I pazienti con trombo nel ventricolo sinistro dopo un infarto miocardico ottengono gli stessi risultati clinici se trattati con rivaroxaban o warfarin
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Un nuovo studio, presentato a Chicago durante il Congresso Scientifico 2025 dell’American College of Cardiology (ACC), ha dimostrato che i pazienti con trombo nel ventricolo sinistro dopo un infarto miocardico ottengono gli stessi risultati clinici se trattati con rivaroxaban o warfarin. Entrambi i farmaci determinano la risoluzione del trombo entro tre mesi, con il vantaggio di una maggiore semplicità di gestione per il rivaroxaban.
Con la sua posologia più agevole, il rivaroxaban rappresenta un’alternativa praticabile al warfarin, eliminando la necessità di monitoraggi frequenti dei parametri ematici e delle possibili interazioni farmacologiche e alimentari.
Il responsabile dello studio, Jehangir Ali Shah (National Institute of Cardiovascular Diseases, Karachi, Pakistan), ha sottolineato l’importanza di questa opzione terapeutica, evidenziando il fatto che «non è necessario controllare campioni di sangue né verificare interazioni con altri farmaci o cibi».
Secondo Thomas Lüscher (Royal Brompton and Harefield Hospitals, Londra, Regno Unito), intervenuto durante la presentazione dello studio, l’incidenza del trombo ventricolare sinistro è diminuita grazie alla diffusione dell’angioplastica primaria e dei trattamenti antitrombotici, ma rimane una complicanza da considerare dopo un infarto STEMI, data la possibilità di eventi embolici e ictus.
Anche se la sua prevalenza si attesta sotto il 3% nei pazienti con STEMI, per quelli con infarto anteriore raggiunge circa il 9%.
Studio RIVAWAR: metodologia e risultati
Lo studio RIVAWAR, randomizzato e open-label, ha coinvolto 261 pazienti (età media 54,5 anni; 20,7% donne) con diagnosi di trombo ventricolare sinistro entro sette giorni da STEMI/NSTEMI.
I partecipanti sono stati assegnati a rivaroxaban o warfarin per 12 settimane, con controlli ecocardiografici a 4 e 12 settimane. Oltre il 90% dei pazienti presentava STEMI, mentre l’85% è stato sottoposto a intervento coronarico percutaneo e il 90% randomizzato entro due giorni dall’evento acuto.
Dopo quattro settimane, la risoluzione del trombo è stata osservata nel 20,1% dei pazienti trattati con rivaroxaban e nell’8,3% di quelli trattati con warfarin (OR 2,41; IC 95% 1,05-2,46).
Alla dodicesima settimana, la risoluzione del trombo ha riguardato il 95,8% dei pazienti trattati con rivaroxaban e il 96,6% di quelli trattati con warfarin, rientrando nel margine di non inferiorità del 7% (OR 0,98; IC 95% 0,74-1,29).
Praticità di gestione dell’inibitore diretto del fattore Xa
Gli autori dello studio hanno definito i risultati un possibile «cambiamento di paradigma», grazie alla maggiore facilità d’uso del rivaroxaban rispetto al warfarin.
In una conferenza stampa dell’ACC, Anna Bortnick (Albert Einstein College of Medicine, Bronx, NY) ha descritto il rivaroxaban come una strategia «pop-and-go», sottolineando la sua praticità rispetto alle complessità della gestione del warfarin.
Sul fronte della sicurezza, non sono emerse differenze significative tra i due farmaci per quanto riguarda mortalità per tutte le cause, sanguinamenti maggiori e ictus ischemico.
Durante il dibattito principale, Lüscher ha segnalato sei casi di ictus ischemico tra i pazienti trattati con rivaroxaban rispetto a un solo caso nel gruppo warfarin, ma Shah ha evidenziato che il dato non era statisticamente significativo a causa del numero ridotto di eventi. Per confermare i risultati, il gruppo di ricerca intende condurre uno studio su scala più ampia.
Fonte:
Shah JA, on behalf of the RIVAWAR investigators. Efficacy of rivaroxaban versus warfarin in patients with acute left ventricular thrombus following myocardial infarction. Presented at: ACC 2025. Chicago, IL