Tagraxofusp efficace per la neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche


Risposte positive e durature nei pazienti affetti da neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche trattati con tagraxofusp

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I pazienti affetti da neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche trattati con tagraxofusp come trattamento di prima linea mostrano risposte rapide e durature e una sopravvivenza prolungata rispetto a quanto ottenuto con la chemioterapia. È la conclusione di uno studio europeo di real world presentato all’ultimo congresso dell’American Society of Hematology (ASH), a San Diego.

Nella popolazione analizzata, cioè pazienti trattati nell’ambito di un programma europeo di accesso anticipato al farmaco, si sono osservati una mediana della durata della risposta (DoR) di circa 9 mesi e un tasso di risposta obiettiva (ORR) molto elevato, quasi del 90%. Inoltre, quasi il 70% dei pazienti ha ottenuto una risposta completa al trattamento.

In più, la mediana di sopravvivenza globale (OS) è risultata di 20 mesi, e quindi decisamente superiore rispetto a quella osservata storicamente con la chemioterapia.

Dopo il trattamento con tagraxofusp, la metà dei pazienti ha potuto sottoporsi al trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche e in questo sottogruppo le mediane di DoR e OS non erano ancora state raggiunte al momento dell’analisi presentata al congresso, con un follow-up fino a 2 anni.

«Questi risultati ottenuti nel mondo reale confermano il ruolo di tagraxofusp come terapia di prima linea di scelta per i pazienti con neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche, con risultati di sopravvivenza migliori rispetto ai dati storici osservati con la chemioterapia e con un profilo di sicurezza gestibile», ha detto Emanuele Angelucci, Direttore dell’UOC di Ematologia e Centro Trapianti dell’IRCCS Ospedale Policlinico S. Martino di Genova, a conclusione del suo intervento.

La neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche

La neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche, indicata più semplicemente con l’acronimo BPDCN, è una neoplasia mieloide estremamente rara e invasiva che coinvolge pelle, midollo osseo, linfonodi e/o siti extranodali, caratterizzata da una cattiva prognosi.

Il tumore si origina dalla trasformazione tumorale di precursori delle cellule dendritiche plasmacitoidi che esprimono marcatori specifici, fra cui l’antigene CD123 (la subunità alfa del recettore dell’interleuchina 3, o IL-3Rα), sovraespresso in tutti i casi di BPDCN.

«La malattia ha un’incidenza molto bassa, poche decine di casi all’anno in Italia e nell’Unione europea. È talmente rara che solo di recente ha trovato una definizione adeguata e oggi viene classificata all’interno delle neoplasie mieloidi aggressive», ha spiegato Angelucci.

Nonostante i notevoli progressi nella diagnosi e nella comprensione biologica della patologia, fino al 2018 non vi è stato un netto consenso sul suo trattamento e i pazienti venivano trattati per lo più con i regimi chemioterapici utilizzati per i linfomi, la leucemia linfoblastica acuta o la leucemia mieloide acuta, con risultati molto scadenti (mediane di OS comprese fra 8 e 14 mesi). L’unico trattamento associato a remissioni durevoli e a un beneficio di sopravvivenza è il trapianto allogenico, ma non tutti i pazienti possono eseguirlo.


Tagraxofusp

Sviluppato e commercializzato (con il marchio Elzonris) da Menarini Stemline, tagraxofusp è un farmaco ‘first-in-class’ diretto contro l’antigene CD123 e costituito da un’interleuchina (IL)-3 umana ricombinante, fusa con un payload costituto da una tossina difterica troncata. È la prima e ad oggi unica terapia target ad oggi disponibile per il trattamento della BPDCN.

«Fino a poco tempo fa non esisteva un farmaco specifico per questa malattia, non c’era uniformità di trattamento e i risultati che erano stati ottenuti gestendola come una leucemia acuta erano assolutamente scoraggianti. La novità è che ora con un farmaco mirato (come tagraxofusp, ndr) siamo in grado di colpire in modo selettivo la cellula neoplastica, uccidendola o sopprimendola, evitando nel contempo le complicanze tipiche di una chemioterapia aggressiva.

Il farmaco è stato approvato per la prima volta dalla Food and drug administraton (Fda) nel 2018 per il trattamento di pazienti adulti e pediatrici di almeno 2 anni, alla prima linea di terapia o ricaduti/refrattari, mentre nel gennaio 2021 ha avuto il via libera della European medicines agency (Ema) come terapia di prima linea per i pazienti adulti. Dal marzo 2023 è disponibile anche nel nostro Paese e rimborsato dal Servizio sanitario nazionale.

L’approvazione di tagraxofusp da parte delle agenzie regolatorie è il frutto dei risultati positivi dello studio registrativo 0114 BPDCN (NCT02113982). In questo trial, il trattamento con tagraxofusp 12 mcg/kg ha mostrato un profilo di sicurezza gestibile e nei pazienti alla prima linea di trattamento ha prodotto un ORR del 75%, con un tasso di risposta completa e risposta completa clinica (cioè una risposta completa con anomalie cutanee residue, ma non indicative di una malattia attiva) del 57% e una percentuale di pazienti che ha potuto effettuare il trapianto del 51%, mentre nei pazienti ricaduti/refrattari l’ORR è risultato del 58%, con un tasso di risposta completa e risposta completa clinica del 16% e un 5% di pazienti che ha potuto sottoporsi al trapianto.


Lo studio europeo

Nell’agosto 2019, l’azienda produttrice ha avviato in Europa un programma globale (Named Patient Program, NPP) per poter garantire ai pazienti l’accesso a tagraxofusp prima della sua approvazione da parte dell’Ema e, nel contempo, raccogliere dati sulla sua efficacia e sicurezza nella pratica clinica di tutti i giorni, all’interno di uno studio multicentrico osservazionale.

Lo studio, di tipo retrospettivo, a singolo braccio, ha coinvolto pazienti adulti con BPDCN sia naïve al trattamento sia ricaduti/refrattari dopo altre terapie, trattati con tagraxofusp nel real world in sei Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Svizzera, Austria e Spagna).

I partecipanti sono stati trattati con tagraxofusp 12 mcg/kg somministrato mediante infusione endovenosa una volta al giorno, per un totale di cinque somministrazioni nei primi 5 giorni di cicli di 21 giorni. Per il primo ciclo la somministrazione avveniva in regime di ricovero, mentre per i cicli successivi poteva essere effettuata in ambulatorio.

All’congresso dell’ASH sono stati riportati i dati aggiornati dello studio (quelli preliminari, relativi a 40 pazienti, sia naïve al trattamento sia già trattati con la chemioterapia, erano stati presentati al congresso dell’ASH precedente)

Gli endpoint primari erano il tasso di risposta completa dopo 2-3 cicli di tagraxofusp e, sul fronte della sicurezza, l’incidenza e il grado della sindrome da perdita capillare (CLS), un evento averso noto e peculiare di tagraxofusp. Gli endpoint secondari erano, invece, rappresentati dalla percentuale di pazienti che potevano andare al trapianto allogenico, la sopravvivenza libera da progressione (PFS), l’OS, l’ORR e la DoR.


La popolazione studiata

L’analisi presentata da Angelucci al congresso si riferisce a 22 pazienti naïve al trattamento, con un follow-up superiore (fino a 2 anni) rispetto all’analisi precedente.

L’età mediana è risultata di 68 anni (range: 21-82) e l’86% dei pazienti era di sesso maschile.

Alla diagnosi, le sedi interessate dalla malattia erano la cute nel 77% dei casi, il midollo osseo nel 59%, i linfonodi nel 55% (più di uno nel 46%) la milza nel 36%; inoltre, il 10% dei partecipanti mostrava un coinvolgimento del sistema nervoso centrale.

Il tempo mediano intercorso fra la diagnosi e l’inizio del trattamento con tagraxofusp è risultato di 1,5 mesi (range: 0,4-9), mentre il numero mediano di cicli somministrati è risultato pari a 3 (1-8).

Dopo un follow-up mediano di 10 mesi (range: 0,2-25), 18 pazienti erano stati sottoposti ad almeno una valutazione del tumore.


Alti tassi di risposta

L’ORR è risultato dell’89% (IC al 95% 65-99), con un tasso di risposta completa del 67% (IC al 95% 41-87).

La risposta al trattamento si è ottenuta rapidamente (tempo mediano di ottenimento della risposta: 21 giorni; range: 11-74; tempo mediano di ottenimento della risposta completa: 29 giorni; range: 11-58).

Inoltre, le risposte sono state durature, con una DoR mediana di 8,9 mesi (IC al 95% 3,2-non valutabile, NE), e la probabilità di mantenere la risposta a 12 mesi dall’avvio del trattamento è risultata del 40% (IC al 95% 20-70).


Ponte verso il trapianto

Fatto molto importante, il trattamento con tagraxofusp ha permesso di aumentare notevolmente rispetto alla chemioterapia anche la percentuale di pazienti in grado di essere avviati al trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche, che resta l’unica opzione terapeutica potenzialmente curativa per le persone affette da questa malattia.

«Per consentire la guarigione dei pazienti, i risultati ottenuti con tagraxofusp, seppure nettamente superiori rispetto a quelli che si ottenevano prima con la chemioterapia, devono essere consolidati con il trapianto allogenico. Prima dell’avvento di questo farmaco, da un lato per la tossicità, dall’altro per la scarsa risposta alla chemioterapia, una frazione di pazienti non superiore al 20-25% riusciva ad andare al trapianto. Ora, con tragraxofusp, questa percentuale è più che raddoppiata», ha sottolineato Angelucci.

Complessivamente, infatti, 11 dei 22 pazienti (il 50%) trattati con tagraxofusp e 11 dei 16 (il 69%) in risposta completa hanno potuto eseguire il trapianto.

Dopo un follow-up mediano di 13 mesi (range: 4-25), per i pazienti trapiantati le risposte sono risultate altamente durature e la DoR mediana non era stata raggiunta.

Inoltre, per questi pazienti la probabilità di essere ancora in risposta a 12 mesi è risultata del 60% (IC al 95% 20-80).


Sopravvivenza più lunga con tagraxofusp

La PFS mediana è risultata di 10,2 mesi (IC al 95% 7,5-NE) e l’OS mediana di 20 mesi (IC al 95% 10-NE), nettamente più lunga rispetto a quella che si otteneva con la chemioterapia.

Nei pazienti che hanno potuto sottoporsi al trapianto, inoltre, la mediana dell’OS non è stata raggiunta.

Il profilo di sicurezza e tollerabilità

Per quanto riguarda la sicurezza e tollerabilità di tagraxofusp, Angelucci ha rimarcato che la maggior parte degli eventi avversi di grado 3/4 si è manifestata durante il primo ciclo e si è risolta rapidamente.

L’incidenza complessiva degli eventi avversi di grado 3/4 e severi ritenuti correlati a tagraxofusp è risultata del 36% e il 92% di questi eventi si è manifestato nel primo ciclo.

Non si sono registrate infezioni di grado 3/4 o severe. Gli eventi avversi più frequenti ematologici di grado 3/4 o severi sono stati la trombocitopenia (23%) e la neutropenia (18%).

Si è osservata una mielosoppressione transitoria, ha riferito l’autore, ma per lo più lieve e, soprattutto, non cumulativa.

Inoltre, non si sono registrati decessi correlati al trattamento.


Sindrome da perdita capillare per lo più di grado lieve

Riguardo alla CLS, la maggior parte degli eventi si è manifestata nel primo ciclo ed è stata di grado lieve, mentre non ci sono stati casi di grado 4 o 5.

Su 10 pazienti che hanno manifestato episodi di questo evento avverso, 9 li hanno avuti nel primo ciclo di trattamento, e nessun paziente con un coinvolgimento cerebrale ha sviluppato una CLS.

La CLS è stata gestita con sospensioni della somministrazione e iniezioni endovena di albumina, e tutti gli episodi si sono risolti. Il tempo mediano di risoluzione è stato di 8 giorni (range: 2-172).

«Con un’attenta selezione dei pazienti, uno stretto monitoraggio per riconoscere tempestivamente l’insorgenza della sindrome e un intervento diretto, la CLS è gestibile, lieve nella maggior parte dei casi, limitata al primo ciclo e senza ricadute», ha sottolineato Angelucci.


In conclusione

In conclusione, questi risultati ottenuti nel mondo reale su pazienti con neoplasia a cellule dendritiche plasmacitoidi blastiche trattati in prima linea con tagraxofusp nell’ambito dell’NPP europeo sono coerenti con quelli di efficacia e sicurezza a lungo termine mostrati nello studio registrativo su tagraxofusp in monoterapia (N. Pemmaraju et al. J Clin Oncol. 2022) e supportano ulteriormente l’utilizzo di questo farmaco per il trattamento dei pazienti affetti da questa malattia.

Bibliografia

E. Angelucci, et al. Durable Outcomes with Manageable Safety Leading to Prolonged Survival with Tagraxofusp for Treatment-Naive Patients with Blastic Plasmacytoid Dendritic Cell Neoplasm: Updated Results from a European Named Patient Program. Blood (2023) 142 (Supplement 1):547; doi: 10.1182/blood-2023-178734. https://ashpublications.org/blood/article/142/Supplement%201/547/499411/Durable-Outcomes-with-Manageable-Safety-Leading-to?searchresult=1