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Leucemia mieloide, conferme di efficacia per CPX-351

Leucemia mieloide acuta: magrolimab mostra risposte cliniche durature in pazienti non trattati in precedenza

Leucemia mieloide acuta, da uno studio italiano arrivano conferme di efficacia e sicurezza anche nella vita reale per CPX-351, una combinazione di chemioterapici

La combinazione in dose fissa dei chemioterapici citarabina e daunorubicina in formulazione liposomiale, conosciuta con la sigla CPX351, ha dimostrato una buona attività e una buona tollerabilità in una coorte di pazienti con leucemia mieloide acuta ad alto rischio trattati nella vita reale in uno studio italiano, di cui sono stati presentati nuovi dati all’ultimo congresso della European Hematology Association (EHA), quest’anno svoltosi in modalità virtuale a causa della pandemia di coronavirus.

I nuovi risultati dello studio, i cui dati preliminari erano stati riportati lo scorso dicembre al congresso della Società americana di ematologia (ASH), confermano la validità di CPX-351 anche al di fuori del setting ‘ideale’ degli studi clinici e sono stati ottenuti nell’ambito di un programma di accesso compassionevole al farmaco, attivo prima che ricevesse il via libera dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), nel giugno scorso.

«CPX-351 è stato testato in uno studio di fase 3 condotto negli Stati Uniti e pubblicato 2 anni fa, che ne ha dimostrato la superiorità rispetto al trattamento convenzionale nel trattamento dei pazienti anziani ad alto rischio affetti da leucemia mieloide acuta. Il nostro studio italiano, che ha visto la partecipazione di oltre 30 centri di ematologia, mirava a valutare se anche in un contesto di vita reale questo farmaco fosse in grado di riprodurre gli stessi risultati del trial che ha portato alla registrazione del farmaco negli Stati Uniti e in Europa, Italia compresa», ha spiegato a Pharmastar Roberto Lemoli, Professore Ordinario di Ematologia presso l’Università degli Studi di Genova e Direttore della Clinica ematologica dell’IRCCS AOU Policlinico S. Martino di Genova, nonché autore senior dello studio

«CPX-351 è una terapia innovativa che nel nostro studio ha mostrato di avere un profilo di tossicità migliore rispetto alla chemioterapia convenzionale nei pazienti anziani e di rappresentare un ponte ottimale verso l’esecuzione del trapianto allogenico di cellule staminali, anche in una popolazione anziana» ha aggiunto il l’esperto.

CPX-351 e i sottotipi di leucemia mieloide acuta ad alto rischio
La leucemia mieloide acuta derivante dalla trasformazione di una sindrome mielodisplastica antecedente o conseguenza di una chemioterapia effettuata in precedenza per il trattamento di altre neoplasie è caratterizzata da una risposta poco soddisfacente alla chemioterapia convenzionale, un alto tasso di recidiva e, nel complesso, basse chance di cura, nonostante un trattamento intensivo e il consolidamento con il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche.

CPX-351, sviluppato da Jazz Pharmaceuticals, è costituito da una formulazione liposomiale di citarabina e daunorubicina, incapsulate secondo un rapporto molare fisso di 5:1, che sia in vitro sia in vivo ha dimostrato di massimizzare l’attività antitumorale.

Dopo aver dimostrato di offrire un beneficio significativo di sopravvivenza rispetto all’attuale standard di trattamento, la chemioterapia 7 + 3, in uno studio di fase 3 pubblicato nel 2018 sul Journal of Clinical Oncology, CPX-351 è stato approvato sia dalla Food and drug administration sia dalla European medicines agency, e poi anche dall’Aifa, per il trattamento dei pazienti con leucemia mieloide acuta correlata alla terapia (t-AML) o leucemia mieloide acuta con alterazioni correlate a mielodisplasia (MRC-AML), che sono appunto due sottotipi di leucemia mieloide acuta ad alto rischio, caratterizzati da una prognosi molto sfavorevole e possibilità di sopravvivenza inferiori rispetto agli altri sottotipi.

Ancora pochi dati sulla clearance della MRD
Il beneficio maggiore di CPX-351 rispetto alla chemio standard si è osservato nei pazienti che raggiungono la remissione completa e procedono a fare il trapianto e questo dato è stato confermato anche nel follow-up a 5 anni dello studio registrativo, di cui pure sono stati riportati i risultati al congresso EHA.

Tuttavia, ci sono ancora pochi dati sulla clearance della malattia minima residua (MRD) nei pazienti trattati con CPX-351 o sull’impatto della presenza di specifiche alterazioni genetiche sulla probabilità di risposta.
Obiettivo dei ricercatori italiani, nello studio presentato al meeting europeo, era proprio valutare l’attività clinica di CPX-351 in un contesto di pratica clinica quotidiana, ponendo particolare attenzione alle aberrazioni genomiche presenti al momento della diagnosi e alla valutazione della MRD nei pazienti che hanno risposto al trattamento.

Lo studio italiano
Gli autori, coordinati da Fabio Guolo, dell’IRCCS AOU Policlinico S. Martino di Genova, hanno analizzato gli outcome di alcuni dei 75 pazienti inseriti nel programma di uso compassionevole, cioè di accesso anticipato al farmaco prima dell’approvazione dell’Aifa, grazie alla fornitura gratuita di un certo numero di dosi da parte dell’azienda produttrice, e trattati con CPX-351 in 37 centri distribuiti sul territorio nazionale.

Il programma è partito nel dicembre 2018 e si è chiuso a giugno 2019, quando l’Agenzia italiana ha dato il suo via libera a CPX-351. La raccolta dei dati è iniziata nel luglio 2019 ed è stata finora completata per 71 pazienti (di cui 34 donne), arruolati in 31 diversi centri. L’età mediana del campione finora analizzato è risultata di 65,5 anni (range: 51-79).

Maggior parte dei pazienti con comorbilità e citogenetica anomala
La maggior parte dei pazienti (56 su 71, il 78,9%) aveva comorbidità rilevanti al momento dell’arruolamento. L’iter diagnostico e la valutazione della MRD sono stati eseguiti in ogni centro secondo gli standard interni. Nella maggior parte dei casi, l’MRD è stata valutata con citometria a flusso multiparametrica (MFC) e/o attraverso la valutazione dei livelli di espressione del gene WT1.

Una citogenetica anomala è stata riscontrata in 60 pazienti su 71 (84%); di questi, 17 (23,9%) avevano un cariotipo complesso e 14 (19,7%) presentavano la delezione (7q) e/o la delezione (5q) senza un cariotipo complesso.

Alto rischio in oltre la metà dei pazienti
Ventuno pazienti (29,6%) avevano una t-AML e 36 (50,7%) una precedente sindrome mielodisplastica; di questi ultimi, la metà avevano progredito verso una leucemia mieloide acuta dopo essere stato trattato con agenti ipometilanti per una mediana di 4 cicli (range: 1-78).
I ricercatori hanno trovato mutazioni nei geni NPM1, FLT3 (duplicazioni tandem interne, ITD) e TP53 rispettivamente in 6 pazienti su 69 (8,7%), 5 pazienti su 69 (7,3%) e 13 pazienti su 34 (38,2%).
Il punteggio del rischio secondo la classificazione ELN 2017 era basso in sette pazienti (10%), intermedio in 26 (37%) e alto in 38 (53%).

«Nel complesso, dunque, i nostri pazienti erano spesso soggetti ad alto rischio per età, caratteristiche biologiche, citogenetiche o molecolari, uno spaccato molto realistico dei pazienti anziani che afferiscono ai nostri centri di ematologia» ha osservato Lemoli.

Bassa mortalità correlata all’induzione
La mortalità correlata all’induzione è stata bassa: sono deceduti tre pazienti su 71 (4,2%). Sessantaquattro pazienti (90%) hanno presentato un evento avverso extra-ematologico di grado > 1 durante l’induzione, principalmente infezioni.
In coloro che hanno risposto al trattamento con CPX-351, il tempo mediano di recupero dei neutrofili e delle piastrine è risultato rispettivamente di 38 giorni (range: 12-60) e 28 giorni (range: 12-60).

Risposta completa del 65% dopo un ciclo di CPX-351
Dopo un ciclo di trattamento, 46 pazienti su 71 (64,9%) hanno ottenuto una risposta completa (CR) o una risposta completa con recupero ematologico incompleto (CRi) e sei (8,5%) una risposta parziale.
Il cariotipo complesso è risultato l’unico fattore predittivo (negativo) di CR dopo il primo ciclo di trattamento. Infatti, il tasso di CR/CRi è risultato del 52,9% nei pazienti con cariotipo complesso e 68,5% in quelli senza questa caratteristica citogenetica (P < 0,005).

L’MRD valutata mediante MFC è risultata negativa (<0,01%) in 12 dei 33 pazienti valutati, mentre quella valutata attraverso i livelli di espressione del gene WT1 negativa (<250×10-4 Abl) in 14 pazienti su 24.
Dei 16 pazienti che non avevano risposto, 8 (50%) hanno ricevuto una seconda induzione.
Complessivamente, 52 pazienti hanno ottenuto almeno una risposta parziale dopo il ciclo primo ciclo. Rispettivamente, 28 (53,8%) e 24 (46,2%) di questi soggetti sono stati sottoposti a uno o due ulteriori cicli di consolidamento con CPX-351.

Il tasso di CR dopo il secondo ciclo di trattamento è stato del 69%, indipendentemente dalle variabili cliniche e biologiche analizzate. «Questo tasso di risposta è addirittura superiore a quello dello studio registrativo» ha sottolineato Lemoli.

Ponte verso il trapianto
I pazienti che hanno ottenuto una risposta completa, sono stati sottoposti al consolidamento con il trapianto di cellule staminali: sette dopo la prima induzione, due dopo la seconda induzione e quattro dopo il primo consolidamento con CPX-351 e quattro dopo il secondo consolidamento col farmaco.

Dopo un follow-up mediano di 8 mesi (IC al 95% 7,44-8,56), 50 pazienti su 71 (70,4%) erano vivi e 41 su 71 (57,8%) non mostravano segni di malattia. Tutti i 17 pazienti sottoposti al trapianto erano vivi e tutti tranne uno non mostravano segni di malattia al momento dell’analisi.

«La sopravvivenza globale a 12 mesi è risultata del 68,6%, con un follow-up mediano di 11 mesi. È un risultato assolutamente promettente per questo nuovo farmaco, anche considerato che la tossicità è stata relativamente modesta, nonostante l’età avanzata dei pazienti, con una mortalità a 60 giorni di circa il 7%» ha riferito il professore.

In conclusione
Seppure con un follow-up limitato, scrivono Guolo e i colleghi nelle conclusioni del loro abstract, i dati di questo studio dimostrano la buona attività clinica e la buona tollerabilità di CPX-351 in una coorte di pazienti con leucemia mieloide acuta ad alto rischio, nonostante l’età mediana elevata e l’alta frequenza di comorbidità. Inoltre, sottolineano i ricercatori, il tasso di CR non è risultato influenzato dalla presenza di mutazioni di TP53 e da un precedente trattamento con agenti ipometilanti.

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