BPDCN, rara forma di leucemia: nuove cure all’orizzonte


Nuove speranze di cura per la neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche meglio nota con la sigla BPDCN, una malattia ematologica ultra rara

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La neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche (meglio nota con la sigla BPDCN) è una malattia ematologica ultra rara (circa 50 casi in Italia ogni anno) e aggressiva che interessa il midollo osseo e il sangue e che può colpire più organi. Si presenta spesso come leucemia che poi evolve in leucemia acuta e origina dalla trasformazione tumorale di precursori delle cellule dendritiche plasmacitoidi che esprimono l’antigene CD123 (la subunità alfa del recettore dell’interleuchina 3, o IL-3Rα), che è sovraespresso in tutti i casi di BPDCN.

L’unico modo per curarla con la speranza di una guarigione è il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche. Oggi è disponibile una terapia mirata in grado di portare un numero maggiore di pazienti al trapianto, ma trattandosi di una malattia molto aggressiva è fondamentale migliorare la capacità e velocità diagnostica, ancora troppo carente, per poter iniziare queste cure quanto prima.

Nell’80% dei casi questa malattia all’esordio si presenta con lesioni cutanee di colore scuro, multiple e infiltranti. Data la prevalente manifestazione cutanea iniziale, nella maggior parte dei casi il paziente viene indirizzato dal medico di famiglia al dermatologo che potrebbe interviene con terapie topiche regalando purtroppo tempo prezioso alla malattia anzichè avviare terapie adeguate. La malattia può inoltre interessare il midollo osseo, il sistema nervoso centrale e i linfonodi, diventando una patologia sistemica.

Quando infine il paziente viene riferito all’ematologo avviene la corretta presa in carico. Purtroppo però la malattia presenta spesso un quadro fenotipico e morfologico talmente peculiare da rendere la diagnosi differenziale di patologo ed ematologo particolarmente complessa, con potenziali ulteriori ritardi nell’avvio della terapia.

Una diagnosi precoce è la chiave per non sprecare tempo prezioso
Come dicevamo, in oltre l’80% dei casi le prime manifestazioni sono a carico della cute. Le lesioni cutanee, che possono essere singole o multifocali, possono presentarsi come noduli, placche o aree livide, sono asintomatiche e nascondono la natura aggressiva della malattia. I noduli hanno dimensioni che vanno da pochi millimetri a circa 10 cm e con localizzazione prevalente a livello del capo e degli arti inferiori.

La malattia viene diagnosticata prevalentemente nelle persone con oltre 60 anni, tuttavia può presentarsi a qualsiasi età, con una probabilità di colpire gli uomini tre volte superiore alle donne. Rappresenta circa lo 0,44% di tutte le neoplasie ematologiche rilevate annualmente, pari a un numero di casi stimati ogni anno circa 700 negli Stati Uniti e 1.000 in Europa. Solo recentemente questa neoplasia ha trovato una definizione adeguata ed è classificata all’interno delle neoplasie mieloidi aggressive.

Relativamente a tale patologia, le cellule tumorali sono sensibili ad agenti chemioterapici e steroidi che inducono la remissione nell’80-90% dei casi. Nonostante questo si verificano inevitabilmente delle recidive dopo 9-11 mesi in sede cutanea e/o con coinvolgimento extra-emopoietico (tessuti molli, sistema nervoso). Nella maggior parte dei casi l’ultima fase della malattia è caratterizzata da una leucemia fulminante.

La diagnosi di BPDCN richiede una biopsia che mostri la morfologia delle cellule dendritiche plasmacitoidi e criteri immunofenotipici stabiliti con l’immunoistochimica o la citometria a flusso, a seconda del tessuto disponibile per l’analisi. La maggior parte dei casi di BPDCN è diagnosticata con una biopsia cutanea.

La BPDCN dal punto di vista dei pazienti
Per capire il vissuto e i bisogni dei pazienti ne abbiamo parlato con due importanti rappresentanti dell’associazionismo italiano, Annalisa Scopinaro presidente di UNIAMO Federazione Italiana Malattie Rare e Felice Bombaci, referente del gruppo pazienti dell’AIL, associazione italiana contro le leucemie, i linfomi e il mieloma.

Per chi è colpito da una patologia rara poter avere una diagnosi molto precoce è di fondamentale importanza perché consente di accedere il prima possibile ai migliori trattamenti disponibili, specialmente nelle patologie ematologiche a così rapida insorgenza, e significa fare la differenza fra la vita e la morte.

«Come in quasi tutte le forme di leucemie, anche con la BPDCN il grosso problema è la velocità con cui questa malattia aggredisce la persona e quindi il poco tempo a disposizione di chi deve intervenire per curarla o per cercare di gestirla» ha sottolineato Bombaci. «Il principale ostacolo è pertanto la diagnosi, resa difficile anche dal fatto che questa patologia presenta di frequente delle manifestazioni cutanee che vengono viste dal medico di base e, in seguito, dal dermatologo a cui il paziente viene indirizzato. Questo evidenzia la questione della conoscenza e della consapevolezza da parte dei medici che per primi vedono il paziente, così che siano in grado di identificare il prima possibile la malattia. Con un decorso così rapido il paziente non può permettersi una diagnosi non immediata».

«La difficoltà diagnostica riguarda non solo le patologie ematologiche ma tutte le malattie rare. Proprio perché si tratta di pochi casi, ogni specialista può averne visti soltanto uno o due nella sua vita, quindi si verificano misdiagnosi, sotto diagnosi e, ancora peggio, mancate diagnosi» ha fatto presente Scopinaro. «I medici di medicina generale non conoscono la malattia e, come detto, se ci sono manifestazioni cutanee il paziente per prima cosa viene inviato al dermatologo, il quale non è tenuto a sapere che sotto c’è una patologia ematologica. Anche essere indirizzati a un centro ematologico non è un passaggio così rapido. Grazie ad analisi specifiche gli ematologi riescono alla fine a giungere a una diagnosi, ma dalla prima visita possono essere passate settimane o anche mesi, e non possiamo assolutamente permettercelo».

L’importante ruolo delle associazioni dei pazienti
Nel viaggio del paziente le associazioni hanno un ruolo fondamentale per indirizzarlo e farlo sentire meno solo. La diagnosi di malattia rara comporta un senso di isolamento e di estraniamento, quindi il supporto di persone che conoscono quale sarà il percorso è di aiuto sia per l’accettazione della malattia che per identificare le strade migliori per approcciarla. «Anche grazie a un supporto psicologico le associazioni come UNIAMO cercano di aiutare il paziente nelle necessità quotidiane oltre che impegnarsi nell’accrescere la conoscenza dal punto di vista clinico e di assistenza» ha continuato.

Dato che il problema principale è arrivare a una diagnosi, le associazioni sono impegnati nel migliorare il percorso di arrivo alla diagnosi del paziente. Per cercare di anticiparla è importante creare consapevolezza e maggiore conoscenza nei medici di famiglia e nei dermatologi, le figure che per prime entrano in contatto con il paziente.

«Come gruppi pazienti nel prossimo futuro, nell’ambito di seminari che organizziamo sulla malattie ematologiche extra rare, possiamo fare un focus anche sulla BPDCN in modo che i pazienti si sentano seguiti e creare dei momenti di incontro tra ematologi, dermatologi e medici di base per aumentare la consapevolezza sulla malattia» ha affermato Bombaci.

«Come UNIAMO offriamo un servizio di supporto psicologico a tutte le persone che hanno malattie ultra rare o rarissime e, più in generale, facciamo azioni di sensibilizzazione e di formazione sui medici di medicina generale e pediatri di libera scelta per orientarli verso un sospetto diagnostico» ha aggiunto Scopinaro. «Non potremo mai elaborare una formazione su tutte le 8.000 patologie rare più tutte quelle rare a livello di tumori, ma possiamo aiutare i medici di base ad avere un sospetto diagnostico in presenza di sintomi non immediatamente riconducibili a una patologia conosciuta, e da lì partire con la formazione successiva agli specialisti»

Nuove terapie sono oggi disponibili
Nonostante i notevoli progressi nella diagnosi e nella comprensione biologica della patologia, fino al 2018 non vi è stato un netto consenso sul suo trattamento e i pazienti venivano trattati per lo più con i regimi chemioterapici utilizzati per i linfomi, la leucemia linfoblastica acuta o la leucemia mieloide acuta. L’unico trattamento associato a remissioni durevoli e a un beneficio di sopravvivenza è il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, ma non tutti i pazienti possono sottoporvisi.

Inoltre la neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche è caratterizzata da una resistenza intrinseca alle chemioterapie standard. Le risposte sono spesso transitorie e i risultati ottenuti non si traducono in vantaggi dal punto di vista della sopravvivenza. Questi regimi chemioterapici sono inoltre associati a gravi tossicità e causano una prolungata depressione del midollo osseo, che può determinare gravi conseguenze, soprattutto nei pazienti più anziani.

«Per fortuna oggi ci sono delle target therapy che, grazie alla medicina di precisione e allo sviluppo tecnologico che sta avvenendo in ematologia e in ambito oncologico in generale, possono portare un numero maggiore di pazienti al trapianto, l’unico modo per curare la malattia» ha concluso Bombaci con un messaggio di speranza per i malati, ma perché questa luce si accenda la diagnosi precoce rimane essenziale.