Per i pazienti con Alzheimer, nuove evidenze di efficacia della terapia anti-amiloide prolungata con lecanemab
Il trattamento con l’anticorpo anti-amiloide lecanemab ha mostrato effetti benefici prolungati fino a 36 mesi nei pazienti con Alzheimer iniziale. Questi risultati, presentati alla riunione annuale dell’American Academy of Neurology (AAN) a San Diego, emergono dall’estensione in aperto dello studio CLARITY AD, suggerendo modificazioni della malattia su tempi prolungati.
I dati indicano che la terapia continua ha comportato variazioni più marcate nei livelli plasmatici di beta-amiloide 42/40, accompagnate da un miglioramento delle traiettorie cognitive, valutato tramite diversi test specifici per il decadimento cognitivo.
Il confronto tra il gruppo trattato con lecanemab e un campione appaiato dell’Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative (ADNI) ha evidenziato differenze significative nel declino cognitivo.
Impatto a lungo termine del trattamento
Durante la fase controllata con placebo dello studio CLARITY AD, i due gruppi hanno mostrato progressioni simili. Tuttavia, nell’estensione in aperto, lecanemab ha ridotto del 30% la progressione alla fase successiva della malattia secondo i punteggi della scala CDR-SB.
Uno dei dati più rilevanti riguarda i pazienti con livelli ridotti o assenti di tau, misurati con PET e inferiori a 1.06 SUVR (rapporto del valore di assorbimento standardizzato), nei quali la terapia con lecanemab ha portato al mantenimento o persino al miglioramento delle prestazioni cognitive.
Anche i punteggi dei test ADAS-Cog 14 e ADCS MCI-ADL hanno mostrato tendenze coerenti con il CDR-SB.
Dati sulla sicurezza e sugli effetti avversi
Tuttavia, la sicurezza del farmaco è stata oggetto di attenzione: eventi avversi gravi sono stati riscontrati nel 20,5% del campione totale di 1.616 soggetti coinvolti nello studio principale e nell’estensione.
Tra gli effetti collaterali, le anomalie di imaging correlate all’amiloide con edema (ARIA-E) si sono verificate nel 14,7% dei partecipanti, mentre quelle con depositi di emosiderina (ARIA-H) nel 23,8%. Inoltre, emorragie intracerebrali si sono osservate nello 0,7% dei casi, con tre decessi correlati.
Implicazioni per la pratica clinica
Il ricercatore Christopher van Dyck della Yale University di New Haven ha sottolineato che questi risultati rappresentano la prima evidenza del beneficio continuativo della terapia anti-amiloide nel tempo, indicando la necessità di iniziare precocemente il trattamento e di mantenerlo nel lungo periodo.
«I soggetti con livelli più bassi di tau e amiloide mostrano una stabilizzazione particolarmente robusta dei sintomi» ha affermato van Dyck, evidenziando come l’efficacia del farmaco sia più marcata in pazienti con patologie meno avanzate.
Lecanemab, che si lega selettivamente alle protofibrille solubili di beta-amiloide, ha ottenuto l’approvazione dalla FDA per il trattamento dell’Alzheimer in fase iniziale sulla base dei dati dello studio CLARITY AD.
Tuttavia, il farmaco presenta un’avvertenza sulla possibilità di sviluppare ARIA, e sono state pubblicate raccomandazioni per minimizzare tale rischio, incluse le indicazioni dell’American Academy of Neurology (AAN).
In Europa l’EMA ha approvato il farmaco limitatamente per i pazienti con una o nessuna copia del gene ApoE4, sottopopolazione più a rischio di sviluppare ARIA.
Lo studio CLARITY AD aveva già dimostrato che il farmaco comportava un declino cognitivo ridotto rispetto al placebo, seppur associato a eventi avversi non trascurabili.
Il parametro primario di efficacia era la variazione del punteggio CDR-SB, con un incremento medio di 1.21 punti dopo 18 mesi nei pazienti trattati rispetto ai 1.66 punti nei soggetti con placebo, evidenziando una differenza di 0.45 punti. Tutti gli obiettivi secondari dello studio sono stati soddisfatti.
L’estensione in aperto ha inoltre valutato i soggetti con inizio ritardato della terapia, ovvero quelli passati da placebo a lecanemab, mostrando un miglioramento nei biomarcatori in soli tre mesi, mantenuto nel tempo con la terapia continua.
Nessun nuovo segnale di sicurezza è emerso con la somministrazione prolungata, e dopo sei mesi il tasso di ARIA si è stabilizzato a livelli simili a quelli del placebo.
Secondo Dennis Selkoe, esperto del Brigham and Women’s Hospital di Boston, «questi dati rafforzano l’idea che lecanemab sia realmente una terapia modificante la malattia».
La ricerca suggerisce che il trattamento dovrebbe essere iniziato precocemente e, se ben tollerato, prolungato per almeno tre anni. Tuttavia, lo studio non chiarisce quando interrompere la terapia, una decisione che, secondo van Dyck, rimane a discrezione di medici e pazienti caso per caso.
Fonte:
Van Dyck CH. Lecanemab for the treatment of early Alzheimer’s disease: the extension of the efficacy results from CLARITY AD. AAN 2025. San Diego.

