Dolore nel paziente pediatrico: il punto dell’AISD


La legge 38 del 2010 sottolinea l’importanza di trattare il dolore anche nel paziente pediatrico, dal neonato di pochi giorni in poi: il punto dell’AISD

dolore

La legge 38 del 2010 sottolinea l’importanza di trattare il dolore anche nel paziente pediatrico, dal neonato di pochi giorni in poi. Per valutare il dolore nei bambini ci sono strumenti appositi che si basano soprattutto sulla valutazione comportamentale e anche a livello di terapia si può agire in maniera efficace e sicura. Questi importanti concetti sono stati spiegati e sottolineati durante l’ultimo congresso dell’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore (AISD).

Quando ci riferiamo al dolore, parliamo di un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, associata a un danno tessutale reale o potenziale, o descritto nei termini di tale danno. Questo concetto implica una doppia componente, che richiede una comprensione approfondita dei meccanismi corporei per sviluppare terapie mirate e ragionate.
Spesso, quando i medici ci spiegano cosa succede nel corpo umano, è fondamentale chiedere il “perché”. Comprendere le basi del problema ci fornisce una freccia in più nell’arco per sviluppare terapie mirate e ragionate.

Nel contesto pediatrico, l’apprendimento del concetto di dolore avviene attraverso esperienze correlate a traumi durante la prima infanzia.
L’ipersensibilità periferica può amplificare notevolmente la stimolazione dei recettori del dolore, aumentando la percezione del bambino. La mancanza di copertura analgesica o il ripetersi di stimolazioni dolorose, come nei prelievi su neonati prematuri, può contribuire a un aumento della sensibilità al dolore, sviluppando allodinia.
Contrariamente alle affermazioni passate, specialmente in presenza di stimoli ripetitivi, confuta l’idea che i bambini non provino dolore o che possano dimenticarlo. Il trattamento inadeguato del dolore può ritardare la diagnosi delle patologie, creando sfide etiche, come nel caso degli interventi chirurgici.

Il dolore pediatrico non può essere sottovalutato, poiché influisce sulla percezione e sulla memoria del bambino, spesso amplificando il vissuto del dolore. La gestione del dolore in età pediatrica richiede un approccio completo che consideri sia il danno tessutale periferico che la percezione sensoriale del paziente.

L’approccio al trattamento del dolore in pediatria è stato a lungo dibattuto, con alcuni preconcetti che si sono rivelati non veritieri. Contrariamente alla convinzione che i bambini non provino dolore o che possano dimenticarlo facilmente, numerosi studi dimostrano che il dolore nella prima infanzia può influenzare la soglia del dolore nell’età adulta.
La sottostima e la sottovalutazione del dolore pediatrico hanno portato a ritardi nella diagnosi e nel trattamento. La gestione del dolore in pediatria richiede un approccio olistico, considerando non solo il danno tessutale, ma anche gli aspetti emotivi e la memoria del dolore nel bambino.

Dei 5 miliioni di accessi annuali ai pronto soccorso pediatrici, in più del 60% dei casi si tratta di bambini con dolore e il controllo antalgico resta scarso ed a questo si va a sommare il dolore procedurale. Basti pensare alle procedure che vanno fatte per trattare un’ustione, soprattutto in caso di grande ustione per procedere alle medicazioni è fondamentale gestire il dolore.
Il dolore nel bambino va gestito da subito, questo è scritto a chiare lettere anche nell’importantissima legge 38 del 2010. Bisogna registrare il dolore in cartella clinica anche per i bambini e gestirlo adeguatamente.

Per valutarlo ovviamente bisogna considerare l’età del piccolo paziente: ad esempio non si può interrogare un neonato ma bisogna valutare il suo comportamento, i suoi atteggiamenti oltre la postura e il pianto. Sotto i 3 anni in questa valutazione ci aiuta la scala FLACC, che valuta cinque elementi: 1) Face ( espressione del volto), 2) Legs, 3) Activity (posizione e movimenti delle gambe e del corpo), 4) Cry (presenza di pianto o lamenti), 5) Consolability (necessità e possibilità di rassicurare e tranquillizzare il paziente).
Il concetto chiave è che il dolore nella prima età della vita determina delle modificazioni strutturali e funzionali persistenti del sistema nocicettivo contribuendo a determinare l’architettura definitiva del sistema algico e il livello di soglia del dolore che ci sarà nell’adulto. Quindi va valutato, misurato e trattato.

In questo contesto, considerando come già detto che il dolore nel bambino è in parte dovuto a una componente nocicettiva periferica quindi su base infiammatoria trasmissione e una parte a livello di elaborazione corticale, del ricordo e di amplificazione del dolore quindi a questo punto è utile unire due molecole che con un dosaggio più basso combinano in modo sinergico la loro capacità di mediare l’infiammazione.

L’uso combinato di paracetamolo e ibuprofene emerge come un approccio terapeutico efficace e sicuro. Questa combinazione sinergica offre una maggiore efficacia analgesica rispetto ai singoli trattamenti, con dosaggi precisi che possono essere gestiti dai professionisti medici.
Infine, è importante sottolineare che il trattamento del dolore in età pediatrica è una responsabilità condivisa tra medici, infermieri e genitori. La corretta gestione del dolore contribuisce non solo al benessere immediato del bambino, ma può anche influenzare in modo significativo la sua percezione del dolore nell’età adulta.

Tratto dalla relazione del dott. Antonio Vitale. Dolore nel paziente pediatrico: quali prospettive di trattamento. Congresso AISD 2023