Long COVID come fattore di rischio cardiovascolare: esperti a confronto


La crescente incidenza del long COVID ha spinto gli esperti a esaminare le ripercussioni cardiache della malattia, concentrandosi su sintomi quali affaticamento, dispnea, dolore toracico

fibrillazione atriale

Secondo una recente analisi pubblicata su Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology, il COVID-19 severo potrebbe rappresentare un fattore di rischio cardiovascolare indipendente, al pari di condizioni patologiche consolidate come diabete e malattia coronarica.

La crescente incidenza del long COVID ha spinto gli esperti a esaminare le ripercussioni cardiache della malattia, concentrandosi su sintomi quali affaticamento, dispnea, dolore toracico e palpitazioni.

Numerose ricerche hanno confermato che i pazienti con long COVID hanno probabilità significativamente superiori di sviluppare complicanze cardiache rispetto a chi non ha avuto l’infezione.

Alcuni studiosi ritengono che i soggetti con COVID grave dovrebbero essere trattati con misure preventive più aggressive, indipendentemente dalla loro storia clinica cardiovascolare pregressa.

Secondo questa visione, il livello di rischio cardiovascolare correlato all’infezione grave giustificherebbe interventi terapeutici analoghi a quelli adottati per i pazienti con diagnosi conclamata di patologia coronarica. Tuttavia, altri esperti sottolineano la necessità di ulteriori evidenze per poter ufficialmente includere il COVID severo tra i fattori di rischio cardiovascolare indipendenti.

Un rischio persistente nel tempo
Uno studio condotto da Stanley Hazen presso la Cleveland Clinic ha analizzato i dati della UK Biobank, valutando il rischio a lungo termine di eventi cardiovascolari avversi (MACE) nei pazienti con COVID-19.

Il campione comprendeva 10.005 persone positive al test PCR o ricoverate per COVID-19 tra febbraio e dicembre 2020, confrontate con 217.730 individui di controllo e 38.860 controlli appaiati per caratteristiche simili.

I risultati hanno dimostrato che i pazienti con COVID severo presentavano un rischio più elevato di sviluppare eventi cardiaci avversi, con un hazard ratio di 3,85. In particolare, il tasso di infarto, ictus e mortalità era significativamente superiore rispetto ai controlli.

Hazen ha evidenziato che, nei pazienti ricoverati per COVID severo, il rischio di eventi cardiaci nel successivo triennio risultava comparabile a quello osservato nei pazienti con una pregressa diagnosi di malattia coronarica.

Questa scoperta ha portato i ricercatori a proporre un approccio preventivo più aggressivo per i pazienti post-COVID grave, con obiettivi di trattamento più stringenti per la riduzione del colesterolo LDL e un uso più ampio di farmaci antiaggreganti.

Inoltre, il team di ricerca ha ipotizzato che la gravità dell’infezione possa indurre modificazioni persistenti nella risposta infiammatoria dell’organismo, contribuendo a un incremento del rischio cardiovascolare a lungo termine.

Nonostante i risultati, lo studio non ha potuto valutare l’impatto della vaccinazione sulla probabilità di sviluppare eventi cardiovascolari post-COVID, dato che la raccolta dei dati è avvenuta prima della diffusione dei vaccini. Tuttavia, gli esperti suggeriscono che la vaccinazione potrebbe ridurre il rischio, diminuendo la probabilità di infezione grave.

Ruolo della sorveglianza cardiovascolare per la prevenzione
Non tutti i ricercatori concordano sul fatto che il COVID severo debba essere considerato un fattore di rischio cardiovascolare indipendente. Secondo Kieran Quinn, dell’Università di Toronto, le attuali evidenze non sono sufficienti per equiparare il COVID grave a fattori di rischio consolidati come diabete o ipertensione.

Quinn e il suo team hanno condotto un’analisi comparativa tra diverse infezioni acute, tra cui influenza e sepsi, per valutare la probabilità di sviluppare complicanze cardiovascolari a lungo termine.

Un vasto studio condotto in Ontario ha esaminato quasi 400.000 pazienti, confrontando il rischio cardiovascolare post-COVID con quello derivante da altre infezioni gravi. I risultati hanno mostrato che, fatta eccezione per un aumento del rischio tromboembolico, l’incidenza di condizioni cardiovascolari non differiva significativamente tra i sopravvissuti al COVID grave e i soggetti colpiti da influenza o sepsi.

Secondo Quinn, molte delle conseguenze post-acute del COVID potrebbero essere attribuite alla severità dell’infezione piuttosto che a un effetto diretto del virus. Inoltre, il suo team ha contribuito alla stesura delle linee guida canadesi per la gestione del long COVID, che includono 80 raccomandazioni basate su evidenze scientifiche per la valutazione e il trattamento dei pazienti con sintomi persistenti.

Sebbene la comunità scientifica sia ancora divisa sull’interpretazione di questi dati, la crescente mole di studi suggerisce che la sorveglianza cardiovascolare post-COVID potrebbe avere un ruolo cruciale nella prevenzione.

Resta da stabilire se il COVID severo debba essere ufficialmente riconosciuto come fattore di rischio cardiovascolare autonomo, ma le attuali evidenze indicano chiaramente la necessità di un monitoraggio attento dei pazienti con infezione grave.

Bibliografia
Hilser JR, Spencer NJ, Afshari K, et al. COVID-19 Is a Coronary Artery Disease Risk Equivalent and Exhibits a Genetic Interaction With ABO Blood Type. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 2024;44(11):2321-2333. doi: 10.1161/ATVBAHA.124.321001. leggi