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Leucemia mieloide acuta: conferme nella real life per CPX-351

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Leucemia mieloide acuta secondaria insorta dopo una precedente terapia o una precedente sindrome mielodisplastica: conferme per CPX-351 da studio italiano

Nei pazienti affetti da leucemia mieloide acuta secondaria insorta dopo una precedente terapia o una precedente sindrome mielodisplastica, il trattamento con CPX-351 conferma la sua efficacia in un ampio studio tutto italiano di real life, i cui risultati sono stati presentati a San Diego al congresso dell’American Society of Hematology (ASH) da Fabio Guolo, dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova.

I dati dello studio, che forniscono molte informazioni importanti per ottimizzare l’uso del farmaco, suggeriscono, tra l’altro, che CPX-351 potrebbe essere di particolare beneficio nei pazienti a rischio favorevole secondo la classificazione ELN 2017, specie se portatori di mutazioni di NPM1.

CPX-351 meglio del regime 7+3

La leucemia mieloide acuta che origina da una precedente sindrome mielodisplastica (s-AML) o una precedente chemioterapia o radioterapia (t-AML), ha spiegato l’autore, ha una prognosi infausta. Ciò è dovuto al fatto che i pazienti con queste forme di leucemia hanno una maggiore probabilità di presentare alterazioni genetiche e citogenetiche associate a un alto rischio. L’unica opzione curativa in questo setting è rappresentata dal trapianto allogenico.

Nello studio registrativo 301 CPX-351 ha dimostrato di essere superiore al regime chemioterapico convenzionale 7 + 3 in termini di tasso di risposta completa e di sopravvivenza in pazienti con s-AML o t-AML di 60 anni o più.

I risultati di follow-up a lungo termine hanno confermato questo vantaggio ed evidenziato che il beneficio di sopravvivenza è evidente sia nei pazienti sottoposti al trapianto allogenico sia in quelli non trapiantati.

Dal 2019 CPX-351 è disponibile anche in Italia ed è generalmente considerato la terapia di scelta per i pazienti fit affetti da t-AML o s-AML.

Vari studi di real life condotti in Francia, Germania e anche nel nostro Paese hanno confermato i risultati dello studio registrativo, dimostrando ancora una volta come i pazienti che possono sottoporsi al trapianto siano quelli con il miglior outcome.

Tuttavia, ci sono ancora questioni lasciate irrisolte da tutti questi studi. Infatti, ha spiegato Guolo, «sia lo studio registrativo, che includeva una settantina di pazienti, sia gli studi di real life successivi, tra cui quello italiano, con casistiche di dimensioni simili, non erano in grado, per questioni numeriche, di rispondere ad alcune domande sull’utilizzo del farmaco nella pratica clinica». Per esempio, non è ancora del tutto chiaro quale sia il numero ottimale di cicli di CPX-351 per ciascun paziente, se il numero di cicli ottimale sia lo stesso per i pazienti che vanno al trapianto allogenico oppure no, né quale sia il momento migliore per eseguire il trapianto di consolidamento. Inoltre, ci sono ancora pochi dati sull’efficacia di CPX-351 nei pazienti che presentano mutazioni di NPM1 o FLT3 o nei pazienti a basso rischio secondo la classificazione ELN, in quanto questi sottogruppi sono rari nei pazienti con s-AML o t-AML.

Lo studio italiano

Al fine di rispondere a queste domande e, in ultima analisi, ottimizzare l’impiego di CPX-351 nella pratica clinica, Guolo e i colleghi hanno analizzato gli outcome del trattamento in un’ampia coorte di pazienti trattati con questo farmaco in Italia dopo l’approvazione del farmaco.

Nello studio, di tipo retrospettivo, sono stati inclusi 513 pazienti anziani (età mediana: 65,6 anni; range: 19-79) trattati con CPX-351 in 38 centri italiani tra il gennaio 2019 e il giugno 2023.

I pazienti potevano effettuare uno o due cicli di induzione con CPX-351 e fino a un massimo di due cicli di consolidamento col farmaco, come previsto dall’approvazione concessa dall’Aifa. I pazienti idonei sono stati sottoposti al trapianto di consolidamento seguendo gli standard interni di ciascun centro.

La popolazione analizzata

Complessivamente, il 78,9% dei pazienti aveva una s-AML e il restante 21,1% una t-AML.

Il 69,5% presentava un’anomalia citogenetica; inoltre, nel 6% dei pazienti è stata trovata una mutazione di NPM1 e nel 4,6% una duplicazione tandem interna di FLT3 (FLT3-ITD).

Secondo la classificazione ELN 2017, il 5,2% dei pazienti aveva un rischio favorevole, il 34,5% un rischio intermedio e il 60,3% era ad alto rischio.

Inoltre, la maggior parte dei pazienti (84%) presentava comorbidità rilevanti, principalmente malattie cardiovascolari (43%) e diabete di tipo II (39%).

Con un ciclo di CPX-351 quasi il 60% di riposte complete

Dopo il primo ciclo di induzione con CPX-351, 297 pazienti (il 58%) hanno raggiunto una risposta completa. Dopo il secondo ciclo, ulteriori 42 pazienti hanno raggiunto questo obiettivo, di cui 33 dopo il secondo ciclo di induzione e 9 dopo il primo ciclo di consolidamento. Il tasso di risposta completa dopo il secondo ciclo di induzione (effettuato nei pazienti che non avevano ottenuto la risposta completa con il primo ciclo) è risultato del 66,3%.

Complessivamente 230 pazienti (il 44,9%) sono stati sottoposti al trapianto allogenico, dei quali 83 erano in risposta completa dopo il primo ciclo di induzione, 80 dopo il secondo ciclo e 57 dopo il terzo ciclo.

Sopravvivenza non influenzata da un precedente trattamento con ipometilanti

Dopo un follow-up mediano di 23,66 mesi (IC al 95% 23,11-26,01), l’OS mediana è risultata di 16,23 mesi (IC al 95% 13,6-18,9) e il tasso di OS a 12 mesi del 52,8%, mentre la sopravvivenza libera da malattia (DFS) è risultata di 14,3 mesi (IC al 95% 12,8-17,7).

L’analisi non ha evidenziato differenze significative di outcome, né in termini di DFS né di OS, fra i pazienti con t-AML e quelli con s-AML. La mediana di OS è risultata di 19,4 mesi nel sottogruppo con t-AML e 16 mesi in quello con s-AML.

Anche un precedente trattamento con agenti ipometilanti (HMA) ha mostrato di non influire in modo significativo sulla prognosi. Infatti, la mediana di OS è risultata di 17,1 mesi per i pazienti già trattati con questi agenti e 15,8 mesi per quelli mai trattati prima con HMA.

«Non abbiamo visto un peggioramento della prognosi e dei risultati della terapia nei pazienti che erano già stati sottoposti a una terapia con agenti ipometilanti nella fase di mielodisplasia. Questo è un dato importante, perché negli studi precedenti i risultati al riguardo erano stati discordanti», ha sottolineato Guolo. «Grazie alla numerosità del nostro campione, abbiamo potuto analizzare circa 80 pazienti che erano già stati esposti a ipometilanti e confermare che CPX-351 è efficace anche in questa popolazione».

Riguardo all’età, ha spiegato l’autore, l’analisi univariata ha mostrato che i pazienti anziani hanno una prognosi peggiore di quelli più giovani, ma l’impatto di questo parametro non si è mantenuto nell’ analisi multivariata. «Questo suggerisce che l’età abbia un ruolo importante, che però è mitigato da altri fattori, tra cui sicuramente il trapianto e il rischio ELN. Di conseguenza, la selezione del paziente al di là del criterio anagrafico è estremamente importante, per cui è fondamentale un’attenta valutazione della fitness», ha rimarcato Guolo.

Outcome molto buoni nei pazienti a basso rischio e NPM1-mutati

Al contrario, l’OS è risultata influenzata in modo significativo dal punteggio di rischio ELN 2017 e dallo stato mutazionale di NPM1. Infatti i pazienti portatori di mutazioni di NPM1 e quelli a basso rischio ELN 2017 hanno mostrato outcome molto buoni.

Il rischio ELN 2017 ha mostrato di essere un fattore predittivo di sopravvivenza molto forte, in quanto l’OS mediana non è stata raggiunta nel sottogruppo a basso rischio, mentre è risultata di 19,8 mesi in quello a rischio intermedio e 11,7 mesi in quello ad alto rischio (P < 0,05). Nell’analisi multivariata, lo score di rischio ELN 2017 è risultato l’unico fattore predittivo indipendente sia di DFS sia di OS nell’intera coorte (P < 0,05).

Anche nei pazienti NPM1-mutati l’OS mediana non è stata raggiunta (P < 0,05); inoltre, il tasso di OS a 2 anni ha superato il 50%.

«Abbiamo osservato che i pazienti con il gene NPM1 mutato presentano un’ottima sopravvivenza se trattati con CPX-351. Questo è un sottogruppo di pazienti in cui il farmaco è particolarmente efficace, mentre la presenza o assenza delle mutazioni FLT3-ITD ha mostrato di non modificare assolutamente la prognosi e i risultati, e quindi di non impattare sul trattamento con CPX-351», ha specificato Guolo.

Il ruolo del trapianto allogenico

Al fine di valutare il ruolo del trapianto e l’impatto del consolidamento, gli autori hanno eseguito anche una landmark analysis includendo solo i pazienti vivi e in risposta completa a 60 giorni.

L’aver effettuato il trapianto allogenico è risultato il fattore predittivo più forte di sopravvivenza prolungata. Infatti, la mediana di sopravvivenza non è stata raggiunta nel sottogruppo dei pazienti trapiantati, mentre è risultata di 16,3 mesi per quello dei pazienti non sottoposti alla procedura (P < 0,05).

Inoltre, nell’analisi multivariata effettuare il trapianto allogenico durante la prima risposta completa è risultato l’unico fattore predittivo indipendente sia di maggiore DFS sia di maggiore OS (P < 0,03).

Il ruolo del consolidamento

Nello stesso modello, il completamento di tutti i cicli di CPX-351 permessi è risultato di beneficio solo nei pazienti che non hanno eseguito il trapianto allogenico (OS mediana: 20,36 mesi nei pazienti trattati con due cicli di consolidamento con CPX-351 contro 12,2 mesi nei pazienti trattati con meno di due cicli di consolidamento; P < 0,05).

Invece, nei pazienti sottoposti al trapianto, eseguire prima del trapianto stesso un ulteriore consolidamento con uno o due cicli di CPX-351 non ha migliorato in modo significativo i risultati rispetto all’eseguire il trapianto direttamente dopo il primo ciclo di induzione con CPX-351, se in risposta completa. In quest’ultimo sottogruppo la mediana di OS non è stata raggiunta, mentre è risultata di 34,4 mesi nei pazienti che sono andati al trapianto dopo uno o due cicli di consolidamento con CPX-351 (P = non significativo).

In conclusione

I pazienti che possono effettuare il trapianto allogenico, concludono, quindi, Guolo e i colleghi, sono quelli che ottengono i risultati migliori, risultati che non sono influenzati dal numero di cicli di consolidamento effettuati con CPX-351. Pertanto, sottolineano, nei pazienti idonei il trapianto andrebbe effettuato appena si raggiunge una risposta completa ed è disponibile un donatore.

Inoltre, rimarcano gli autori, anche i pazienti non inviabili al trapianto possono ottenere un beneficio di sopravvivenza se trattati con due cicli di CPX-351 come consolidamento.

In futuro, concludono Guolo e i colleghi, combinazioni di CPX-351 con farmaci nuovi e strategie di mantenimento potrebbero migliorare ulteriormente gli outcome.

Bibliografia

  1. Guolo, et al. Optimal Duration of Treatment and Best Timing for Consolidation with Allogeneic Stem Cell Transplantation: Evidence from a Large Real-World Italian Study. Blood (2023) 142 (Supplement 1):731; doi: 10.1182/blood-2023-189025. https://ashpublications.org/blood/article/142/Supplement%201/731/504229/Optimal-Duration-of-CPX-351-Treatment-and-Best
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