necessità di strategie preventive aggiuntive

fibrillazione atriale

Uno studio, presentato a Helsinki durante l’European Stroke Organisation Conference (ESOC) 2025 e pubblicato contemporaneamente su JAMA Neurology, ha analizzato l’andamento del rischio di recidiva nei pazienti con fibrillazione atriale (AF) già colpiti da ictus ischemico, evidenziando la necessità di strategie preventive aggiuntive nonostante la terapia anticoagulante orale.

I risultati della revisione sistematica e della meta-analisi indicano che circa un paziente su sei subirà un nuovo ictus ischemico entro cinque anni, mentre il rischio complessivo di ictus ischemico o emorragico è stimato in uno su cinque.

L’incidenza di recidive è risultata particolarmente elevata nei soggetti il cui primo ictus ischemico si era verificato nonostante l’assunzione di anticoagulanti orali, sia antagonisti della vitamina K (VKA) sia anticoagulanti orali diretti (DOAC).

Secondo il ricercatore principale John McCabe (Mater Misericordiae University Hospital, Dublino), tali dati sottolineano la necessità di strategie aggiuntive per ridurre il rischio residuo in questi pazienti, sottolineando la necessità di valutare con attenzione l’efficacia protettiva dei DOAC e di considerare strategie complementari per ridurre il rischio residuo di recidiva.

Un’analisi su larga scala
La ricerca ha analizzato dati provenienti da 23 studi su pazienti con AF e pregresso ictus ischemico, selezionati con criteri rigorosi: il follow-up doveva durare almeno un anno e gli studi dovevano riportare informazioni dettagliate sull’incidenza di eventi cerebrovascolari ricorrenti. Complessivamente, l’analisi ha incluso 78.733 pazienti con un totale di 140.307 anni di osservazione, garantendo un’elevata robustezza statistica.

Un aspetto significativo riguarda il tasso medio di pazienti dimessi con terapia anticoagulante orale, pari al 92%, un dato che evidenzia la diffusa adozione della strategia terapeutica nei pazienti con AF post-ictus.

Tuttavia, i risultati hanno mostrato una differenza sostanziale tra studi osservazionali e trial clinici randomizzati (RCT), con una maggiore incidenza di ictus ischemico nei primi rispetto ai secondi (4,20% vs 2,26% annuo; P < 0,001).

Lo stesso pattern è stato riscontrato per l’incidenza complessiva di ictus ricorrente (6,28% vs 2,68%; P < 0,001) e per l’emorragia intracerebrale (ICH), osservata con un tasso annuo dello 0,58%.

Nei pazienti il cui ictus iniziale si era manifestato sotto terapia anticoagulante, i tassi di recidiva sono risultati ancora più elevati: 7,20% per ictus ischemico, 8,96% per qualunque tipo di ictus e 1,40% per ICH. Le stime hanno indicato un rischio cumulativo a cinque anni pari al 17,4% per ictus ischemico e 22,1% per qualsiasi ictus, con valori ancora più alti (31,2% e 37,5%) nei soggetti con ictus ischemico nonostante la terapia anticoagulante.

Verso una strategia integrata
I dati suggeriscono che la sola terapia anticoagulante non è sufficiente a prevenire l’ictus nei pazienti con AF, rendendo indispensabile un approccio integrato. Secondo McCabe, una possibile direzione potrebbe essere rappresentata dalla chiusura dell’appendice atriale sinistra nei pazienti con recidiva nonostante la terapia anticoagulante, un approccio attualmente esplorato nel trial ELAPSE.

Oltre agli interventi di tipo procedurale, l’attenzione deve concentrarsi su strategie complementari per ridurre il rischio residuo: il controllo pressorio, la gestione ottimale della glicemia e dei lipidi, la cessazione del fumo e la prevenzione delle cadute giocano un ruolo fondamentale.

Un altro tema rilevante è la necessità di perfezionare la stratificazione del rischio: il punteggio CHA2DS2-VASc, comunemente impiegato per valutare il rischio tromboembolico nei pazienti con AF, si è dimostrato poco efficace nel contesto post-ictus.

«Se il miglior trattamento fosse la chiusura dell’appendice atriale sinistra» ha commentato McCabe, «dovremmo essere certi di identificare correttamente i pazienti che ne trarrebbero un reale beneficio, evitando procedure invasive non necessarie».

L’evoluzione della ricerca in questo ambito potrebbe portare a nuove linee guida per la gestione dell’AF post-ictus, con un modello di prevenzione più articolato e personalizzato per il singolo paziente.

Bibliografia
McCabe JJ, Cheung Y, Foley M, et al. Residual Risk of Recurrent Stroke Despite Anticoagulation in Patients With Atrial Fibrillation: A Systematic Review and Meta-Analysis. JAMA Neurol. 2025 May 21:e251337. doi: 10.1001/jamaneurol.2025.1337. Epub ahead of print. leggi