La rimozione a lungo termine della proteina beta-amiloide potrebbe offrire un significativo ritardo nell’insorgenza dei sintomi e nella progressione dell’Alzheimer
Un’analisi pubblicata su “Lancet Neurology” ha evidenziato che la rimozione a lungo termine della proteina beta-amiloide potrebbe offrire un significativo ritardo nell’insorgenza dei sintomi e nella progressione della malattia di Alzheimer in persone geneticamente predisposte. I risultati emergono dai dati raccolti dalla rete di studi clinici DIAN-TU (Dominantly Inherited Alzheimer Network Trials Unit), che ha esaminato l’efficacia del gantenerumab, un farmaco sperimentale, in individui asintomatici con forme ereditarie dominanti della malattia.
Lo studio ha coinvolto 53 persone trattate con gantenerumab, di cui alcune nella fase in doppio cieco e altre nell’estensione open-label del progetto. Per questo gruppo, il rapporto di rischio (HR) per declino clinico, basato sui punteggi del Clinical Dementia Rating-Sum of Boxes, era pari a 0,79 (IC 95% 0,47-1,32).
Una sottoanalisi condotta su 22 pazienti trattati per un periodo medio di 8 anni ha evidenziato un HR più basso, pari a 0,53 (IC 95% 0,27-1,03). Nonostante l’assenza di significatività statistica nei risultati clinici, gli autori hanno sottolineato il potenziale di un trattamento precoce per la rimozione delle placche amiloidi nel ritardare l’esordio dei sintomi e ridurre il rischio di progressione.
Vantaggi del trattamento prolungato
Dopo una mediana di 2,6 anni di trattamento con gantenerumab, è stato osservato un calo significativo nel rapporto standardizzato di captazione (SUVR) delle immagini PET amiloide, con una variazione media aggiustata pari a -0,71 (IC 95% -0,88 a -0,53; P<0,0001).
Tuttavia, circa il 53% dei partecipanti ha manifestato alterazioni delle immagini correlate all’amiloide (ARIA), perlopiù asintomatiche. Non sono stati registrati decessi né macroemorragie associati al trattamento.
Randall Bateman, ricercatore dell’Università di Washington a St. Louis e primo autore dello studio, ha dichiarato che questo approccio terapeutico potrebbe garantire anni di vita sana alle persone geneticamente predisposte alla malattia.
«Gli individui coinvolti nello studio erano tutti destinati a sviluppare l’Alzheimer, ma alcuni di loro non hanno ancora manifestato sintomi», ha osservato Bateman, aggiungendo che il tempo di permanenza senza sintomi potrebbe variare tra pochi anni a decenni.
Prospettive per nuovi studi clinici
La fase in doppio cieco del trial DIAN-TU, conclusasi nel 2019, ha coinvolto 144 partecipanti, 52 dei quali ricevevano il trattamento attivo. Sebbene il trial non abbia raggiunto l’obiettivo primario di rallentamento del declino cognitivo, i ricercatori hanno avviato nel 2020 un’estensione open-label. Quest’ultima è stata interrotta prematuramente a seguito dei risultati negativi di altri trial condotti su pazienti con Alzheimer sintomatico.
Le implicazioni dello studio DIAN-TU sono state commentate da Jonathan Schott, dell’University College di Londra, che ha sottolineato l’importanza di proseguire la ricerca per confermare se la rimozione precoce della beta-amiloide possa realmente ritardare il declino cognitivo. Inoltre, Schott ha evidenziato l’opportunità di sperimentare farmaci più efficaci nei trial clinici, come il lecanemab, già approvato per l’Alzheimer sintomatico precoce.
Ad oggi, i partecipanti all’estensione open-label hanno iniziato il trattamento con lecanemab.
I ricercatori hanno richiesto una sovvenzione al NIH per completare lo studio, in attesa di revisione. Questi progressi potrebbero inaugurare una nuova fase nella gestione delle forme ereditarie dell’Alzheimer.
Bibliografia:
Bateman RJ, Li Y, McDade EM, et al. Safety and efficacy of long-term gantenerumab treatment in dominantly inherited Alzheimer’s disease: an open label extension of the phase 2/3 multicentre, randomised, double-blind, placebo-controlled platform DIAN-TU Trial. Lancet Neurology 2025; 24:P316-330. doi: 10.1016/S1474-4422(25)00024-9. leggi
Schott JM. “Amyloid immunotherapy to prevent Alzheimer’s disease: the wrong drug at the right time?” Lancet Neurol 2025; 24: P279-281. doi: 10.1016/S1474-4422(25)00066-3. leggi

