Cancro alla prostata: nuovo studio su monitoraggio post-operatorio tramite PSA


Cancro alla prostata: il monitoraggio post-operatorio tramite il dosaggio dell’antigene prostatico specifico (PSA) è un elemento chiave nella valutazione del rischio di recidiva

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Il carcinoma della prostata rappresenta una delle neoplasie più diffuse tra gli uomini e la prostatectomia radicale (RP) costituisce uno dei principali trattamenti per la malattia localizzata. Il monitoraggio post-operatorio tramite il dosaggio dell’antigene prostatico specifico (PSA) è un elemento chiave nella valutazione del rischio di recidiva. Tuttavia, un recente studio ha evidenziato un dato controintuitivo: nei pazienti con PSA persistente dopo RP, livelli preoperatori superiori a 20 ng/mL sono stati associati a una minore mortalità per tutte le cause (ACM) e specifica per il tumore prostatico (PCSM), suggerendo possibili implicazioni per la gestione del follow-up e per le strategie di trattamento post-chirurgico.

Evidenze cliniche: il paradosso del PSA preoperatorio
Uno studio retrospettivo condotto su una vasta coorte di oltre 43.000 uomini con carcinoma prostatico localizzato, trattati con RP tra il 1990 e il 2020, ha rivelato che i pazienti con livelli preoperatori di PSA superiori a 20 ng/mL avevano un rischio di ACM inferiore del 31% e un rischio di PCSM inferiore del 59% rispetto a coloro con PSA inferiore. Questo dato appare sorprendente, poiché un PSA preoperatorio elevato viene solitamente considerato un fattore prognostico sfavorevole.

Il fenomeno potrebbe essere spiegato dal fatto che una quota significativa di questi pazienti raggiunge livelli di PSA non rilevabili con un follow-up più lungo. Inoltre, il tempo mediano per l’inizio della radioterapia di salvataggio e/o della terapia di deprivazione androgenica (ADT) è risultato inferiore rispetto al tempo necessario per raggiungere un PSA non rilevabile (2,96 mesi contro 3,37 mesi). Questi dati suggeriscono il rischio di trattamenti post-chirurgici precoci e potenzialmente non necessari.

Implicazioni cliniche: necessità di ripensare il monitoraggio post-RP
Attualmente, le linee guida dell’American Urological Association raccomandano il dosaggio del PSA tra le 6 e le 8 settimane dopo la RP per determinare la presenza di malattia residua. Tuttavia, i risultati di questo studio suggeriscono che il PSA potrebbe impiegare più tempo a divenire non rilevabile nei pazienti con valori preoperatori più elevati. Un controllo precoce potrebbe quindi condurre a una diagnosi di PSA persistente in individui che, con un follow-up più prolungato, avrebbero raggiunto comunque livelli non rilevabili.

Gli autori dello studio suggeriscono pertanto di ripetere il test a tre mesi dalla chirurgia, e successivamente a quattro mesi se il PSA rimane rilevabile ma in calo. Il tempo medio necessario per ottenere un PSA non rilevabile in pazienti con PSA preoperatorio >20 ng/mL è stato infatti di circa 3,5 mesi, con alcuni soggetti che richiedevano tempi più lunghi. Questo approccio potrebbe ridurre il rischio di trattamenti di salvataggio precoci e ingiustificati.

Prospettive future e gestione ottimale del follow-up
I risultati dello studio sollevano interrogativi sulla gestione standard del PSA post-RP e sulla necessità di adattare i tempi di monitoraggio in base ai livelli preoperatori. Ulteriori studi prospettici saranno necessari per confermare queste evidenze e stabilire linee guida più precise, al fine di evitare trattamenti inutili e migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Nel contesto di una medicina sempre più personalizzata, il monitoraggio post-operatorio del carcinoma prostatico potrebbe dunque essere ridefinito, adottando un approccio basato su dati reali e sull’analisi dei tempi di clearance del PSA per ottimizzare la gestione clinica.

Bibliografia
Tilki D, et al “Persistent prostate-specific antigen following radical prostatectomy for prostate cancer and mortality risk” JAMA Oncol 2025; DOI: 10.1001/jamaoncol.2025.0110. leggi